Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Il Paperino” di Gabriele Vanarelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Quell’estate avevamo un argomento per parlare e per passare le giornate.

Andrea, Orlando, Luciano e Gatto (il suo nome è Luciano ma per non confonderlo con l’altro Luciano lo chiamavamo Gatto abbreviando il suo “strano” cognome) avevano da poco compiuto 14 anni; l’età fatidica per poter guidare un motorino, un cinquantino come dicevamo noi.

Davanti alla bottega di Piergentino c’era, quel pomeriggio, un capannello insolito, non si era mai visto anche perché Piergentino non voleva che davanti al suo negozio di alimentari ci fosse confusione perché diceva disturbavamo la clientela, davamo noia ai passanti, gli buttavamo per terra la frutta e la verdura esposte.

Mi avvicinai cercando di capire che cosa ci fosse di così interessante e mi accorsi immediatamente del perché.

C’erano tre motorini nuovi fiammanti, tre Aspes Cross T con motore Minarelli: uno rosso, quello di Orlando, uno verde quello di Andrea ed uno arancio, quello di Luciano.

Ciascuno in sella al proprio mostro si pavoneggiava come se avesse avuto una Harley Devidson.

Cambiava solo il colore delle moto, l’allestimento era per tutte lo stesso e cioè: sospensione anteriore a molla, molla posteriore, ruote con tacchetti tipo cross ecc. ma già ciascuno pensava alle modifiche da apportare. Luciano diceva che avrebbe messo il carburatore a trombetta da 50 così da aumentare la velocità di almeno 10Km orari, Orlando invece avrebbe cambiato le sospensioni anteriori con quelle idrauliche “Ceriani” ed i copertoni perché erano da cross e lui invece li voleva da strada. Mi ricordo che c’erano discussioni, pareri diversi ma tutti non staccavano gli occhi da quelle moto.

Anche io non potevo fare a meno di guardarle e riguardarle, di controllare tutti i particolari ma soprattutto di sognare di averne una tutta mia.

I miei genitori non volevano comprarmi il motorino, non perché non potessero ma perché avevano timore che mi potessi far male, che mi potesse succedere un incidente e quindi mi avevano detto che me lo avrebbero comprato, sempreché me lo fossi meritato, tra qualche anno, magari alle superiori.

Per me era un vero supplizio vedere gli altri con il  loro motorino che giravano e scorrazzavano per via Susa ed io potevo solo guardarli, chiedergli di poterli toccare ma di salire e fare un giro non se ne parlava proprio perché non le avrebbero  imprestate nemmeno per tutto l’oro del mondo.

I giorni passavano ed il supplizio aumentava sempre di più anche perché ne arrivò un altro di cinquantini: quello di Gatto.

Non era bello come quelli degli altri ragazzi ma era sempre un bel motorino. Non mi ricordo la marca, forse Garelli, ma mi ricordo il colore che era di un bel marrone metallizzato.

A Gatto sarebbe durato poco in quelle condizioni perché lui era un gran ciabattone e gli sarebbe durato nuovo e fiammante da Natale a Santo Stefano.

Gatto era orfano del babbo che era morto quando lui era piccolo. Era stata la mamma che si era presa cura di lui ma non era riuscita perfettamente nell’intento. Luciano (io preferivo chiamarlo così che Gatto come lo chiamavano gli altri più in senso dispregiativo che come soprannome) non era cattivo o maligno come altri. Era buono, generoso, altruista ma un po’ bamboccione ma soprattutto ingenuo quasi quanto me. Io e lui eravamo i più “bimbi” del gruppo, gli altri avevano già i primi peli sul viso mentre noi eravamo dei bambinoni che pensavano solo a giocare e non ad altre cose.

Era anche un bel broccione come diciamo noi. Broccione è quello che se gioca si sporca dappertutto, si graffia con niente, se ha un gioco nuovo lo sciupa solo guardandolo insomma uno sbadato all’ennesima potenza ma in buonafede.

I quattro motorini me li sognavo la notte, mi vedevo in sella al mio Aspes (non ricordo il colore che avevo scelto o che mi sarebbe piaciuto di più) mentre anch’io andavo su e giù per via Susa che a quel tempo era chiusa, perché non avevano ancora costruito il palazzo dove avrebbero aperto la nuova officina Fiat, ed era ancora mezza asfaltata e mezza sterrata. Lo sterrato iniziava poco dopo la bottega di Piergentino e quando si passava di lì bisognava stare attenti al ghiaino che c’era per non cadere.

Avevo provato a chiederlo nuovamente al mio babbo ma non c’era stato verso di convincerlo. Del motorino, se mai l’avessi avuto,  se ne sarebbe riparlato tra qualche anno.

Non so come successe ma mi ritrovai a girare con la mia bicicletta per le vie del paese per cercare qualche motorino abbandonato.

