Premio Racconti nella Rete 2017 “Ossessione” di Patrizia Fiori
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Si era alzata di scatto, sollevando la testa verso l’alto, immobile: le narici frementi a fiutare l’aria. In una mano le forbici, nell’altra il mazzo di astri azzurri che aveva appena colto nel piccolo giardino della sua casa vicino al fiume. Era rimasta così, per qualche minuto, socchiudendo gli occhi e aspirando profondamente. Poi l’aveva sentito, quell’odore appena percettibile, di fumo, che conosceva fin troppo bene e che da un po’ le toglieva il sonno. Allargò le narici e si diresse verso la porta della verandina color lavanda, l’aprì, si tolse gli zoccoli sporchi di terra ed entrò in casa. Infilò i fiori in un vaso, si cambiò, raccolse i lunghi capelli biondi in una crocchia ed uscì.
Il sole, ormai al tramonto, andava a immergersi nelle acque increspate del Rodano, ma Célestine non lo vide e non vide neppure i tre fenicotteri rosa che, come ogni sera a quell’ora, passavano sopra la sua casa per raggiungere lo stagno di Beaudouc.
Lei camminava con passo deciso, seguendo quel filo di fumo, che sapeva già dove l’avrebbe portata.
Nel parcheggio le roulottes formavano un quadrilatero. Grandi, nuove e lucenti, mostravano i segni di una vita randagia; in ordine sparso: stendibiancheria, poltroncine, pentole, persino una lavatrice in funzione. Ovunque bottiglie e sacchetti di plastica. Un cane obeso abbaiava legato a catena e rivoli d’acqua scorrevano sull’asfalto del piazzale, andando a disperdersi lungo il bordo della strada, dove erano parcheggiate auto di grossa cilindrata.
Célestine raggiunse il piazzale, si avvicinò a una roulotte e si nascose: da lì avrebbe osservato, senza essere vista. Si strinse nella mantella di lana, alzò il cappuccio e si spostò dal viso un ciuffo di capelli che il vento forte aveva spettinato.
A quel punto lo vide. Era là, in mezzo agli altri uomini disposti in un cerchio intorno al fuoco. La luce rossastra della fiamma gli illuminava il volto e lei vide un dio di alabastro con i lineamenti scolpiti da una mano che conosceva la perfezione. I capelli corvini e lisci, lucidi di brillantina, gli ricadevano in piccole ciocche sulla fronte e sugli occhi socchiusi. Il volto inclinato aveva un’espressione assorta mentre con la guancia teneva fermo il violino e le narici si dilatavano per il sottile piacere. Con la mano destra faceva scivolare l’archetto avanti e indietro sulle corde, accompagnando questo movimento con un’oscillazione del busto. Anche gli altri uomini suonavano altri strumenti, era quello un rito, ormai, che si ripeteva ogni anno, quando i gitani si riversavano in massa nel paesino di Sainte Marie de la mer, per il pellegrinaggio nel quale si celebrava Sara, la loro santa. Erano giorni di festa, di musica, di incontri, di preghiere e quando Célestine, due giorni prima aveva visto Mujo suonare sulla piazza, era rimasta folgorata. Una sensazione intensa di piacere, simile a un dolore fisico l’aveva pervasa, andando a localizzarsi lì, in un luogo preciso in fondo alla pancia, una zona che lei conosceva bene, essendo quello il suo unico rifugio nelle lunghe notti di vento, quando la solitudine mordeva e allargava il suo letto da troppo tempo vuoto. Da quel momento quell’uomo era diventato la sua ossessione, il suo cibo, qualcosa che le era penetrato dentro e nutriva il suo tempo affamato. Sapeva che non poteva e non voleva più liberarsene e adesso, nascosta nel buio lo braccava, impossessandosi di ogni espressione delle braccia, della bocca, di ogni movimento degli occhi, del busto e sentiva il suo ventre pulsare e piccole gocce scivolarle tra le gambe.
La musica intanto si mescolava a risate e a sorsi di birra, mentre le donne, dai lunghi capelli, dagli abiti sgargianti e dai grandi orecchini d’oro, intonavano cori, passando tra gli uomini e avvicinandosi seducenti ai loro corpi pregni di fumo e di notte, di musica e di pressanti richieste.
Quando la musica cessò, qualcuno si alzò, seguito dagli altri e pian piano quell’angolo si svuotò. Solo il fuoco continuò a scrocchiare con la sue fiamme sbattute dal vento. Tutti rientrarono nelle loro roulottes, meno che Mujo, che, non ancora soddisfatto, continuava a giocherellare con il suo violino e a improvvisare alcune note, ma soprattutto a sorridere divertito.
