Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “La nostalgia del cinghiale” di Silvia Bove

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Mancavano tre ore alla fine del turno. Quella giornata di lavoro sembrava interminabile: le mani spedite che assecondavano le procedure automatiche e il latte e il caffè, metti, togli, servi, pulisci; le gambe morbide e allenate saltellavano da una parte all’altra, i piedi ben fissi a terra, le scarpe lucide e la divisa pulita. La vita di un barista dell’Autogrill aveva qualcosa di affascinante, lo aveva sempre saputo. Per quasi seicento euro al mese aveva la possibilità di osservare centinaia di volti stranieri che entravano stanchi e spigolosi ed uscivano trasfigurati, pervasi da un sorriso inebetito, tutto interno. I cappuccini e le spremute che di continuo preparava e i toast che riscaldava contribuivano a rendere le persone più felici. Il mondo era un posto migliore anche grazie a quei suoi piccoli gesti d’amore. Di questo era certo. Di questo andava fiero. Questa certezza gli bastava, non aveva bisogno di altro. Tuttavia ogni giorno e ogni notte sperava che qualcosa d’imprevedibile e molto rischioso accadesse in quel piccolo bar della stazione di servizio: forse un urlo di troppo da parte di un suo collega, forse un cane affamato latrasse fino allo sfinimento, forse una rapina. Qualsiasi imprevisto sarebbe andato bene. E invece no, tutto procedeva lento e sempre uguale: Mario l’ubriacane beveva seduto sull’ultimo gradino del bar, i camionisti ordinavano il solito hamburger, i turisti si fermavano per un caffè e per andare al bagno. Ogni tanto una folla di bambini e studenti spezzava l’incantesimo di quella routine silenziosa, entravano e uscivano in una fila indiana disordinata con in mano i loro dolci e caramelle colorate.  Nel vederli così contenti, il ragazzo trepidava d’eccitazione. Ma poi tutti se ne andavano e a lui non rimanevano che potenti punture di nostalgia.
Tutto procedeva lento e sempre uguale, un giorno dopo l’altro, un caffè dopo l’altro, uno scontrino ogni tanto. Perciò quando una sera di febbraio quella ragazza spettinata entrò di colpo con i pugni ben chiusi e i passi indecisi e pesanti, il ragazzo riconobbe subito l’occasione della sua vita. Distese un sorriso insicuro ma brillante e poi, avvicinandosi al bancone dei dolci, esordì: “Come posso aiutarti? Ciambelle al limone appena sfornate!”
La ragazza aveva due occhi gentili ma confusi e arrossati.
“Dove posso attaccare il caricabatteria?” Domandò la ragazza con voce spezzata.
Il ragazzo, indicando un punto indefinito, rispose: “In fondo a destra, accanto ai TUC, li vedi?”
La ragazza strizzò gli occhi. Poi, raddoppiando la foga, continuò: “No, il caricabatteria, dove posso attaccarlo? Dove posso attaccarlo? Dimmi dove posso attaccarlo!”

“Vieni, ti accompagno” le disse l’uomo uscendo dal retro del bar.
La ragazza lo seguì, si chinò e attaccò la batteria alla presa. Poi lo ringraziò e ordinò una camomilla. “Subito!” Fece il ragazzo che non aspettava altro che una sua ordinazione.
La ragazza posò lo sguardo sugli hamburger. Doveva aver fame, pensò il barista. Una ciambella al limone appena sfornata?” Osò aggiungere. “Sono squisite, io ne ho appena mangiata una…”
Ma quella, non badando alle sue parole, lo interruppe:  “Quanto manca per Firenze?”.
Annaspava. “Per Firenze, quanto manca?”

“Dipende” Fece il ragazzo alzando il mento e sfoderando un’espressione contrita e spavalda come aveva visto fare centinaia di volte a Clint Eastwood nel film Per qualche dollaro in più, l’attimo prima del duello finale: “Dipende… Vai veloce?”

