Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Doveva essere l’estate dell’88” di Giulia De Felice

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Doveva essere l’estate dell’ 88 o dell’89 non ricordo con certezza, ed era per me difficile distogliere gli occhi dai libri che mi assegnavano come lettura estiva,io mi piazzavo sotto l’ombrellone, lì potevo concentrarmi perché sembrava che il tempo passasse più velocemente e mi rendeva meno smaniosa di contare le ore che mancavano per fare il successivo bagno.
C’era questo mito nella mia famiglia che si dovevano aspettare ben due ore, dopo aver mangiato, perché  il padre di mia mamma, ovvero mio nonno, era molto di un’indigestione, a mare.

Mia Madre mi ha sempre detto che era morto perché aveva mangiato tanto, e si era tuffato incurante a mare.
Lo raccontava così, senza emozione, senza stupore, senza nessuna punta di nostalgia, un po’ come parlava di tutte le cose che avevano fatto parte della sua vita.
Quelle giornate mi sembravano una lunghissima prigionia, che dovevo scontare guardando, barche, onde, bagnini ben poco attraenti, donne che il solo pensiero di passare giornate intere a non fare nulla, e a stare distese su una sdraio, le mandava sull’orlo di una crisi di nervi, altre donne che invece si occupavano in modo morboso dei propri figli spargendo quintali di crema protettiva, o distribuendo quantità assurde di frittate di maccheroni ai figli con evidenti problemi di sovrappeso.
Ma la cosa peggiore, erano quelli che giocavano a racchettoni che sembravano così felici, di fare un gioco così stupido, che mi facevano innervosire tanto, chiudere il libro, ed andare a fare una passeggiata fino alla fine della spiaggia, per poi ritornare sotto l’ombrellone.
L’estate cominciava a pesarmi, era questa la verità e se prima avevo pensato che l’interruzione della vita quotidiana avrebbe portato ad una diversa considerazione del tempo e della sua preziosità, del doverlo vivere intensamente per poter trascorrerlo nel fare ciò che mi sembrava più giusto, più bello da fare, mi sbagliavo, io mi annoiavo.
Un giorno, vidi che vicino la strada che portava al lido, un lungo viale pieno di palazzi dal colore inquietantemente uguale, dove sembrava che la fantasia fosse davvero mancata al costruttore, architetto o dove la gente più di tanto non se ne importava perché erano delle case vacanza, lì lungo il viale c’era un garage aperto, dove c’era scritto vendita di libri usati.

Nulla poteva avere maggiore richiamo per i miei occhi, in quel periodo in cui pur di ingannare il tempo, sarei finita a leggere, vangelo, bibbia, istruzioni d’uso per la crema solare e menù interi dei ristoranti.
Dissi a mia madre che sarei andata da sola in spiaggia, e che mi sarei fermata un attimo per cercare qualche libro.
Fu proprio lì che conobbi Alberto, un uomo sulla sessantina, un po’ malridotto, capelli bianchi, leggera stempiatura con degli occhiali a fondo di bottiglia, che risaltavano ancora di più il colore chiaro degli occhi, una camicia a maniche lunghe a quadrettoni curiosamente fuori stagione, pantaloni lunghi e ciabatte. Fui piacevolmente sorpresa, una volta entrata nel garage dal contrasto tra il  suo disordine nel vestirsi e l’ordine maniacale del garage e modo in cui erano disposti i libri, un box rivestito di collezioni di fumetti, romanzi rosa, gialli, collane anni 70 di libri ormai introvabili. Alcuni pieni di polvere, altri ben tenuti in confezioni fatte di cellophane.
Fui molto contenta di trovare qualcuno che avesse un’età così diversa dalla mia con cui condividere  una stessa passione. Comprai due libri, poi tornai in spiaggia, e comincia in modo inspiegabile ad essere più felice, giorno per giorno.

Tornavo almeno due volte la settimana, e lui sapeva sempre più o meno l’orario e mi faceva trovare le mie caramelle preferite le elah, al caramello e al mou, sembravano un po’ caramelle per vecchi ma non ho mai detto di essere stata troppo giovane dentro anche quando ero giovane fuori.