Célestine non aveva idea di cosa avrebbe fatto, ma quando, dopo che si fu alzato, Mujo girò l’angolo dove era nascosta e le passò accanto senza vederla, lei gli puntò qualcosa alla schiena e gli intimò di camminare. Nel buio, l’uomo spiazzato, non riusciva a capacitarsi e si mosse guidato dalle indicazioni di lei che lo dirigeva lungo la strada deserta. Solo quando fu in prossimità della casa, sotto un lampione lui cercò di girarsi , ma, intercettato quel movimento come una voglia di fuga, Célestine lo colpì alla nuca con un bastone. L’uomo cadde a terra, senza conoscenza e Célestine, raccolta la forza che aveva, lo trascinò fin dentro casa e lo legò a una sedia. Raccolse anche il violino e glielo mise accanto, poi gli si inginocchiò davanti e iniziò a pulire, con una stoffa umida, quel volto sporco di terra. Mujo non aveva ancora ripreso conoscenza e teneva la testa reclinata sul petto, così Célestine dovette alzarsi e con un braccio circondargliela per tenerla su con una mano, mentre con l’altra sfregava delicatamente e accarezzava quel volto del desiderio. Il suo seno appoggiato all’orecchio dell’uomo palpitava e fu forse per quel movimento e il rumore sordo del sangue che pulsava impazzito, che Mujo riprese conoscenza e aprì gli occhi. Célestine deglutì, non era preparata a questo, stava improvvisando, e un tremore la invase . L’uomo la guardò: i capelli scomposti, le guance arrossate e lo sguardo spaventato gli fecero provare curiosità e tenerezza per quella donna che lo teneva prigioniero e un sorriso gli apparve sulla bocca. Non aveva paura. Il suo senso di uomo, figlio di un popolo abituato da secoli a dormire con le scarpe ai piedi, pronto alla fuga, gli suggerì di fidarsi e la domanda rivolta alla donna divenne tacita; fu il suo sguardo, posato sulla corda con cui era legato, a chiedere.
Célestine non rispose, ma gli fissò la corda ben stretta al petto e alle gambe e gli sciolse le mani, poi gli pose sulle ginocchia il violino. Mujo non oppose nessuna resistenza e non fece nessun gesto per sottrarsi o cercare di fuggire, assecondò la donna e impugnato il violino si mise a suonare.
Célestine, seduta in terra davanti a lui, lo fissava e i suoi occhi si riempivano di quel corpo maschile, del suo volto perfetto e del collo teso, delle mani lunghe e flessuose, della bocca semiaperta e dei denti bianchissimi. Beveva ogni suo particolare e la vertigine le faceva chiudere gli occhi e trattenere il fiato. Lo avrebbe voluto leccare, assaggiare, gustare quella pelle ambrata per sapere quale sapore avesse. La musica intanto saliva e scendeva, dilatandosi nella stanza.
Mujo, senza mai chiedere di essere slegato continuò a suonare per ore.
Célestine, che aveva smarrito il senso del tempo, si trovava in uno stato di estasi, con i sensi intorpiditi per un’indigestione di bellezza e con uno strano formicolio che le attraversava il corpo, come una continua scossa di corrente elettrica.
L’alba li trovò addormentati, lui ancora legato alla sedia, lei accovacciata ai suoi piedi, come un cane.
Al risveglio non una parola, solo un lungo, lunghissimo sguardo, un penetrarsi con gli occhi.
Il bernoccolo sulla nuca , che Mujo sentì tastandosi con la mano, mentre ritornava verso il suo accampamento, fu la prova che qualcosa era successo, era il filo di Arianna che la notte successiva lo avrebbe riportato verso quella casa.
Storia originale e scritta bene. Brava.
Bello e particolare. I ruoli si sono rovesciati: la preda è l’uomo e la donna è la cacciatrice, dominata dalla passione, dall’ossessione, appunto, cosa che di solito si ritrova negli atteggiamenti maschili. Il linguaggio scorre fluido e rende il racconto piacevole a leggersi.
Sensuale e avvincente.
L’attrazione non conosce ostacoli e nemmeno la lettura di questo bel racconto, teso come le corde del violino di Mujo. Forse ci si potrebbe aspettare che la passione venga consumata ma la soluzione trovata è molto più intelligente e intrigante. Come ogni promessa d’amore che si rispetti. Ben fatto!
Brava Patrizia, pieno di tensione e passione, scritto molto bene,una prospettiva ribaltata rispetto ai canoni classici preda -predatore.
Mi è piaciuto tantissimo!