Premio Racconti nella Rete 2017 “Grumo” di Stefano Coppi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Mi chiamo disastro. Lo so, è un nome strano per un bambino.
I miei genitori litigano di continuo e a volte ho la sensazione che io sia l’oggetto del loro malumore. Poi all’improvviso mentre mio padre recita un copione melodrammatico, la sua mano calda inizia ad accarezzarmi con amore, come a volermi proteggere da un pericolo. Io non ho paura finché avrò lei intorno a me.
Oggi è una giornata bellissima, lo sento. Anche se da qui mi giunge tutto un po’ ovattato, il mio piccolo corpo sente il calore del sole, le voci delle persone, le loro risate scomposte. È un’armonia che mi tranquillizza. Mia mamma parla poco con me ma quando è nervosa prepara dei lunghi monologhi, tristi. Io cerco di farmi sentire, cerco di attirare la sua attenzione per stemperare quella malinconia. Lei mi appoggia una mano sulla testa e smette di piangere.
Ha un passo veloce, andiamo quasi in affanno, sembra che qualcuno ci corra dietro.
Un portone pesante mi sorprende alle spalle con un tonfo secco. Siamo entrati in un ambiente freddo. I rumori sembrano provenire ancora da più lontano, come se all’improvviso ci avessero immersi nell’acqua.
Il mare. Mi ricorda il giorno più bello della mia vita. Mio padre e mia madre erano su un gozzo con lo scafo in legno, a largo di Madeira. Avevano da poco fatto l’amore, ancora nudi l’uno affianco all’altro, con il sudore di salsedine e il respiro ancora ritmato nel petto. Io ero a disagio in mezzo a loro ma avevo capito che quello era il mare. Quel profondo senso di libertà, spensieratezza, di infinito.
“Signorina questo è un passo delicato della sua vita. Ho avuto il piacere di conoscere il suo compagno. Le devo chiedere ancora una volta se è convinta della sua scelta.”
Non so qual’è stata la risposta di mia madre ma quel silenzio mi mette in agitazione.
La voce di quell’uomo è composta, senza accenti dialettali. Lo immagino con una barba lunga sul viso, curata dalle forbici e dal balsamo. C’è un odore nella stanza di ammorbidente, come in cucina quando mia madre mette in azione la lavatrice. Anche la stanza è fredda come il resto dello stabile. Per fortuna c’è questo sciarpone di lana a mantenermi al caldo.
“Ci saranno delle visite da fare prima dell’intervento ma può stare tranquilla questo reparto è un’eccellenza per il nostro ospedale.”
Non riesco a capire di cosa stanno parlando ma quest’ultima parola non mi piace. L’ho sentita in qualche altro discorso dei grandi e sempre con toni mesti. I grandi sorridono quando le parole sono buone e diventano tristi quando invece ricordano qualcosa di negativo. A me piace sentirli sorridere, mi mette di buon umore, per questo non vedo l’ora di uscire da questo posto.
È strano come i grandi facciano tutto davanti ai nostri occhi, senza pensare che siamo anche noi degli spettatori. Forse più ingenui ma abbiamo tutto quello che ci occorre per percepire le emozioni.
Mia madre deve essere molto bella. Ogni volta che camminiamo per strada c’è sempre qualcuno che le fa un complimento. Si allena tanto in palestra e spesso si avvicinano persone per chiederle dei consigli. È educata e allegra quando sta in compagnia. Non so se finge ma la sua risata è contagiosa.
Ha un’amica con cui si vede spesso, Sonia. Parlano degli attori nelle fiction spagnole, dei ragazzi che hanno incontrato e dei loro strani modi di approcciare. Non so cosa voglia dire ma penso sia una sorta di codice con il quale si fa capire ad una ragazza che si ha voglia di stare insieme. Sonia dice sempre che sbagliano l’approccio e così li molla sul più bello. Poi ridono a crepapelle e io non so il perché.
Una cosa però l’ho capita. Mia madre ha vergogna di me. Non mi presenta a nessuno, mi tiene una mano stretta sul petto quasi a farmi scomparire in lei. Non vuole allontanarmi, lei è mia madre come potrebbe fare una cosa del genere ma ha paura forse che la gente la giudichi. È molta attenta a non parlare di se con nessuno e così lascia che io mi mimetizzi tra i colori dei suoi vestiti.