”Si.”

“Uhm…” Disse il ragazzo torturandosi due peli sul mento. “Sei una tosta, si vede…”Hai pianto, vero?”

“Quanto manca per Firenze?”
“ Te lo dico, ma prima..”
“ Dimmelo, o me ne vado”
“Stai calma. Sei sicura di star bene?”
“Firenze, quanto dista?”
“ Due ore”
“D’accordo. Quanto pago?”

“Uno e cinquanta, ma fai con calma.”
Ci pensò su qualche istante, fissò la punta lucida delle scarpe e poi lo fece, le chiese il nome. Dovevano essere coetanei, avrebbe potuto chiederle il numero.
“Come ti chiami?” Domandò alla ragazza che nel frattempo era diventata una moneta un po’ sporca da due euro. La cercò per qualche istante, poi la intravide oltre le vetrate scorrevoli dell’uscita. Parlava al telefono, agitava una mano come se si fosse scottata, camminava avanti e indietro scomparendo e ricomparendo sotto la luce calda e intermittente del lampione. Gettò allora un’occhiata d’intesa al collega e la raggiunse. Lei sobbalzò quando si accorse di quella presenza indiscreta. Una smorfia di disprezzo apparve sul suo viso. Allontanando il telefono dall’orecchio, disse:“ Che vuoi?”
“ Il resto.. Avevi dimenticato il resto..” Rispose il barista dell’autogrill, mostrando la moneta sul palmo della mano. Una pausa senza fine. I suoi occhi che sentiva scivolargli addosso e poi trapassarlo. Ci riprovò: “ Il resto… centocinquanta..”
Non fece in tempo a finire la frase che la ragazza lo superò, entrò in macchina e, continuando a gridare al telefono, scomparve oltre il cartello rosso: “ AUTOGRILL”. Il ragazzo sospirò e poi rientrò nel retro del bar dove proseguì a lavare tazze e tazzine, ordinare panini e pizzette sulla lastra d’acciaio in esposizione, attendere il prossimo cliente. Vedendo che fuori aveva iniziato a piovere fece segno a Mario l’ubriacone di entrare. Gli allungò una birra ghiacciata e ne bevve anche lui un bicchiere.
Nello stesso momento la ragazza azionò i tergicristalli, imprecando. Sul display rotto del cellulare la ragazza vide l’ora e i minuti: le nove e venti. Inarcata verso il volante cercava d’intravedere il cartello della prossima uscita, Modigliano.  Quando lo vide, premette con forza sul pedale dell’acceleratore. La macchina sbandò.  Il volante sembrò sfuggirle dalla mano, ma fu solo una sensazione. Aumentò il volume della canzone, Hotel California, degli Eagles. Sentiva il vento rabbioso spingerla verso il confine del tornante. La macchina dondolò. Superato il cartello blu con la scritta ROMA, rispose di nuovo al telefono. L’autostrada fino ad allora luminosa divenne una viottola buia e stretta. Dallo specchietto retrovisore non intravide più nessuno. Nessuno dietro, nessuno avanti. Era sola a scivolare sull’asfalto bagnato. Superato il cartello blu con la scritta ROMA, rispose di nuovo al telefono. Parlò a lungo chiedendo al suo interlocutore come accidente avrebbe fatto a tornare indietro, a Roma. Si era persa, ma non del tutto. Ascoltava la voce calda e autorevole di chi la rassicurava incitandola ad andare avanti, senza paura, era sulla strada giusta. Sicuro. Promesso. Vai avanti, non ti puoi fermare, vai avanti, non ti spaventare, e senti.. Cosa vedi intorno? Ci sono cartelli? No? Bè, dai non ti preoccupare prosegui, non pensare a questi che ti superano, vuol dire che conoscono la strada, tu vai avanti con calma, senza paura, ci sono io, ti sto seguendo dal computer, si, la strada è proprio questa, non è il raccordo ma non fa niente, tutta dritta, è proprio la Flaminia vecchia, buia e stretta, ma poi finisce, vedrai, finisce, non avere paura, continua dritta e senti, dimmi un po’.. Cosa vedi? Lo vedi il cartello per Roma? No? Bè, non ti preoccupare, non sei lont.. Il cellulare vibrò e poi più niente. La ragazza imprecò. Poi lo lanciò sul sedile al suo fianco. La pioggia batteva feroce sul tettuccio della Ford. Vide d’un tratto un cartello con un’indicazione e invece no, non c’era nient’altro che curve e alberi. La stradina non aveva fine, le mani tremavano sul volante, aveva una gran