Premio Racconti nella Rete 2017 “Il malinteso” di Laura Calderini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Erano passati tre mesi e Greta, non avendo saputo più niente, era sprofondata nella desolazione dell’horror vacui.
«Chiama; fatti sentire; datti da fare» sbuffava Tommaso spazientito.
«No. Non voglio forzare la mano a nessuno. Non in questa fase. Barca evidentemente ci ha ripensato e non vuole dirmelo, e io non voglio sentirmelo dire. Mi vergogno … non voglio che pensi che stia lì acciovettata sulla sua spalla».
«Eddai, che magari a lui piacerebbe pure che tu gli stessi acciovettata sulla spalla; in fondo, sei sempre una gran bella gnocca!» disse Tommaso per sdrammatizzare.
«Stupido. E’ una persona anziana, sii serio».
«Tu cerca di essere meno seria. Sarebbe tutto molto più semplice. Allora: lo chiami?»
“NO”, piuttosto morire, quel numero non l’avrebbe mai composto.
Qualche sera dopo, durante una cena a casa di amici, squillò il cellulare di Greta e il numero che comparve sul display l’accecò: «Barca! Oh Madonna mia» strillò saltando sulla sedia e, come una tarantolata, incespicando tra le poltrone e il tavolo e le sedie, e i tappeti e tutte le chicchere e pignatte che ingombravano quello spazio risicato, che accidenti alla mania di non buttare via niente, ché ogni cosa fa parte di un vissuto e va conservata a perpetuo ricordo, si allontanò seguita dallo sguardo stralunato di Tommaso che, scuotendo la testa e sventolando la mano, cercava di tranquillizzare gli altri sulla sanità mentale della moglie.
«Pronto, Signor Barca, buonasera, che piacere, era un po’ che pensavo a lei, ma, mi dicevo, forse è impegnato. Senz’altro ha molto da fare, pensavo … appunto … la sua attività … come no … immagino …. e … le sue mostre … e come sta?» cicalava per evitare che l’altro riuscisse ad infilarsi e le dicesse quello che aveva da dirle, che sicuramente era quello che lei temeva, e ancora accidenti, quanto le dispiaceva, in fondo c’aveva creduto, e…..
«Bene grazie lei?» la interruppe «Aspettavo una sua chiamata, non l’ho più sentita. Credevo che ci avesse ripensato, mi sarebbe dispiaciuto molto sa? e così ho provato a telefonare. Anzi scusi l’orario!».
Si fermò di botto sotto la pianta di fico con la bocca leggermente aperta, e ficcò gli occhi tra i rami come a cercare ispirazione divina, mentre il cervello elaborava a velocità supersonica quelle parole -non che fosse un po’ ritardata, ma certe cose devono essere intese per il giusto verso, onde evitare spiacevolissime conseguenze-, quindi esalò: «Signor Barca mi sa che non ci siamo capiti allora. Ero io che aspettavo una sua chiamata e ero io che pensavo che forse lei pensava … che insomma ci avesse ripensato …» ossignore mormorò tra sé, strigando gli occhi dalle frasche e riprendendo la marcia «Oh perbacco che equivoco …» continuò a quel punto rianimata: «No no! Davvero. Come potevo ripensarci? Anzi non vedevo l’ora di sentirla perché speravo di poter lavorare insieme a lei, sempre che sia rimasto della stessa idea… e poi lo sa che le dico? Che mi sto commuovendo e mi viene da piangere, ecco … non vorrei, ma mi succede quando mi emoziono …».
Parlava senza rendersi conto che era uscita dal cancello e si stava allontanando in mezzo alla campagna, con il bracco del suo amico che la scortava scodinzolante.
«Greta, cosa dice! io ho già iniziato a lavorarci; benedetta figliola! Perfetto. Allora ci dovremo incontrare personalmente anche perché credo che, a questo punto, ci si debba in qualche modo annusare, se puoi passarmi il termine, e diamoci del tu che mi sento più a mio agio» concluse.
Questo era davvero troppo per un’anima semplice: «Arturo» tirò su col naso «sono così emozionata che non so cosa dire se non grazie di tutto» nettò la candela col dorso della mano, che cercare un fazzoletto e soffiarsi il naso avrebbe rischiato di perdersi, «ma dimmi tu» e pronunciò quel tu arricciando le labbrucce compiaciuta «quando posso venire, che arrivo».
«Sono a tua disposizione quando vuoi e se ho degli impegni mi libero, non ti preoccupare».
Apoteosi! :«A a .. a … allora domani guardo come sono messa al lavoro e p.. poi ti chiamo» disse millantandosi donna manager con principio di balbuzie.
«Bene a presto. E smettila di piangere che mi imbarazzi».
«Oh santo cielo –io lo imbarazzo!-, grazie di tutto, grazie ancora, a presto. Grazie … grazie…» e continuò a farfugliare grazie per alcuni secondi ancora, con la bocca impaniata di moccico e lacrime.
Greta esagerata!
Un po’ le scalmane, un po’ l’emozione, un po’ la paura, che si era resa conto, solo adesso, di trovarsi sul limitare di un boschetto, Greta era un bagno di sudore. La presenza, percepita solo in quel momento, del bracco addossato al suo stinco, il lucore della luna e l’avvistamento, una volta fatto dietrofront, della taverna poco lontana, le dettero un immediato, minimo, conforto tale da indurla a riflettere sul disastro estetico nel frattempo subito: occhi rossi, naso leggermente enfiato e acconciatura sbilenca e spapilata di cernecchi per aver martirizzato, nervosamente, la cipolla: forse sarebbe stato meglio far decongestionare il tutto prima di tornare a tavola e rischiare bruttissime considerazioni da parte dei suoi amici. Tuttavia, rifletté: “Non posso mica restare qui che c’ho pure paura!”, e, di certo, comunque, non poteva lasciare il suo Tommaso col fiato sospeso, sì che anche lui al grido “Barca oddio”, si era agitato sulla sedia.
Così, prese la rincorsa, tallonata dal bracco eccitato che, abbaiando, scartava qua e là rischiando un paio di volte di farla cadere, e finalmente riuscì, senza grandi danni, a riconquistare l’ingresso della taverna, che tentò dapprima, imprecando, di spalancare dalla parte sbagliata e, Dèo gràtias, si catapultò all’interno, atterrando tra le braccia di Tommaso, ché aveva inciampato sul tappeto: «Cazzo!» biascicò.
Maldestra Greta!