Premio Racconti nella Rete 2017 “Il treno” di Goran Krivokapic
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Il treno si trascinava pigramente lungo una pianura, circondata di montagne scoscese e rocciose. Alla fine dell’ottobre la vegetazione mostrava uno spettacolo dei colori caldi. Il sole del tardo pomeriggio, basso e mite intensificava la gamma gialla del fogliame, faceva le ombre lunghe e penetrava attraverso lo sporco finestrino nello scompartimento. C’erano alcuni contadini che bisbigliavano l’uno coll’altro, e tante ceste e bauli sopra di loro, sul ripiano portabagagli. Un altro soldato sul sedile d’altra parte come se evitasse di guardare lui, forse stufo di qualsiasi cosa che gli ricordasse alla guerra.
Guardava il paesaggio che sfuggiva, ma senza alcun interesse. La sua mente era indurita e desensibilizzata dagli anni di guerra, incapace di percepire fascini e godimenti della vita quotidiana. Chi sa quanto tempo ci sarebbe voluto per curarsi dai pensieri ossessivi e tormentosi, e scene di trincee piene di fango, sudiciume e ratti; i suoi compagni fatti a pezzi e sparsi per i campi. Spietata solitudine; era in balia del passato, indifeso.
Si alzò in piedi, indugiò un attimo stirandosi le gambe, e passò a forza tra i contadini noncuranti, fuori nel corridoio. Si mise vicino a un finestrino aperto e accese una sigaretta. Vide il controllore avvicinandosi. “Per favore, quanto ci vuole per arrivare a Castel San Pietro?”. “Una buona mezzora” rispose l’ometto con piccoli baffi e lo sguardo furbo. La gente, perlopiù povera e rustica camminava lungo il corridoio portando fagotti preziosi, e trascinando dietro i loro bagagli. Di tanto in tanto, lui doveva appiattirsi contro la parete per lasciarla passare, sentendo gli urti contro le gambe e fianchi. Si girò indietro contro il finestrino aperto e fu abbagliato dal sole diretto, e lo spiffero gli arruffò i capelli. Chiuse gli occhi e i pensieri, finora inibiti dal timore dell’ignoto e gli anni senza alcuna notizia da casa, gli irruppero come attraverso una diga alzata. Vede il viso dolce e impietrito di sua moglie e i grandi occhi neri increduli quando le disse che fu reclutato, l’ora più dolce, appena due mesi dopo si erano sposati. E cosa avrebbe trovato dopo gli anni della guerra e la prigionia in Germania, la questione fermamente ancorata nella sua subcoscienza ed emergeva improvvisamente, astuta e spietata. La vita si sarebbe ripresa dal punto in cui era stata interrotta? L’amore c’era, sopravvenne il pensiero apposta per rinfrancarlo.
Buttò la cicca fuori dal finestrino e aprì la porta dello scompartimento, e di nuovo si sentì il rumore dei contadini che parlavano in dialetto. Quanto si intensificava l’acutezza delle sue preoccupazioni tanto si riducevano i suoi sensi di percepire il mondo intorno a se. All’improvviso si udì il grido “Castel San Pietro la prossima stazione”. Questo lo scosse dal torpore. Balzò in piedi come se si fosse bruciato e prese il suo baule militare dal portabagagli. Si diresse verso l’uscita adagio adagio, lasciando gli altri passeggeri davanti a sé.
Scese dal treno, e si fermò sul marciapiede per raccogliersi sulla brezza fresca del crepuscolo autunnale. Riprese il cammino per le vie conosciute. Ecco, si avvicinava il momento aspettato per anni, così spesso balenato nei dolci sogni dell’alba e durante le soste nelle trincee e quando la speranza già cominciava a morire. Intravide la casa a distanza, circondata dalla vegetazione già oscurata dal crepuscolo. E allora nell’animo di lui, all’improvviso in mezzo alle inquietudini nacque una grandissima gioia. Si avvicino alla porta e bussò, senza chiamare. Passarono attimi interminabili. Si udì lo sferragliare della serratura e la porta si schiuse. Apparve la donna con gli occhi belli, sorridenti e curiosi. Ovviamente in controluce stentava a ravvisarlo. E lui, sorridendo le disse: “Angela, sono io”. Il sorriso della donna morì, e il viso si contorse in una smorfia dolorosa. “Oh Dio” pronunciò con una voce debole e si accasciò sul pavimento.