sete e così allungò la lingua come se la pioggia oltre i finestrini potesse dissetarla. Se fosse un incubo o la realtà, non lo sapeva più. Poteva sentire ancora la voce di chi la stava guidando. Si affidò ad un sospiro. Una forte scarica elettrica le pervase la testa più volte. Un nodo in gola, non riusciva più a deglutire. Soffocò, ma solo nella sua immaginazione. Inspirò e poi diede un pugno al volante. Imprecò, non sarebbe mai dovuta partire, pensò. Che cosa ci faceva di notte su quelle strade sconosciute, questo lo ignorava. Qualcuno stava traslocando nel suo stomaco, la casa si svuotò ben presto. La concentrazione di un lupo affamato e mai sazio. Il bosco di notte e la notte del bosco.
Decelerò all’improvviso e sbandò di nuovo. Gli abbaglianti della macchina illuminarono un cinghiale, che indisturbato attraversava la stradina deserta. I due, la macchina e l’animale, si fermarono. Il cinghiale, mostrando un occhio nascosto tra i peli del muso, scomparve nell’oscurità. La ragazza recuperò il controllo del volante e ripartì. Avrebbe potuto ucciderla, quel maledetto cinghiale. Ma in fondo, anche lui sarebbe potuto schiattare, pensò la ragazza. Se l’erano vista brutta, ma erano entrambi salvi, di nuovo sulla strada. Soli, ma non persi. I tergicristalli stridettero, la pioggia era cessata. La macchina si arrestò. La ragazza chiese indicazione ad un ragazzo, che le indicò la direzione per il raccordo. Aveva sbagliato direzione- le disse-doveva fare inversione e tornare indietro. Seguimi, disse l’uomo alzando il finestrino, seguimi e poi alla piazzola gira a destra, io proseguo dritto. La ragazza si fidò e lo seguì. Arrivata alla piazzola, la macchina davanti evaporò in una nube di nebbia. Apparve un cartello: FIANO ROMANO. La ragazza fermò allora un’altra macchina, che abbassò il finestrino. Una voce balbuziente le indicò la strada per il raccordo e le consigliò di andare piano, che c’era la possibilità d’incontrare un cinghiale. E’ così qui, spuntano ovunque- le confidò ad un metro di distanza- A volte qualcuno non si ferma in tempo, corrono gli imbecilli… Una volta ce n’erano così tanti, povere bestie. Bei tempi, quelli… Bè, va piano tu, ok? Non avere paura, non è lontano il raccordo, non è..
La macchina della ragazza sfrecciò via. La ragazza continuò a cantare a squarcia gola sulle note di Sara, di Pino Daniele. Sentiva l’aroma di limone e l’odore di fritto nausearla. Abbassò il finestrino e venne inondata da un esercito di gocce pungenti. Voleva piangere, ma non c’erano più lacrime in lei. Sentiva il battito cardiaco pulsargli nelle orecchie, le mani tremare e aveva la sensazione che nel suo stomaco stesse crescendo una foresta di fiamme e frutta ammuffita. I crampi erano più rumorosi dei tuoni in lontananza. Cercò col pensiero il cinghiale che aveva appena incontrato, ma non lo trovò più e così proseguì dritta e spedita fino alla strada a più corsie, che apparve all’orizzonte non più nero.
Qualche ora dopo nel tepore del suo letto, si svegliò in preda alla disperazione pensando al cinghiale. Iniziò a ridere e a piangere per il pericolo appena scampato. Qualcuno li aveva salvati entrambi.  Sentiva i suoni della foresta rimbombargli nelle orecchie, la gola bruciargli, i piedi intorpiditi, le mani di piombo. Sentiva gli occhi della bestia proteggerla e divorarla nel sogno che durò ancora pochi istanti. Al risveglio si accorse di aver dimenticato lo zaino al bar dell’autogrill. Quel ragazzo con lo sguardo dolce e nostalgico se ne sarebbe preso cura o forse no. Non poteva fidarsi, ripartì alla volta di Firenze e quando arrivò sulle porte scorrevoli, bloccate, non trovò che un cartello con la scritta: “Attenzione! Avvelenamento per ciambelle al limone. Locale chiuso”. Il lampione era spento e Mario l’ubriacone fissava l’entrata del bar dell’autogrill. Un timido raggio solare gli illuminò la mano destra, con la quale stringeva forte la bottiglia di birra offertagli dal ragazzo la notte prima.

