Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Un pomeriggio blu” di Marlene Votta

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Aveva qualcosa di familiare, come la copertina di un libro già letto, l’attimo di indecisione che precede i saluti.

La mano alzata a mezz’aria, come se potesse giustificare un gesto distratto nello scacciare una mosca, se lei, in effetti non si fosse rivelata lei.

A giudicare, invece, dal modo in cui lei ricambiò il saluto, con un sorriso radioso, nonostante la presenza di piante e arbusti tra loro che nascondevano un poco la visuale, immaginò che non si fosse sbagliato.

Tamara? Tatiana?

Un nome dall’aria vagamente esotica, quasi malizioso come la punta della lingua rosea che esce piano dalla bocca, pronta a succhiare l’oliva dell’aperitivo.

“Ciao Luca. Che bello vederti a questo convegno. Non ero sicura che ci saresti stato”.

Aveva una elasticità dorata nei gesti, i capelli castani schiariti dal sole. Dritti. Come una coperta.

“Come stai Tat…”. Gli era venuta tronca l’ultima parte del nome, ancora vago su come dovesse concludere.

“Tatiana”. Completò lei. Agitando il liquido giallo nel bicchiere e facendone cadere qualche goccia sul risvolto chiaro dei suoi pantaloni di lino.

Più tardi, a letto, nella crocchiante freschezza delle lenzuola odorose di candeggiante industriale, lei gli piantò le piccole unghie nella schiena.

Aveva delle unghie piccole, smaltate di arancione.

Sembrava un gatto che tira a sé con forza un topolino.

Lui cominciò a scuotersi, non gradiva quel contatto così intimo, un gesto di possesso che, tutto sommato, non pensava che lei avesse il diritto di fare. Più si muoveva agitato sopra di lei più lei insisteva, circondandolo con le gambe, stringendolo.

Si affrettò a finire, deluso. Con un ultimo ansito si ritirò da lei, rotolando su un fianco, un poco scocciato per quei graffi rosei sulla spalla con piccole schegge di smalto arancione.

“Speriamo che non sia tossico, questa schifezza di smalto”. Non rimase a farsi una doccia con lei, né tantomeno a dormire. In quel momento si era accorto di tutte le piccole cose di lei che gli davano fastidio, il naso leggermente storto, che le faceva emettere un sibilo fastidioso, il suo modo di parlare cantilenante, il modo ossessivo in cui sbirciava le altre donne, il suo orrido vestito bianco a balze, come una ragazzina pronta per la cresima.

Il giorno dopo, alla fine del pomeriggio, se l’era ritrovata di fianco in piscina, all’improvviso. Erano entrambi ricoperti di goccioline d’acqua e puzzavano di cloro.

“Non porti la fede quando nuoti?”

“No, me la tolgo sempre”. Il suo tono era secco, deciso, come chi ammette un dato di fatto che non ha bisogno di essere spiegato né discusso.

Il suo cerchietto dorato era lì, appoggiato sull’asciugamani, come uno scudo, contro la brillante capigliatura di Tatiana, che in quel momento, dopo essersi tolta la cuffia, aveva raccolto, con pochi movimenti decisi, a chignon e si era acconciata sulla testa con un sacco di forcine color argento. Un’acconciatura che sua nonna avrebbe definito “a tuppo”, intendendo proprio quella cosa informe, molle, di pettinatura avvolta su se stessa, resa esausta dall’acqua.

“Non metto mai la fede quando nuoto”. Aveva spiegato serio come un bambino che reciti la lezione, giusto per far intendere che non era un gesto di delicatezza riservato a lei, né un omaggio alle sue labbra imbronciate, tremule.

Dispiaciute.

Lei, Tatiana, aveva fatto un gesto con le braccia, indicando il mondo che li circondava, incurante di loro due, del loro legame che si sarebbe dissolto di lì a qualche ora. Il brusio di voci, i gesti chiassosi dei bambini, i palloni galleggianti a strisce viola e rosa.

“Che bel colore di cielo, no? Sembra quasi un quadro impressionista”.

Lui si era leccato le labbra, indeciso su cosa rispondere, e nell’attimo di distrazione che precede il rifiuto, lei si era seduta vicino a lui, toccandogli le cosce abbronzate con le dita bagnate, lo smalto rovinato in più punti.

“Vorrei che potessimo stare sempre immersi qui nell’acqua, in questo blu”.

Si, come spugne. Aveva pensato lui. Proprio quello che voleva per il resto del suo futuro indeciso e vago, già così consumato da quel cerchietto d’oro. “Ci mancava pure questa ossessiva creativa và”.

Una che in un pomeriggio blu vede un amore romantico benedetto dai colori.

La pressione delle sue dita sulle cosce si era intensificata. Ormai le sue mani si muovevano come piccole bisce d’acqua, avide di arrivare alla meta.

Le aveva afferrate, entrambe, quelle mani. Per farle stare ferme. Per zittirla. Aveva i palmi arricciati come quelli di una bambina e la stessa espressione speranzosa e infantile che doveva aver avuto da bambina, mentre lo guardava un attimo, illuminata dalla luce in dissolvenza, tutte le cose di lei che lo infastidivano sospese in quella liquidità. Gli era sembrata, in quella luce, chissà come mai, perfetta. Oltre quella parlata del nord fastidiosa e querula, oltre l’odore di cloro che gli lasciava addosso, oltre la sua pancia un pochino molle.

“Senti Tatiana questa cosa non può essere lo sai.”

Lei era rimasta interdetta. Le minuscole mani a coppa. Nervose.

Si era alzata di scatto. Di colpo. Una forcina d’argento le era caduta.

L’aveva raccolta distratto, pensando che, magari era stato troppo precipitoso, che la luce blu del pomeriggio era solo l’inizio della sera, e che quel momento, forse aveva rivelato un’intesa inaspettata tra loro.

A cena si era avvicinato a lei, che spiccava come una macchia bianca di luce in un quadro scuro. Il vestito a balze, quello della cresima, tirato come un fazzoletto, fino alla vita, che la faceva sembrare una barbie sposa.

I capelli di nuovo in piega si muovevano a scatti di qua e di là.

Non sembrò accorgersi di lui mentre le sfilava accanto con la forcina color argento, continuando a parlare con la sua voce squillante con una ragazzo dalla giacca grigia. Brandelli di conversazione gli arrivavano a tratti.

“Oh. Mi piacerebbe moltissimo rivederti nella mia città. Ti farei vedere tutti gli angoli nascosti”.

“E tutti in un pomeriggio blu”.

Non aveva saputo trattenersi. Come un ragazzino geloso. Lei l’aveva liquidato con un gesto della mano, tesa, lo smalto, questa volta color prugna, di nuovo intonso. All’anulare sinistro un diamante grosso almeno quanto un nocciolo di pesca.

“Questo è Enrico, l’amico ligure del mio fidanzato. Lui è Luca, un collega di Napoli”.

Tatiana aveva corrugato le sopracciglia in un gesto di complicità. Ammiccante. Era proprio una gattina. Con le unghie affusolate.

Bisognosa di coccole.

“Non vi volevo disturbare. Allora auguri pure per il tuo matrimonio eh”.

Si era girato con discrezione urtando delicatamente la spalla di Tatiana. La bocca di lei in un’esclamazione di disappunto. Quella che precede di un attimo una bestemmia.

La macchia rossa di vino che si espandeva come una mano. Perfetta sul bianco del vestito.

 

 

 

 

 

 

 

 

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1 commento »

  1. un racconto piacevole nella lettura dal finale non scontato. I personaggi sono ben definiti anche se con semplici tratti. Il racconto mia piaciuto molto.

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