Premio Racconti per Corti 2010 “Con un buco dentro” di Andrea Bonvicini
Categoria: Premio Racconti per Corti 2010Solo a un tavolo di ristorante, poco convinto scorre il dito sul menu. Fritto misto… no riso con l’osso buco. Tra sé: “Beh, in qualcosa uno deve sperare, no?”. Ordina il piatto a un cameriere ossequioso.
Si guarda riflesso nella specchiera. Distoglie lo sguardo dal suo volto insoddisfatto. Depone gli occhiali e si strofina il mento barbuto. Per un momento nella mente (bianco e nero) il volto di lei, cereo, su un lenzuolo bianco, occhi chiusi, morta.
Una voce più fastidiosa di altre, maschile ma alta.
–È una cabala, una cabala ti dico: non puoi farci niente è proprio così. È una magia, non c’entra niente se ci credi o no, è un fatto. Per esempio: che il Milan vince le finali se ha la maglia bianca è un fatto. Già, e l’unica volta che ha perso, col Liverpool, lo sai di quella volta no? Ci siamo beccati tre papagne. Quella volta avevano la maglia bianca, solo che poi… Ma è stata una cabala anche quella, al contrario però.
Arriva l’ossobuco, grasso nel cerchio giallo del risotto.
–Te ne dico un’altra, che se la mia squadra comincia a perdere e io cambio l’immagine di sfondo del telefonino e ci metto la curva dello stadio di quella volta che abbiamo vinto il derby, beh allora vinciamo. Non è che vinciamo il campionato, magari no, è che da quel momento vinciamo di nuovo. E niente, poi anche a me le cose vanno bene allora, e non mi succedono cose brutte con la curva qui sul telefonino.
Cincischia con la forchetta il midollo dell’ossobuco. La voce di prima: –E sennò in che cazzo speri? In cosa speri tu? Io almeno della cabala sono sicuro e tu in cosa speri, ce l’hai una speranza, eh, dimmi?
Sbianca in volto. Dentro di sé (immagine sfumata) si alza e gli urla in faccia: “Quella parola, coglione, la speranza, non la devi usare, non devi neanche pronunciarla, non mentre ci sono qui io!”. Pensa di schiacciargli la faccia nel suo risotto. In diretta: tutto come prima.
Freme. Lei in un letto di ospedale (bianco e nero): “Sono contenta.” “Ma chi ti dà la forza?” “Sei un sentimentale, di un sentimentalismo ributtante, io invece sono solo razionale, tomista anzi. «Fides substantia rerum sperandarum», caro mio, e non è che ti manca la fede: a te manca la materia, tu non tocchi la materia” gli dice palpandogli il braccio. “Ti manca l’umano, non la fede”. Il suo volto che non capisce, il volto di lei, ancora bellissima, ma magra, braccia scarne come rami secchi.
Guarda l’ossobuco. Con una manata spazza via il piatto che si fracassa con fragore per terra. Il gelo intorno, visi imbarazzati. Il cameriere plana lì, con voce servile: –Tutto bene? Non era forse buono?
Alza lo sguardo, pare non capire: –No, non va bene per niente. E che cazzo c’entra quello schifo che mi hai messo nel piatto? È che lei è morta. È morta, hai capito? Io volevo sposarla e lei era piena di speranza e lieta, invece adesso è morta, è morta contenta e io sono qui ancora e mi devo sorbire il tuo risotto da schifo e le cazzate degli stronzi qua attorno!
Si alza e sbatte sul tavolo una manciata di banconote. Esce ruggendo dalla porta a vetri sbattendola violentemente. Respira l’aria fredda per calmarsi.
Ricorda: un recinto con alcuni pavoni. Lei è davanti a lui, occhiali fuori moda, un cappello di paglia trattenuto con un foulard blu elettrico. Scende da sola dalla macchina, arriva fino alla staccionata con le stampelle.
–Che te ne pare di questo antropoide a quattro gambe? –gli chiede. Non risponde, evita di guardarla, divaga.