La immagino elegante, tonalità scure, per esaltare i lineamenti mediterranei e le forme del suo corpo. Mio padre è molto gentile con lei. Quando la tocca con la punta delle dita, è un fremito irregolare che si perde come una scossa leggera tra pelle e ferro. Le mani di mio padre non mi cercano mai, anche lui fa finta di non conoscermi. Io resto lì, avrei bisogno di lui ma non so come dirglielo.
Jolly è sempre lì a rompere quell’equilibrio tra i miei, abbaia, entra in camera, salta sul letto senza alcun invito. Forse per farmi notare dovrei fare come lui, dovrei essere sfrontato. Non mi piace l’odore di Jolly, dà fastidio anche a mia madre. Spesso lo allontana portandosi una mano al naso. Gli odori sono il canale più immediato per percepire ciò che piace a mia madre. Quando prende la maglia a collo alto e se la porta al viso di lì a poco ci allontaniamo e scappiamo via in spazi aperti. Cucina poco anche per questo. Gli odori la mettono di cattivo umore e quando mi accorgo di questo resto immobile. Dopo qualche minuto qualcosa nel suo stomaco si rilassa e va meglio.
È fantastica la sintonia che c’è tra noi, mi fa stare sereno. Nonostante le stranezze che accadono io con lei non ho paura di nulla.
“Ne abbiamo già parlato Andrea!” Tuona mio padre.
Sento le onde del mare solleticare i piedi di mia madre, ancora quell’odore di salsedine, quel senso di infinito. La voce di mio padre è perentoria, un accenno di mal di gola la rende ancora più cupa. Raschia su una fredda lamiera. Non si intenerisce neanche davanti al suo singhiozzo.
“È un disastro, un disastro.” Parla di me, sento i suoi occhi addosso. Ho paura perché ora le mani di mia madre sono ferme nella sabbia. Le sue dita si aggrappano a una terra instabile. Vorrebbe gridare, lo sento. C’è qualcosa in gola che le ferma il respiro e io vorrei gridare per lei contro quel mostro che vuole spaventarla.
L’auto corre nervosa lungo una litoranea deserta. Restano in silenzio finché un ciao appena accennato rimane sospeso nell’aria, prima di rimanere soli.
Non vuole più piangere, non ne ha più.
So già come andrà a finire. Chiamerà la sua amica e finiremo in un locale del barrio basso a ballare fino al mattino. A me piacciono quelle serate. Mi piace il ritmo che scorre tra le nostre vene in una complicità sempre più forte. Lei balla per coprire quelle voci. Le voci del dottore, le voci di mio padre, le voci della sua coscienza. Ecco, la coscienza. C’è un altro uomo triste nella vita di mia madre. Lo immagino magro con la barba sempre ben rasata, con le mani lunghe e senza calli. Camicia ben stirata e pantalone in piega. Un uomo dalla voce armoniosa che parla di coscienza come di una persona a cui dover rendere conto. Dev’essere qualcuno a cui deve tanto mia mamma, perché asseconda quei discorsi noiosi, snocciolando una litania di si sommessi.
Un’idea di questa coscienza me la sono fatta anch’io. Devi rispettare le sue regole altrimenti non sarai mai felice. Mia madre non penso voglia dare ascolto a quell’uomo dalla voce ipnotica. Lo va a trovare per una forma di gentilezza ma dentro di se non c’è pentimento. Prima di andarcene lo saluta baciandogli le mani. Si inginocchia e si rialza velocemente per poi correre lontano ancora a passo veloce.
Mia madre non vive, scappa. Ho paura che non abbia il tempo di godersi delle giornate di sole né di questa pioggia che ci bagna i capelli. Io mi diverto sotto a quest’acqua perché sembra un mare che cade dal cielo. Ci bagna i vestiti addosso, come quel giorno che con mio padre si p a rincorrere sul bagnasciuga. Tornando in auto si spogliarono lasciando appesi ai finestrini i vestiti. Ero felice sentendoli ridere.
Cosa può cambiare un bel ricordo in un incubo. Forse sono troppo piccolo per capirlo ma mi piacerebbe chiederlo ai grandi. Loro non sono come me, sanno dare una risposta a ogni cosa. Io quando non capisco qualcosa resto in silenzio, al massimo guardo un punto indefinito della mia stanza in attesa di un intuito. Per ora mi accontento di capire il mondo da quello che sento, poi crescerò anch’io e saprò dare una risposta a ogni cosa.
