Premio Racconti nella Rete 2017 “In trappola” di Anna Serra
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Un boato fortissimo. Non so che ore siano, ma ipotizzo sia notte fonda dato che non avverto rumori al di fuori del frastuono che assomiglia a un’esplosione. E’ un attimo: perdo il contatto con il materasso e mi sento sprofondare nel vuoto. Precipito non so dove, ma a me sembra una discesa agli inferi. Mi ritrovo nell’oscurità più totale e le mie pupille faticano ad abituarsi al buio fitto che mi avvolge. Non riesco a muovermi, la gamba destra è incastrata sotto un calcinaccio di grosse dimensioni che mi paralizza. Ci impiego un po’ a realizzare cosa sia accaduto, poi capisco: la vecchia casa della nonna, il mio rifugio nei momenti di sconforto, è crollata, si è sbriciolata come un frollino inzuppato nel latte bollente. Le pareti, il pavimento, i mobili: tutto è stato inghiottito in una voragine di cemento, pietra e mattoni. Inizio a gridare “Nonna, nonnaaaaaaaa!”, ma mi risponde un silenzio inquietante e l’eco della mia stessa voce. Chissà dov’è, se è scivolata fuori dal letto, se si è fatta male, se sente dolore in qualche parte del corpo. Mia nonna Vittoria, che porta un nome importante: colei che vince. Chissà se è riuscita a vincere anche stavolta, scampando al crollo. E la mia gatta Penelope? Dove sarà finita? Avrà fatto in tempo a mettersi in salvo? Gli animali sono sensibili, sono dotati di un sesto senso. Ora capisco la sua agitazione dopo cena, quando si muoveva inquieta e nervosa nel giardino. La immagino come una creatura sovrannaturale, con poteri speciali che le permettono di prevedere l’arrivo del sisma e di percepire tremori tellurici che né gli umani né i sismografi sono in grado di registrare.
Avverto una fitta all’arto ferito, faccio per muoverlo ma è bloccato. Avrei bisogno di camminare, di riattivare la circolazione sanguinea, invece mi sento compressa da un peso che mi sovrasta. Brividi glaciali mi scuotono la schiena: vorrei coprirmi, ma oltre il pigiama non dispongo di nulla. Solo di me stessa. I denti ballano, iniziando una danza febbrile. Chiamo di nuovo la nonna, sperando che la mia voce la raggiunga e la rassicuri, ma ancora una volta la mia richiesta d’aiuto viene affidata al vento. Non ho idea di quanto tempo sia trascorso, qui sotto è tutto ovattato ed è facile perdere la cognizione del tempo, ma non quella dello spazio, che è stretto, angusto, soffocante. Passano i minuti, passano le ore. Intorno a me avverto delle scosse, deboli, ma presenti. La terra trema, poco, ma ferma non sta. E’ uno sciame continuo, quasi impercettibile, ma c’è. Ormai mi sembra di stare qui sotto da un’eternità. Ho un disperato bisogno fisiologico, è da un po’ che trattengo e sto per scoppiare. Non ho altra scelta: lascio che l’urina sgorghi, infradiciandomi le mutandine e il pigiama. Sento il liquido scivolare caldo lungo le cosce. E’ una sensazione sgradevole, di vergogna, di mancanza di dignità.
Passano i minuti, passano le ore. Ogni tanto chiamo aiuto a gran voce, nel tentativo di attirare l’attenzione di qualcuno, ma per l’ennesima volta il mio urlo angosciato non viene raccolto e si dissolve nell’aria. Immagino che a questo punto i soccorritori abbiano iniziato le ricerche, vedo mani nude che scavano avide e impazienti nella terra e fra le rovine di edifici che non esistono più, per recuperare i superstiti, per salvare vite umane. Io sono sepolta qui sotto, sono ancora viva, sto relativamente bene. Vi scongiuro, liberatemi. Ho sete, la gola è riarsa e brucia, la salivazione si sta riducendo. Ho anche fame, lo dice il mio stomaco borbottando. Penso agli gnocchi della nonna impastati a mano nella farina e avvolti in un canovaccio a riposare in cucina: chissà dove sono finiti, saranno rotolati in mezzo ai calcinacci.
