Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Blu boy” di Elena Pugliese

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

La prima volta che ho conosciuto un omosessuale avevo 8 anni.

Quella casa in Piccadilly Square era per me una meta obbligata, quasi ogni estate. Mio padre mi portava in visita dallo zio inglese. Lo zio Harrods.

La prima volta che ho conosciuto zio Harrods avevo 8 anni.

Materasso di piuma, cuscini di piuma e trapuntona di piuma.

Zio Harrods dormiva su un letto di piume.

Io mi lanciavo, planavo e ci sprofondavo.

Uno dei momenti più leggeri del mio soggiorno.

Moquette ovunque, anche sulle pareti, e sopra tappeti; tappeti da tutto il mondo. I passi dall’ingresso alla dining room, bagno incluso, scricchiolavano sul legno.

Zio Harrods viveva su una sorprendente successione di tappetti crepitanti.

Amici incorniciati d’argento, posaceneri, binocoli d’oro da teatro, Parigi, Tunisi, accendini d’avorio, pipe, fermacarte, Saint-Moritz, statuette, Venezia, Istanbul, Zio Harrods dei suoi mille viaggi non buttava via niente.

Io dal basso, sulle punte, allungavo il braccio trattenendo il respiro e silenziosamente pescavo il mio souvenir.

Uno dei momenti più delicati del mio soggiorno.

Cipolla d’oro nel taschino del panciotto perfettamente abbottonato.

Monocolo in montatura d’oro perfettamente incastonato tra il sopraciglio destro e la borsa sotto l’occhio. Lo fissavo cercando di capire primo come facesse a non farlo cadere, poi come potesse vedere con una lente sola e poi come cavolo riuscisse a tenerlo fermo senza fare neanche una smorfia.

Seduto sulla sua poltrona ascoltava. La mano destra, con anello d’oro e pietra nera al mignolo, posata sull’impugnatura d’argento del suo bastone, pronto ad alzarsi in qualunque momento.

Zio Harrods era un anziano uomo d’inizio ‘900.

Non aveva nipoti, figli, cugini. Aveva però un amico, un ragazzo.

Quel ragazzo era sempre lì, a casa sua.

Mi piaceva, mi incuriosiva, come tutto ciò che era di Zio Harrods. E quel ragazzo era di Zio Harrods.

Come muoveva le mani, sempre leggere sulle cose.

Come stava seduto: sulla punta del divano con le gambe perfettamente unite fino ai piedi che posavano a terra giunti e immobili.

Non avevo mai visto mio padre sedersi in quel modo.

I gomiti posati sulle cosce e le mani unite.

Un po’ come stare elegantemente seduto sul cesso. Pensavo.

Portava camicette strette strette tirate dentro i pantaloni stretti sui fianchi magrissimi, pian piano si ammorbidivano cadendo sulle scarpe.

Nonostante non fossero parenti, e Zio Harrods avesse un bel pancione, trovavo che si assomigliassero parecchio.

Giocando a ‘trova l’oggetto’, avrei sicuramente abbinato me a papà e Zio Harrods al suo ragazzo.

n quella casa c’era sempre via vai e Zio Harrods non era mai solo. E alla sua età, diceva papà, è un bene.

C’era più vita da lui che in casa nostra.

A trovare Zio Harrods ci siamo andati ancora qualche anno, poi niente e poi l’ultimo, 10 anni dopo per una grande festa.

Ricordo un prato verdissimo, un bel sole, tanta gente, le donne con il cappello, qualcuna portava la veletta, gli uomini in abito scuro e scarpe allacciate in pelle nera perfettamente lucidate.

Pochi hanno riconosciuto in me quel bambinetto italiano col caschetto che se ne stava seduto muto in salotto, mentre io non solo li ho riconosciuti, ma mi sono riconosciuto. Nei loro sguardi, nel modo di ridere, di muovere le mani, di camminare, di giocare al giorno e alla notte.

E’ un gioco che avevo imparato anch’io nel tempo.

Nessuno può sottrarsi a questo gioco, che lo vogliamo o no, tutti siamo diurni e notturni.

Aperti – chiusi, chiari – scuri, luce – ombra.

In ‘trova l’oggetto’ il sorriso va col sole.

Sorridi e il giorno ti sorride.

Ridi e il mondo ride con te.

In ‘trova l’oggetto’ l’orsetto va con la notte, come il lettino, i sogni, l’amore.

Il mio orsetto la notte veniva con me nel letto.