–Ma che ti piace così tanto in questi uccelli inutili?
–Lascia stare i pavoni, non fanno per te. Tu, piuttosto, che cosa sei disposto a sborsare?
–Per cosa?
–Per esser felice, o santo, come vuoi.
–E che c’entrano queste cose tra loro, sono un uomo, mi interessa d’essere felice, sì. Ma la felicità: quale? E la santità poi: è un’astrazione, un simbolo, bene che vada.
–Se è un simbolo, allora che vada pure al diavolo, e tu con lei.
La guarda, stupito.
Si riscuote dai ricordi. Borbotta tra sé “Il suo sangue pulsava più forte del mio, dove trovava quella saggezza?”.
Esce dal ristorante quello che parlava di calcio.
Lo segue, da vicino.
Un angolo buio, rotaie della ferrovia. Allunga deciso il passo. Lo afferra per le spalle e lo scaraventa a terra. Gli schiaccia la testa con una mano, con l’altra gli fruga le tasche. Trionfante trova il telefonino.
–È il tuo telefonino? –gli urla. Lui mugola.
–E ha la magia vero? – riprende –Adesso cerco la foto della squadra e la metto di sfondo, lo vedi? –armeggia con i tasti –La vedi la tua squadra? la vedi? – lo strattona per i capelli e gli sbatte la bocca sulla rotaia.
–La vedi adesso? – l’altro piagnucola –E adesso le cose andranno bene vero? Andranno bene perché c’è la magia, c’è la cabala, vero? Bene, – sibila –sappi che massimo due minuti e passerà il treno, e io e te lo prenderemo, da sotto, da qui sotto, insieme. Tu ci speri nel tuo telefonino vero? nella magia, nella cabala. Allora non ci succederà nulla di male, ci credi vero?
Da lontano si sente lo sferragliare.
–La senti? La senti la morte che viene? Ci credi, ci credi ancora? Dov’è la cabala, la magia, la speranza?
Molla la presa e quello scappa via a quattro zampe. Si alza pure lui, lo rincorre per pochi passi. Gli tira dietro con tutta la forza il telefonino, urlando: –Eccola la tua speranza!
Tra sé: –Tifoso del cazzo – scuote la testa. Si massaggia gli occhi, il viso.
–Certo, l’ha salvato la cabala – ghigna –Dio che mare di stronzate.
Si gira e alza gli occhi. In un attimo i fari del treno gli si avventano addosso. Un lampo. Uno schianto. E un soffio che lo prende e gli sussurra gaio all’orecchio. L’immagine, l’ultima, o forse la prima: il volto (a colori) di lei, pieno di luce lieta e di speranza.
[…] Continua Articolo Originale: Racconti nella Rete® » Premio Racconti per Corti 2010 » Premio … […]
Il cursus honorum ( forse finito alla fine di tutti e 3 racconti proposti dall’ Autore in modo casuale, ma inopportuno ) è più impressionante del racconto stesso che si sviluppa sul tema ritrito dell’oggetto scaramantico e del treno giustiziere.
Suggerisco all’Autore di ricontrontrollare almeno la punteggiatura in tutti e 3 i racconti a concorso, perchè essa cade
spesso a casaccio.
Non mi pare affatto ritrito. Il tema della speranza emerge bene e è giocato su corde nuove. Mi piacerebbe vederlo in “film corto”
Complimenti! Il racconto è mi è piaciuto moltissimo, sia per l’originalità dello stile, sia per il tema trattato.
Davvero bravo!
Alessandra ponticelli Conti
Molto ricco di tensione, veloce, ricco anche letterariamente. Ho idea anche che nella figura di lei si celi qualche riferimento, sbaglio?
Evvai! Le manie del calcio messe alla berlina, ci sta! Poi varia verso temi profondi. Molte immagini spezzettate nel finale, buone per farle con sequenze veloci di camera.
Mi piacerebbe vederlo reso in corto
Violento quel che basta. Veloce. Ci vuoe qualcuno di bravo per portarlo su uno schermo.