Premio Racconti nella Rete 2017 “La curiosità” di Goran Krivokapic
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Il Signor L era l’impiegato di un’azienda di assicurazione. La sua vita era usuale e monotona. Dopo il lavoro si recava a casa, faceva uno spuntino e usciva a fare la passeggiata nel quartiere dove si trovava il suo appartamento. Di solito, sua moglie non lo accompagnava. Invece, rimaneva a casa a guardare la televisione, e chiacchierare con le sue amiche al telefono. “Torno subito per la cena”, disse e uscì fuori.
Era una serata dell’inizio di novembre, nebbiosa, umida e tranquilla. Nell’aria fresca, il suo respiro faceva i fumetti che uscivano dalla sua bocca. Le foglie cadute per terra, ingiallite e bagnate, avevano formato il tappeto scivoloso su cui camminava. La strada era deserta, l’asfalto luccicante. A stento riusciva a deviare i pensieri dal lavoro e i suoi colleghi. Anche queste camminate diventavano noiose, sebbene il suo dottore gli raccomandasse l’attività fisica. Come per equilibrare la troppa astinenza dai piaceri della vita, si fermò a un angolo della strada e accese la sigaretta. Tirava i fumi mentre fissava un bel giardino dall’altra parte della strada, non tanto per ammirarlo quanto per focalizzare i suoi pensieri. Cominciava a imbrunire e la nebbia si addensava. I fari abbaglianti di un’auto e il rumore del motore lo riscossero dalla sonnolenza. Proseguì a camminare verso un parco con gli alberi grandi e fitti. Gli piaceva questo posto, sempre ombroso e tranquillo. Si addentrò e si diresse verso l’atra parte del parco, per fare un largo giro, passando davanti alla casa famigliare dove era cresciuto. Dopo la morte dei suoi nonni, la venderono a un’azienda che aveva l’intenzione di rinnovarla per i suoi uffici.
La nebbia era già fitta fitta e appena vedeva a dieci metri davanti a se. Gli sembrò che sentisse delle voci. Ed ecco, comparvero anche le silhouette di una compagnia. Ormai si distingueva la coppia con un bambino che camminava verso di lui. Che costumi indossavano, proprio da carnevale. La donna era in un vestito antico, lungo fino a terra, con un cappello adornato di piume, e l’uomo con i baffi a manubrio, il cilindro in testa, monocolo, bastone, frak e i calzoni un po’ corti a vita alta. “Potrebbero essere gli attori di un teatro, magari usciti per una breve pausa a stirare le gambe, o protagonisti di un circo”, pensò.
Loro lo guardavano sorridendo come se già lo avessero conosciuto da qualche parte. Si fermarono, e lo salutarono: “Buona sera signore. Come sta”. E lui si stupì: “Ci conosciamo?” domandò. “Come no. Anzi, siamo abbastanza vicini”. “Mi avete scambiato con qualcun altro”? “No signore, sappiamo chi è. Ne siamo sicurissimi”, dissero con lo stesso sorriso, mite e tranquillo. Il Signor L fu sbalordito, perché in quel momento si rese conto che non si trattava di pazzi o beffatori, ma di gente seria e sincera. “Saremmo lieti di ospitarla a casa nostra per un tè. Abitiamo a due passi da qui”, dissero, facendo un gesto con la mano verso la strada che portava fuori dal parco. Lui fu in dilemma se darsi alle gambe o andare con loro. Oltre alla sua curiosità, aveva un desiderio ardente di fare qualcosa di coraggioso nella sua vita, di spezzare la solita routine quotidiana che lo soffocava. “Perché no”, disse, e si avviò con loro, giù per il sentiero del parco, fra la nebbia.
Appena uscirono dal parco, il signor L rimase intontito. Tutta la gente vestita di costumi come quei due camminava lentamente per il corso. Sulla strada coperta in pavé, illuminata con i lampioni, passavano le carrozze. Cercava di nascondere il dispiacere, lo strano sconforto che a mano a mano sentiva guardando un altro mondo attorno a se. La coppia con il bambino si fermò davanti a una casa, e con un gesto della mano, l’uomo lo invitò a entrare. Lui alzò la testa, guardò la facciata, poi si voltò indietro e guardò dall’altra parte della strada, e capì che era sotto la casa della sua infanzia. Si rivolse all’uomo balbettando: “Ma co…com’è possibile…?”. La sua perplessità fu accolta con il solito sorriso cortese, e la mano ancora nel gesto ospitale. Entrarono. Lui si mise in una poltrona nella stanza, dove una volta trascorreva ore e ore con i suoi nonni, che si occupavano di lui, ogni mattino. Sotto la luce fioca del lume a petrolio guardava i mobili antichi. Sulle pareti erano appesi i ritratti degli ospiti. Si avvicinò al quadro del bimbo e lo guardava attentamente, spinto da una curiosità senza una ragione chiara. Sentì alle spalle i passi della gente che entrava nella stanza. La donna portava un vassoio con le tazze di tè, e disse: “Luca caro, ti piace il nostro Giuseppe?”. La domanda gli tolse il respiro. Fu la prima volta che lo chiamassero per il suo nome. Sentì pure il nome conosciuto del bambino. Questo svincolò il suo sospetto, fino a quell’istante ben celato e trattenuto dal suo timore dell’avvenimento bizzarro e surreale. La pesantezza del momento e la paura lo soffocavano. “Scusatemi”, disse con una voce che non parve sua, e corse via verso la porta, giù per le scale, fra la gente, senza fermarsi, senza guardare di lato, attraverso’ il parco, fra la nebbia e il buio, rincasò a perdifiato.
Toglieva la sua giacca tutto affannato, sudato, con il viso stralunato. Sua moglie lo aspettava nell’ingresso: ”Santo cielo, ma dove sei stato finora? La cena si è raffreddata”. “Mah… niente, sono andato a trovare i miei bisnonni”, mormorò, nascondendo il suo viso rosso e sudato. “I tuoi bisnonni erano morti prima che tu nascessi”, disse la moglie, si voltò indietro e continuò a voce bassa e rassegnata: “Sei completamente ammattito.”