 

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19 commenti »

  1. Il cinghialerappresenta le nostre paure e la forza di combatterle… un racconto denso di significati e simboli che rimandano alla nostalgia dei sogni, ma anche degli incubi perchè anche loro contribuiscono ad andare avanti nella vita. Grazie per averlo scritto

  2. Racconto molto intenso, coinvolgente nella sua drammaticità.

  3. Intenso, tormentato, sincero.
    Il cinghiale è, come la ragazza, potenziale vittima e carnefice. La fuga dal reale, l’angoscia crescente e poi la riflessione. Racconto molto ben scritto, molto bello.

  4. Ben scritto complimenti alla scrittrice!

  5. Racconto avvincente che ti tiene in sospeso fino alla fine. Finale inaspettato. Ottimo risultato.

  6. Molto bello. Brava

  7. Complimenti! E’ stato proprio bello perdersi nelle immagini che le tue parole mi hanno ispirato…

  8. avvincente, introspettivo, vero: un racconto di spessore

  9. Molto ben scritto. Una composizione ad anello che ci fa vivere l’ambiente di un autogrill come una sorta di sala degli arrivi e delle partenze di un aereoporto, ove si incrociano volti, persone che solo l’imprevedibilità di una “sliding door” può far incontrare prima di riprendere il loro percorso parallelo. E a volte, si può essere fortunati e poter avere questo osservatorio privilegiato, una sorta di specchio da interrogatorio da cui tu puoi guardare sapendo di non esserlo…da qui si snoda una storia in cui le descrizioni e le sensazioni prevalgono su fatti nebulosi, pieni di una visione quasi onirica ove tutto si deforma come in una specia di Alice nel paese delle meraviglie e dove i destini di due esseri cosi lontani, la protagonista ed un cinghiale si incontrano in una strada che non ha tempo e non ha luogo…quando le nubi cominciano a dissolversi e la mediocre umanità si riaffaccia alla realtà di tutti i giorni, lo zaino dimenticato, vero atto mancato, la riporta lì da dove era partita…ma alla fine, un’inattesa morale…meglio essere Mario l’ubriacone fedele alla sua bottiglia che affidarsi alla gentilezza di un ragazzo che ti offre ciambelle al limone appena sfornate..avvelenate. Complimenti Silvia!

  10. Bello, coinvolgente in questo continuo passaggio dal piano onirico alla realtà e come spesso accade il sonno ed il sogno hanno un effetto liberatorio.
    Il ritmo è incalzante e ben trasmette lo stato d’animo teso ed angosciato della protagonista.