Oggi ci siamo svegliati prestissimo. In casa c’è l’odore dei cavoletti al vapore del pranzo di ieri. Per la stanchezza della serata danzante si è anche dimenticata di chiudere le persiane. Entra un sole prepotente nella stanza ricolorando ogni oggetto di tonalità vivaci. Jolly non sale sul letto quando non c’è mio padre. Coriandolo è lì di fianco a noi con i suoi occhioni di ghiaccio e un ghigno divertito sul volto peloso. È un peluche gigante di pinguino africano. Mi ricordo quando glielo portarono i nonni dal museo di scienze di San Francisco. Panciotto bianco e nero, una pennellata di rosa intorno agli occhi, il passo goffo di un bipede curioso, qualche schizzo di nero sul manto bianco come di un artista distratto.
Mia madre inizia a prepararsi una borsa mettendoci molte più cose di quelle che di solito usa per la palestra. È nervosa. Va da una parte all’altra della casa, controllando più volte negli stessi cassetti. Scendiamo di casa con una borsa gonfia di cose inutili. Ha l’affanno. Io cerco di stare immobile per non rendere le operazioni più complicate.
C’è un sole che batte forte sulla tappezzeria dell’auto, sento i muscoli della sua schiena ammorbidirsi al contatto con la pelle del sedile.
“Signorina buongiorno. Siamo pronti?” A quel signore che mia madre chiama dottore non risponde mai. C’è un linguaggio segreto a cui volontariamente non devo partecipare.
La sdraiano su un lettino. Le dicono parole rasserenanti finché un sapore dolce nel sangue mi intontisce. Mi sembra di entrare in un sogno ad occhi aperti. Un tubicino di plastica si avvicina a me, c’è dell’aria che spinge verso il suo interno. Non ho abbastanza forza per resistere, sono un pugnetto di cellule informe. Troppo poco per gridare, per aggrapparmi, per fermare tutto questo. Non ci sono più le mani di mia madre a proteggermi, sono lontane dalla sua pancia. Sento ancora rimbombare nella testa il mio nome, disastro. Sono sicuro che se fossi nato quel brutto nome lo avrebbero cambiato. Eppure la prima volta che i miei genitori andarono da quest’uomo che si fa chiamare dottore ho sentito le loro lacrime di gioia mentre a video veniva proiettato il mio cuore. Ricordo che accelerarono all’impazzata i battiti del mio piccolo muscolo. Ora sento ancora quel battito accelerare nel petto. Non per amore ma per paura. Sta succedendo qualcosa di irrimediabile e io resto inerme ad aspettare. Delle contrazioni improvvise mi scuotono da questo torpore. Un fremito sulla pelle di mia madre. Vorrei portare con me quei sorrisi che esplodevano di colpo sul divano guardando i costumini di carnevale dei neonati. Vorrei specchiarmi nei tuoi occhi. Vorrei aggrapparmi ai tuoi capelli. Copiare le smorfie del tuo viso. Ma dall’altra parte di questo tubicino è buio e io non credo di avere più tempo per dirti che voglio vedere il mare.
Non vedo il mio commento perciò lo riscrivo: ho amato il tuo racconto. Bello e commovente. Bravo.
Grazie mille!! Spero di vedere anche il tuo vincente!!!
Racconto bellissimo che affronta un tema difficile con la sensibilità che merita. Racconto coraggioso capace di suscitare emozioni contrastanti: dolcezza, dolore, rabbia, tristezza, imponendo al lettore un punto di vista assolutamente originale, Un piccolo capolavoro. Tra i migliori di questa edizione.
Complimenti, non riesco a dire altro.
Scrivere non è un’arte di esibizionismo, abbiamo il dovere di raccontare la natura umana attraverso il filtro della nostra immaginazione. Grazie Luigi, sei il mio amuleto porta fortuna!
Quanto basta per farmi sentire bene….grazie Laura Calderini
Tema impegnativo affrontato con delicatezza e originalità da una prospettiva insolita. Bello e molto ben scritto. Complimenti
Grazie Ottavio Mirra, indegnamente orgoglioso dei tuoi complimenti!!!
Scrittura delicata, a tratti poetica. Il tuo racconto emoziona. Bravissimo.