Lui era un vero e proprio maniaco della carta stampata, si trovava a vivere in un appartamento piccolo, senza mai essersi sposato, dopo aver amato solo una persona nella sua vita, che inevitabilmente, così almeno diceva, si era lasciato scappare.
Era stato gentilmente invitato a traslocare dall’appartamento con i suoi preziosi, polverosi beni, al piano inferiore della casa. Era magico quel garage, sembrava di entrare in un’altra dimensione, e tutto quello mi faceva dimenticare del tempo che trascorreva durante quell’estate mi rendeva felice.
Alberto un giorno mi raccontò la sua storia, dicendo di essere stato tipografo per decenni, aveva tanto amato il suo lavoro: Ciò che lo rendeva più felice la mattina dopo il caffè era sentire l’odore dell’inchiostro, la carta che scorreva sotto le sue dita come un vestito, le colle, i caratteri. sceglieva tutto meticolosamente. Mi sedevo e per ore sulla poltroncina, con un’atmosfera degna per una tana accogliente ascoltavo le sue parole.
Poi mi spiegò che le cose erano andate come erano andate, l’attività era stata venduta, e forse al posto della tipografia ci avevano messo un fabbrica, che poi successivamente fu trasformato in un centro commerciale.
Della sua tipografia, forse erano rimasti i cimeli, e a lui era rimasto un tumore ai polmoni, che da anni covava, ma in quel momento io non potevo saperlo, lo scoprì più tardi, quando la portiera un giorno di autunno in cui mi ero fatta forza e mi ero decisa di andarlo a trovare mi raccontò tutto.
Alberto era di Minori, aveva passato lì la sua infanzia, in gioventù era andato a vivere in una città più grande, nulla di più poteva spaesarlo, l’assenza del mare e la presenza imponente di una città troppo grande per lui, lo aveva fatto costruire poi un suo micromondo di cui lui ne aveva piena padronanza, conosceva parola per parola di quei libri, formato per formato, ogni lettera una sua storia, ogni parola un suo significato, lui la sapeva.
La sua morte non suscitò in me,  tristezza, rabbia o indifferenza, sembravo un po’ mia madre, quando raccontava della morte di suo padre, quando io parlavo di Alberto.

Solo forse, c’è un ricordo che mi riporta maggiore tristezza che non racconto mai a nessuno.
Un giorno Alberto, aveva deciso che doveva insegnarmi a fare le delizie al limone, passammo alcune ore per cercare di far coordinare la sua impazienza, ansia e meticolosità nella preparazione dei dolci e la mia poca dimestichezza e goffaggine in cucina, poi però il risultato fu piuttosto soddisfacente.
Assaggiai quelle delizie, le portai in spiaggia e mia mamma disse che erano buone, ma che era comunque preoccupata che frequentassi quell’uomo anziano, che sembrava essersene andato con la testa tra la cucina ed i suoi libri, ed io ridevo e scuotevo la testa, quella è l’invidia delle persone quando scoprono che tra due anime c’è qualcosa di bello che sia diverso da un banale amore, o da una storia di sesso.

Era entrato così per caso, come succede un po’ a tutti, fu mio amico solo per quell’estate, forse per me fu già tanto. L’uomo che amava libri e poi è morto di libri lo trovo spesso con me guardando qualche copertina dei libri comprati in quell’estate, che spolvero per caso nell’ingresso di casa mia.
Ogni tanto mi metto ad annusare qualche copertina o la colla e la carta di un libro nuovo. Anche quando provo a preparare le delizie a limone, chiudo gli occhi apro le narici, e annuso, ma non sono le stesse di quell’estate dell’89.
Anche così, per via di cose e piccoli gesti quotidiani, si entra per restare nella vita di qualcuno.

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1 commento »

  1. Un racconto un po’ incalzante, che non ti dà il tempo di digerire la frase appena letta, ma la scelta del soggetto (una ex ragazza che ricorda una persona conosciuta e frequentata per caso senza che quel “qualcosa di bello” sia per forza “un banale amore o una storia di sesso”) è molto toccante.

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