Premio Racconti nella Rete 2017 “Semplicemente donna” di Marika Carolla
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017“La donna uscì dalla costola dell’uomo , non dai piedi per essere calpestata , non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata”
William Shakespeare
Scelgo di essere donna ogni giorno, quando mi guardo allo specchio e mi piaccio senza che nessun uomo mi faccia complimenti. Scelgo di essere donna, quando rifiuto uno schiaffo anche se ho alzato la voce, anche se lo “meritavo”, quando sono libera di indossare quello che voglio. Scelgo di essere donna,anche se non ho la possibilità di divenire madre, di essere sempre perfetta, impeccabile, perché sono bella anche senza trucco e con il pigiama. Ognuna di queste parole gridate all’aria, è il frutto di una caduta profonda,che ha portato alla risalita dopo tempo.
Mi sono sposata presto, quando consideravo l’amore una dolce armonia, una passione irrefrenabile e le favole vere. Avevo appena venti anni e lui ventiquattro, ci siamo amati tanto, ci siamo amati male. Lui era dolce,buono, bello il più bello di tutti, il mio principe, la mia più triste illusione. Si arrabbiava per piccole cose, non mi permetteva di parlare con altri uomini diceva di essere geloso ed io gli credevo. Non voleva che uscissi, ero troppo ingenua e bella per camminare da sola, in sua assenza nulla mi era concesso. Lui non era il mio uomo, il mio Dio: io il suo semplice oggetto. Ora che le lacrime hanno consumato i miei occhi, riempito i miei giorni, succhiato il miele della vita e logorato le ossa : la verità è dura da accettare. Io lo amavo, e l’ho amato più di me stessa, gli ho permesso di farmi del male, di svuotarmi l’anima. Accettai le sue posizioni, non obiettai mai perché era lui il mio mondo. Trascorrevo gran parte del tempo a casa, mi occupavo delle faccende domestiche e fantasticavo sul mio futuro. Avrei voluto avere un bambino, essere al più presto madre, ma adesso posso dire che “per fortuna” non né è arrivato alcuno. Ero brava a scuola, avevo frequentato il liceo classico, la letteratura era la mia passione. Assaporavo ogni pagina bianca macchiata d’inchiostro come se fosse il succo della mia conoscenza. Sentivo mia ogni storia, ogni poesia , uscivo dalle mie vesti per indossarne altre, per capire il dolore e la gioia e il turbamento dei pazzi, a detta degli altri, di artisti a mio parere. Innamorata di Dante, Petrarca, Leopardi io amavo e soffrivo con loro. Desiderosa di essere amata, trascuravo un amore più forte e naturale: quello per me stessa. Mi dicevano che era l’età, che poi tutto sarebbe cambiato e l’amore passato; che l’apatia avrebbe abitato le mura della mia casa e la monotonia un posto chiamato cuore. Mi beffavo di loro, credevo di essere diversa, che la mia fosse una storia speciale: unica. Adesso è l’Amore a deridermi, ho paura di ascoltarlo, di sentirlo scorrere nelle vene,farlo pompare nel cuore. Lui lavorava a periodi alterni era un manovale, quando non era al cantiere sedeva al bar del centro. Beveva vino rosso, giocava a carte, tornava a casa tardi e ubriaco. Per le scale urlava e sbraitava come un rozzo individuo, svegliava il vicinato, me ne vergognavo.
“Sei una donnaccia, nemmeno una madre riesci ad essere. Ho sposato una poveraccia. “ E urlava, rideva.
Lo prendevo sotto braccio, mi facevo forza, lo aiutavo a salire le scale. Aveva occhi di fuoco , un alito che sapeva di alcool, andava in bagno e usciva con i pantaloni sbottonati.
Mi prendeva per i polsi, spingeva a letto, e alzava la lunga veste di seta del corredo. Incominciava a baciarmi con violenza sul collo, penetrava dentro di me, abusava del mio corpo. Distruggeva la mia dignità. Nell’oscurità della notte piangevo, mi sentivo sporca, sudicia, mi sentivo come una puttana. Anzi lo ero diventata ai suoi occhi, nelle sue mani, con le sue azioni. Queste situazioni si svolgevano almeno una volta a settimana, mentre io continuavo a tacere, a credere che tutti gli uomini fossero così, che era normale. Mantenni dentro di me questo segreto per un lungo periodo. Il mattino seguente a svegliarmi c’era sempre il cinguettio degli uccelli, i colori dell’alba e la speranza che lui sarebbe cambiato. Andavo in bagno, e mi facevo una lunga doccia. Mi strofinavo forte, insaponavo più volte, come se il male subito avrebbe potuto essere cancellato dall’ acqua. Soffocavo le urla, mi odiavo e lo odiavo. Per lui era diverso, si svegliava come se nulla fosse accaduto, mi baciava sulla gote, andava a farsi una doccia diceva di dover andare presto a lavoro. Diceva di amarmi.
“Quanto sei bella Marì, oggi vestiti bene che ti porto a fare una passeggiata. Adesso devo andare che il capocantiere mi aspetta giù”
“Vai allora non tardare.”