Grazie Mariangela Casulli!!!
Un delicato, intenso racconto in cui s percepisce l’amore per la vita, per le donne ,per i bambini. Dolce e triste allo stesso tempo.
Stefano, anzi, permettimi uno ” Stefanaccio “…hai spinto i tuoi lettori dentro al liquido amniotico, li hai fatti nuotare in mezzo ad un mare di sensi. Sensi di colpa anche. Ci siamo sentiti tutti, io credo, piccoli grumi indifesi ma, allo stesso tempo, adulti un pò egoisti. E lo hai fatto, peraltro, senza accusare nessuno, utilizzando una voce narrante disarmante. Uno ” Stefanaccio “, quindi, te lo meriti. Però ti meriti anche tanti complimenti ed un: Bravooo
Commento ora , ma in realtà quello che vorrei esprimere lo penso dal primo momento in cui ho letto il tuo racconto, cioè appena pubblicato.Dopo averne letto i commenti, la mia è una voce fuori dal coro, perché non si accoda a tutti i bravo! Bello! Commovente! e chi più ne ha ne metta. intendiamoci,molto ben scritto , non c’è che dire, ma in me, il sentimento immediato suscitato è stato : Costui e’ contro l’aborto.Io,da vecchia (ormai ) femminista, so cosa vuol dire aver lottato per una legge che con tutti i difetti e bene o male dalla parte delle donne, senza se e senza ma, avendola aiutata ad uscire dalla piaga terribile della clandestinità So, che dietro la retorica della parola vita , nel tuo caso, ‘grumo’ ( che per me NON È VITA) si sono spesi quintali di pensieri e parole, spesso insulti, ecc, ecc. tutti tesi a colpevolizzare Lei, verso la quale non sento ‘humana pietas’.Senza farla troppo lunga,penso che il tuo racconto , o è come dico io , cioè scritto APPOSTA da chi contrario all’aborto,o è scritto da un ‘poeta’.Mentre lo leggevo ho subito ho pensato ad un’altra differente lettura , che tanto segno’ la mia giovinezza: quella di ‘Lettera ad un bambino mai nato’., che son certa tu conosci. Mi dispiace, io sto dalla parte di Oriana. Con questo ripeto, ho apprezzato la parte ‘poetica’ del tuo racconto, diciamo dolce. Il soggetto però no, quello no.Non me ne volere ,Stefano, è una critica che viene dal cuore.Ciao.
Forte e delicato, avvolgente, fatto di sensazioni più che di sentimenti, educato e coraggioso.
Molto bello.
Grazie Pina Spinelli! Hai colto perfettamente le due anime del racconto.
Carissima Gloria Fontanive, lo spirito era quello di finirci per primo io in liquido, per sentirne le sensazioni e provare a trasformarle in parole. Egoismo e amore sono il vincolo più forte della nostra umanità, a quella forza che ci tiene tutti attaccati a questa terra. Grazie per lo Stefanaccio è il modo più bello per richiamare a te la mia anima un po’ inquieta, un po’ sognatrice.
E con il cuore ti rispondo Laura Florio. Ho letto la Fallaci ritrovandomi in molte delle sue profonde convinzioni, ha raccontato le contraddizioni del nostro tempo dal suo filtro. Ma io non sono un politico, un giornalista, un sacerdote, un associazionista, un attivista. Sono un piccolo scrittore che tenta di trasformare la propria immaginazione in parole. Ho tenuto la mano di chi ha fatto tanto tempo fa un passo del genere e il mio sorriso non l’ha mai giudicata anzi ero troppo fragile per capire la sua forza. Non era mio quel grumo ma non era mia la decisione. La nostra umanità ci impone di superare le barriere del mio problema e del tuo. Abbiamo un solo modo per farlo, esserci in modo silenzioso, esserci comunque nonostante le nostre reciproche convinzioni. Ho immaginato, ho sognato e ho fatto di quelle sensazioni materia del mio scrivere ma mai un veicolo delle mie idee. Anzi troppo spesso scrivo per smontare, mettere in discussione, sovvertire i canoni della mia vita partendo ogni volta da un punto distante anni luce dalla mia esperienza. Grazie per il tuo commento carissima Laura, tanto prezioso quanto sensibile a questa tematica.