Lo stringevo sul mio petto, lo scaldavo, era morbido più della mia pelle, era piccolo più piccolo di me, io facevo tutto quello che voleva lui e lui faceva tutto quello che volevo io, era il fratello che non avevo mai avuto, mi diceva, stringimi. Senti come sono morbido. Chiudi gli occhi, ti dico una cosa, al buio mi stava vicino sempre più vicino, sotto le coperte. Vedi, anche tu hai quattro zampe come me, siamo uguali io e te, anche tu sei il mio orsetto, il mio orsetto a quattro zampe, ssst, senti il cuore come batte, zitto gli orsetti non parlano. Ti batte il cuore? Ti batte così? Qui? Ti batte così? O così? Cosa c’è? Non va bene così? Lascia che batta, bravo, chiudi gli occhi e senti come batte, bravo il mio orsetto che chiude gli occhi, che tutto tace, tutto è pace, è il cuore che conta, senti i colpi, a quattro zampe, bravo il mio orsetto, bravo. Perchè piangi? Troppo buio sotto le coperte? Io e te siamo uguali. Stringi, stringimi forte, più forte. Bravo, stenditi ora e riposa, sei stanco, asciugati gli occhi. Dormi.

Sono stato fortunato ad avere avuto un orsetto che di notte non mi ha mai lasciato solo, che è entrato nel mio letto, penetrato nei miei sonni a piccoli colpi, dentro, profondamente, tutto, fino al cuore.

Fino a quando è giorno, ti svegli, ti volti, lo guardi, lui è lì, ti sorride e tutto il mondo gli sorride e, non so perchè, ma io invece gli avrei strappato le zampe a morsi a quell’orsetto figlio di un cane. L’avrei fatto sanguinare e più il mondo gli sorride, più io l’avrei voluto lanciare in pasto ai cani, ossa di cane, cane del mio cuore, braccato, cane delle mie ossa, crepa.

Ma ormai è giorno, l’atto è compiuto e il gioco è cambiato e se non sorrido mi chiedono perchè non sorrido. E allora sorrido. Sorrido al giorno, sorrido al mondo, sorrido anche all’orsetto. Il giorno cancella la notte, finchè non torna e, quando torna, nel lettino io la aspetto in silenzio, sudando.

Io sono uno di quei fortunati ad avere avuto un orsetto.

Il primo orsetto. Quelli che non scordi più, quelli che nel silenzio ti sono penetrati fino al cuore, quelli che ti vengono a trovare e tu chiudi gli occhi e in ‘trova l’oggetto’ speri solo che qualcuno cancelli quell’animale figlio di un cane dalla notte, dai sogni, dall’amore, lo vorresti vomitare assieme a tutti quei sorrisi che tutti i giorni gli sorridono e che vogliono che anch’io gli sorrida.

Così ho imparato a giocare al giorno e la notte e, alla fine, a non distinguerli più.

Aveva ragione papà a dire che Zio Harrods alla sua età era bene che non stesse solo.

Bisogna essere molto forti per amare la solitudine, dice Pasolini, non si deve rischiare raffreddore, influenza o mal di gola, non si devono temere rapinatori o assassini; da sedersi non c’è; non c’è conforto oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte senza doveri o limiti di qualsiasi genere. Il sesso è un pretesto per quanto siano gli incontri, e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento, tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani, essi sono molti, non sono che momenti della solitudine; più caldo e vivo è il corpo gentile che unge di seme e se ne va, più freddo e mortale è intorno il diletto deserto.

Invecchiando però la stanchezza comincia a farsi sentire, specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena e per te non è mutato niente; allora per un soffio non urli o piangi.

Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo, che valga una camminata senza fine per le strade povere, dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.

Ripensando a quella festa tra creature vestite di lustrini mescolate a una schiera di pittori, compositori, scrittori, quel giorno, guardandoli in faccia, riconobbi il giorno e la notte in ognuno di loro.

Non so se anche loro avevano avuto la mia stessa fortuna di possedere un orsetto del cuore.

Poco importa, tutto appare e scompare, ciò che resta intatto sono solo le cose.

E quella casa, 10 anni dopo, era esattamente come la ricordavo.

Mancava solo Zio Harrods.

Quella festa strepitosa altro non era che il suo funerale.

Un rito britannico: festeggiare colui che non c’è più. Vivere di ciò che resta.

Abbiamo brindato con i suoi calici, mangiato sul suo servizio, camminato sulla distesa di tappeti e io mi sono lasciato sprofondare su quel letto di piume, bianco come un ragazzo ai primi amori.

Così ricordo Zio Harrods, come un letto di piume: un perenne ragazzo ai primi amori.

Loading

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.