“E fammi un sorriso che non mi piace vedere questa faccia triste.”
Mi sforzavo di sorridere, l’unica cosa che desideravo era quella di vederlo fuori casa. Volevo vederlo lontano da me. I primi tempi, gli credevo, lo aspettavo con indosso vesti colorate, ricche di aspettativa, ma tardava ogni volta per una scusa. Ricordo che una mattina dopo l’ennesima violenza fisica, mi rifiutai di salutarlo e lui si arrabbiò, prendendomi per i capelli.
“Sei mia e fai quello che dico io. Senza di me non vali niente e mi devi rispetto, lo capisci o no.”
Io non lo risposi e lui continuava ad agitarsi, era come un leone vicino alla sua preda, pieno di rabbia, indomabile.
“Allora, perché minchia non rispondi? Non c’è l’hai la lingua? E puttana?”
Continuava ad imprecare contro di me, non riuscivo a rispondergli. Mi tirava i capelli, che teneva stretti in una sola mano. Quando li lasciò vidi le mie ciocche cadere leggere sul pavimento; lo spinsi fuori casa e con tutta la mia forza chiusi la porta.
Lo sentivo urlare, e battere i suoi pugni contro questa. Mi accasciai a terra e piansi al punto di farmi scoppiare la testa. Andai in bagno , mi guardai allo specchio urlai tutto il male che avevo dentro . Un grido forte, di dolore e liberazione allo stesso tempo. Non sarei rimasta un giorno in più in quella casa, non mi importava di quello che avrebbe pensato la gente,non avrei continuato ad accettare soprusi perché lui è un uomo ed è così che deve essere. Preparai la valigia, ma prima tagliai i capelli. Non so spiegare il motivo per il quale compì un simile gesto, ma era innata la voglia di un cambiamento rapido, ecco quello forse, fu il modo di dire addio alla vecchia me. Poteva essere considerata una banalità , ma in quel momento mi servì tanto farlo: io stavo per rinascere. Ritornai a casa dai miei, e raccontai tutto, senza piangere come se fossi stata una semplice spettatrice e non da attrice . Mia madre, si sentiva colpevole di tutto perché ignara. Mi accompagnò in bagno e invitò a fare una doccia; vide i lividi violacei che avevo sulle braccia e sulle gambe. Mise una mano davanti la bocca e abbassò il capo, la vidi piangere in silenzio. E piansi anche io, alzando il capo e lasciando che il getto della doccia mi bagnasse; le mie lacrime si confusero con l’acqua, il respiro divenne faticoso: era breve. Vedevo il mio piccolo ventre gonfiarsi e calare velocemente, fu in quel momento che mia madre mi abbracciò . Entrò nella doccia, si bagnò gli abiti e mi strinse forte a sé.
“Bambina mia, ti voglio bene. Perdonami”.
Prese a baciarmi la fronte, le gote, le ferite sugli arti. Asciugò le mie stanche membra, passò un unguento su di esso e lo coprì con abiti morbidi e caldi. Preferì tacere, per non rovinare la sacralità di quel rito. Adesso mia madre si prendeva cura di un nuovo corpo, una nuova me. Mi misi a letto e crollai in un sonno profondo. Non passò molto tempo prima che mi addormentassi, ero a casa mia, al sicuro. Affinché aprissi gli occhi non era più necessario un principe azzurro, anzi non era mai stato fondamentale qualcuno all’infuori di me. Ero come lo specchio del bagno, che ruppi in preda alla disperazione, prima di andarmene via; avevo mille pezzi da ricucire . Ingenuamente chiedevo di nascosto a Dio perché mai avessi meritato tanto dolore, ma la sua fu una risposta che le mie umani orecchie non udivano. Un po’ come la morte, nella vita bisogna accettare anche quello che razionalmente non si comprende. Dormì tanto, da non riuscire a sentire nemmeno la lite di mio padre con il mostro. Fu mia madre a raccontarmi tutto la sera a cena.
“Marì, lui oggi è venuto . Urlava il tuo nome, era come un dannato, era maleodorante. Tuo padre gli ha sferrato un pugno, ho avuto paura. Ti ha offesa pubblicamente dinanzi a tutto il vicinato. E allora, stanca di sentire tutto, ho preso ad urlargli contro. Non so bene da dove ho preso tutto questo coraggio, ma l’ho fatto. Tutti dovevano sapere la verità. Noi siamo dalla tua parte.”
“Manna, domani andrò dall’avvocato per avviare le pratiche del divorzio, è la cosa migliore da fare.”
“Verremo con te. Non è vero Luigi?”
Mio padre che fino a quel momento non aveva osato rivolgermi alcuna parola, mi abbracciò .
Il peggio era passato. Una nuova vita mi aspettava; avevo sbagliato e non fallito. Mi ero illusa solo e non avevo amato. L’amore fa gioire e non induce all’oblio, alla perdizione.
Nessuno, di fronte alle donne, è più arrogante, aggressivo e sdegnoso dell’uomo malsicuro della propria virilità.
(Simone de Beauvoir)