Grazie Gianluca Zuccheri. Non era facile questo argomento e rileggendo il testo ho pensato più volte di lasciarlo tra i racconti che non faccio leggere a nessuno. E invece sono contento per i feedback che sto ricevendo e per quel pizzico di coraggio che ci vuole sempre quando non si scrive qualcosa che anima gli umori.
Ora chiarisco e parlo dal mio ventricolo ‘sinistro’ ( aggettivo che non lascia presagire niente di buono , in genere ).Quello che ho commentato e che penso, si riferisce al ‘sociale’ del tuo racconto, non a come questo e’ stato scritto.Perche’ , essendo il tuo scritto bene, diciamo così, vi è una forte identificazione da parte di chi legge con il ‘protagonista’ , diciamo così un ‘altra volta, e QUESTO porta inevitabilmente a dar per scontato che Tutto sembri vero, come vera sembra infatti la sofferenza del ‘grumo’ che appare vitale.Eh, fai presto tu a dire , penso anche a lei…LA verità è che a Lei (maiuscolo , così si capisce), ci si pensa come colpevole, con un : MA COME PUÒ AVER FATTO QUESTO? Povero, povero, grumino…esattamente come quando si guardano i filmati sul maltrattamento di animali , magari cuccioli, il nostro cuore si solleva in indignazione, e si pensano le stesse cose:Ma chi è il maledetto che può fare questo? ECco, è contro questo sentimento spontaneo che dico NO! il tuo racconto Non fa per me.Perche’ vi è a mio avviso una falsificazione della realtà, è ammiccante e strizza l’occhio ad un certo target di persone, son discorsi sentiti troppe volte troppe volte combattuti.E’ scritto bene, infatti vedi, anche io son caduta per così dire nella trappola da te tesa della Verità apparente.Mi associo a Gloria, che ti ha chiamato scherzosamente Stefanaccio…sei bravo tu.
Stefano,
argomento quasi intoccabile, di difficoltà mastodontica.
La tua scrittura, così poetica ed evocativa, lo accarezza con garbo e suscita nel lettore una profonda riflessione, positiva o negativa che essa sia.
D’altra parte, non è proprio questo il fine ultimo dello scrivere?
Per me bellissimo.
Hai ragione e sono felice di aver attirato la tua attenzione.
Un grazie sincero per aver tratteggiato con ammirazione il mio stile, vale tantissimo per chi ama scrivere.
Grazie Lorenzo Garzarelli.
Impressionante e ammirevole. Tema difficilissimo e forte, affrontato con un’intensità e un’originalità di prospettiva di cui pochi sarebbero capaci (io, no di certo).
Bravo!
Giada Guassardo, grazie per le tue splendide parole.
Ciao Stefano, ho riletto il tuo racconto dopo alcuni mesi, inizialmente il tema difficile, la prospettiva geniale ,mi avevano colpito a tale punto che non mi ero soffermato su un altro aspetto.
Tu scrivi veramente bene,la tua prosa è in una qualche misura lirica, carica di un fluire caldo e avvolgente senza intoppi, questa scorrevolezza è unica e percorre tutta la struttura con una forza non immediatamente percepibile.
Molto bella!!
Stefano, non sapevo bene se commentare oppure no. La tua scrittura è fluida poetica delicata; insomma, il racconto mi è piaciuto, ma non riesco a non leggervi un messaggio che si discosta probabilmente dalle mie convinzioni. D’altra parte, non posso che farti i complimenti per la capacità che hai dimostrato di saper entrare dentro al ‘grumo’, quasi tu fossi regredito andando a ritroso nella tua stessa vita. E’ per questo che, nonostante tutto, non posso fingere di non aver letto il tuo racconto. Non ho neanche guardato i commenti altrui questa volta per non esserne condizionata!
Carissimo Gianluca Zuccheri prima di tutto grazie per aver condiviso con me le tue emozioni. Scrivere serve a questo, uno strumento magico nelle mani dell’uomo per trasferire all’altro un po’ della propria preziosa umanità. Una prosa lirica….. grazie davvero!!!!
Il mio è un viaggio a ritroso, hai ragione, ma senza il desiderio di trovare una verità. Scrivo per il piacere di conoscermi e di comprendere quello che mi circonda scendendo in profondità. Grazie per i complimenti Paola Dalla Valle, in questo caso valgono doppio.