  11. Bello! Intenso.Complimenti all’autrice.
    Il plot del racconto cattura il lettore fin dalle prime battute: io l’ho letto tutto d’un fiato e mi sarebbe piaciuto potere andare ancora avanti a leggere….
    Il ritmo del racconto è sostenuto e incalzante e glii eventi – soltanto in apparenza banali – vengono narrati con un linguaggio asciutto, denso, attento alle sfumature e in grado di restituire al lettore – attraverso le immagini delle cose e delle persone – gli stati d’animo dei protagonisti. Spesso sembra quasi di avere in mano la sceneggiatura di un film.
    Brava Silvia.

  12. il racconto è come un film, ti coinvolge piano piano, ti fa entrare e poi sei dentro e senti ciò che la protagonista e i personaggi vivono; la scrittura è pulita, trasparente e forte allo stesso tempo, è un dono che Silvia restituisce come debito dI vita a chi la legge. Grazie Silvia della tua semplice trasparenza e del coraggio di scrivere, del dono che ci fai, della tua scrittura gentile, forte, sofferta e vera…
    questo Dono nelle tue mani possa essere Benedizione per tanti…Buon cammino di cuore!

  13. Veramente brava! grande ritmo, bella storia, al confine tra sogno e realtà.
    Complimenti.

  14. Racconto ben scritto, sa di romantico e di avventuroso allo stesso tempo. Finale inaspettato, complimenti alla scrittrice.

  15. Come ogni racconto che si rispetti il finale lascia un po’ “l’amaro in bocca”. Ma il “timido raggio di sole” rende aperto uno spiraglio che sa di buono. Mi piace, continua così carissima e sarò una delle tue fans. Complimenti per il tuo estro letterario, c’è tanto di noi donne in queste poche righe.

  16. Grazie a tutti. Continuate a leggere e commentare in modo sincero e spietato i prossimi racconti.
    Vi aspetto

  17. Davvero intenso e avvincente. Il racconto ti lascia con il fiato sospeso fino alla fine e poi si conclude in modo inaspettato, sorprendendo i lettori. Complimenti!!!

  18. Ho trovato particolare e interessante la struttura del racconto, mi ha fatto pensare a un cerchio spezzato: avvio del racconto all’autogrill nella prospettiva del barista, cambio di prospettiva con le peregrinazioni angosciate della ragazza smarrita per strade buie nel tentativo di tornare a luoghi familiari, e il rientro in chiusura all’autogrill dove però la narrazione si interrompe, col locale chiuso e il barista che probabilmente non se la starà passando granché bene.
    E significative anche le situazioni che i due personaggi rappresentano: il barista col suo desiderio di evadere dalla routine e costruire un rapporto autentico tra gli ennesimi “Prego, desidera?” e “Grazie e arrivederci!”, la ragazza esausta (forse più mentalmente che fisicamente) che vorrebbe fare ritorno al suo “porto sicuro” ma si trova a fare a meno della guida di una voce amica e deve fare affidamento, per necessità, all’aiuto di chi come lei si trova in cammino lungo la strada, stando attenta a scansare pericoli presunti e reali.
    Insomma un racconto pieno di suggestioni e spunti di riflessione.

  19. Più che una recensione questo è un messaggio per l’autrice…ma contiene anche il mio giudizio sul racconto.

    Ciao Slivia,
    mi ha incuriosito la tua forte passione nel proporti (ieri ad un evento sul vino…se poi mi spieghi meglio perché proprio io…la mail ce l’hai!) e quindi non potevo che leggere subito il racconto non appena a casa.
    Mi sembra rifletta il tuo essere, per quel poco che ti ho conosciuta: una ragazza che va avanti fino all’obiettivo anche con poche risorse ed in luoghi ostili. Chiede aiuto? Poco, solo l’essenziale. Riconoscenza, si anche se non subito. E forse poi è troppo tardi (il locale chiuso)!
    Comunque brava che la strada è giusta…troverai altri cinghiali per la tua strada ma saprai evitarli o comunque capire che servono anche quelli perché poi si ricorderà tutto con piacere, anche qualche incontro spiacevole, quando avrai avuto successo (e sicuramente ne avrai!)

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