Passano i minuti, passano le ore. Mi sento sempre più debole. Ho la sensazione che i miei battiti cardiaci stiano diminuendo, come un orologio che rallenta la sua spietata corsa contro il tempo. Sto perdendo lucidità. Oramai è trascorso un tempo infinito e la speranza di essere ritrovata si affievolisce, sostituita da una sconfortante certezza: morirò qui sotto, avvolta dalla polvere e schiacciata da queste macerie. Mi hanno murata viva. E’ come essere sigillati in una bara, ma respirare ancora. Una sensazione allucinante, che rende folli. Sento che lo scheletro vestito di nero e con la falce in mano sta arrivando per portarmi via, anche se io ho ancora fame, sete e freddo. Forse quando non percepirò più questi stimoli, sarà perché è finita, sul serio. Per sempre. Chiudo gli occhi e mi rivedo bambina: le treccine nei capelli, il viso giovane di mia madre, i regali di Natale sotto l’albero, mio padre che mi insegna a pedalare in bicicletta, le recite scolastiche con la maestra, poi il primo bacio, il primo innamoramento, il primo esame all’università, la tesi in architettura. Allora è vero che nel momento che precede la morte, la vita trascorsa ci scorre sulla retina come un promemoria, come il trailer di un film, con i fotogrammi più significativi. Mi sembra di aver varcato la soglia di un’altra dimensione, in cui tutto è sospeso, irreale. Un’enorme bolla d’aria. Non so più se sto sognando, vaneggiando o se appartengo ancora al mondo dei vivi, penso di essere entrata in uno stato di semi incoscienza, di non ritorno.
Sento delle voci, ma non mi è chiaro da dove provengano: sono reali o frutto di un’allucinazione? Sono distanti, confuse. Poi avverto degli smottamenti, dei rumori via via più vicini, ma non sono più in grado di parlare. Vorrei gridare, ma la mia voce è congelata. Mi sono persa e non so dove mi trovo. Non sento più niente, nemmeno il dolore. Ripiombo in uno spaventoso silenzio. Fino a che una lingua umida e tiepida mi desta inaspettatamente dal mio torpore, leccandomi la faccia. Un contatto. Apro lentamente le palpebre impiastrate e intorpidite e mi ritrovo un muso nero a cinque centimetri dalla mia pelle. Un angelo custode con due occhi intelligenti e vispi che mi stanno fissando incuriositi. Il muso si muove, mi annusa e abbaia. Un chiarore abbagliante mi investe quasi tramortendomi e di colpo mi sento più leggera. Una voce maschile urla in modo concitato, ma esultante: “C’è qualcuno qui sotto!!!”. Braccia robuste mi sollevano verso l’alto con grande cautela. Qualcuno chiede il mio nome, ma non riesco a pronunciarlo. Mi sembra la domanda più difficile al mondo. Un’altra persona commenta: “Forse si tratta di Emma, la nipote della signora Vittoria. Era così angosciata per lei!”. Sì, sono proprio io. Grazie per aver lottato per me e per avermi restituito alla vita.
Molto realistico. Complimenti.
Intenso, travolgente e magnetico. Bravissima.
Ringrazio Vincenzo e Mariangela per le belle parole di incoraggiamento!
Asciutto, diretto come un pugno nello stomaco. Realistico più di un reportage. E’ un racconto che fa il suo dovere: arriva.
Da togliere il fiato! complimenti!
Brava Anna, ho rivissuto le sensazioni dei racconti di E.A. Poe, meravigliosamente angosciante e claustrofobico in bilico tra incubo e cronaca.complimenti
Grazie, Gianluca, per fortuna non ho mai vissuto il dramma del terremoto, ma ho provato a immaginare come ci si possa sentire sotto le macerie senza via di scampo, mi sono immedesimata in chi si è trovato in questa terribile situazione. Mi è venuto naturale e l’ho scritto di getto. Sono contenta che tu lo abbia apprezzato.
Ben ritrovata Anna!