La voglia di averne uno era tanta che nella mia mente si fece strada l’idea balzana che se non  me lo avessero comprato lo avrei potuto comunque avere magari trovandone uno abbandonato che avrei rimesso a posto.

Il mio cinquantino era lì da qualche parte, bastava solo trovarlo ed il gioco era fatto.

Questa idea non mi dava pace, ero fermamente convinto che quella era sicuramente la soluzione al mio problema o per meglio dire non ne vedevo altre. La voglia era talmente tanta che non riuscivo a ragionare in modo diverso. Era anche il periodo delle vacanze estive e non avevo altro a cui pensare. Se fosse successo in un periodo diverso magari sarei stato distratto da altri pensieri, la scuola, i compiti e quindi non avrei avuto quella ossessione che mi perseguitava.

Drogato da questo pensiero continuavo a girare per le vie del paese, in caccia come un segugio alla ricerca di qualche cosa con due ruote ed un motore.

Eccolo!!!

L’ho trovato finalmente, continuavo a ripetermi dentro di me. Era lì che mi aspettava, lo sapevo che da qualche parte ci doveva essere e che la mia idea non era sbagliata.

Mi fermai con la bici, l’appoggiai senza chiuderla al muro e mi avvicinai al motorino con attenzione, senza dare troppo nell’occhio.

Era sotto una arco che immetteva dalla strada ad un parcheggio interno dietro un isolato. Polveroso ma in buono stato, sembrava fermo da diverso tempo, mesi se non anni ma al riparo sotto quell’arco non avrebbe dovuto avere troppi problemi anche nella messa in moto.

Era un Mosquito, il Garelli Mosquito che avevano chiamato “Paperino”. Il nome era scritto sulla canna ed era ancora ben leggibile.

Lo guardai e riguardai con molta attenzione per vedere se era completo o se mancassero dei particolari. Mi sembrava a posto, forse perdeva un po’ di benzina dal tubetto che usciva dal serbatoio (che era la canna) ed andava al carburatore ma quella l’avrei cambiata facilmente non appena fosse stato “mio”.

Quella volta non mi trattenni molto perché non volevo che qualcuno si accorgesse di me e del mio interesse verso quella preda che presto sarebbe stata mia.

Nei giorni seguenti passai più volte a controllare ed il motorino era sempre lì come lo avevo trovato. Non mi decidevo però a portarlo via, avevo paura che il proprietario o qualcuno che conosceva il proprietario mi vedesse e lo potesse avvertire.

A casa sapevo già come avrei giustificato la cosa. Avrei detto semplicemente che lo avevo trovato, che era abbandonato e quindi poteva essere mio. A quel tempo i motorini non avevano la targa, erano quasi come le bici e poi un Paperino abbandonato chi lo avrebbe mai reclamato. Se lo avevano lasciato sotto un arco senza nemmeno una chiusura significava che al proprietario interessava poco o niente.

Quello era il giorno fatidico. Erano ormai trascorsi molti giorni o almeno a me sembravano tanti da quando lo avevo individuato e quindi il momento per portarlo a casa, nella mia tana, era giunto.

Partii da casa a piedi quel pomeriggio non so nemmeno se dissi qualche cosa alla mia mamma, forse le dissi che andavo a giocare dai miei amici alla bottega di Piergentino.

Arrivai in prossimità dell’arco dove era il Paperino. Fino a quel momento era stato tutto semplice mentre ora veniva la parte più complicata della faccenda: prendere il motorino, metterlo in moto ed andare dritto a casa.

Mi accorsi solo allora di non aver controllato le gomme ma fortunatamente erano ancora abbastanza gonfie. Se fossero state a terra il mio piano sarebbe fallito o comunque avrei dovuto rimandare il prelievo.

Lo scostai dal muro e lo incominciai a spingere verso la strada principale. Tutto tranquillo, nessuno si era avvicinato a me o affacciato alla finestra per dirmi qualche cosa. Stava andando tutto per il meglio.

Agganciai la leva del motore in modo che il rullo andasse a toccare con la ruota posteriore (per chi non conosce il Mosquito e quindi non ha la mia età deve sapere che questo tipo di motore aveva la trasmissione a rullo e non a catena; la ruota posteriore veniva fatta girare tramite un rullo, coassiale con il motore, che premeva contro il battistrada del copertone della ruota posteriore), spinsi in avanti la leva dell’alza-valvole (meccanismo che serviva per la messa in moto) ed incominciai a spingerlo per farlo partire. Il Paperino partiva così, non aveva la messa in moto a pedale o il motorino d’avviamento come oggi.

Provavo e riprovavo ma il motore non ne voleva sapere di partire, faceva solo qualche scoppio ma niente di più.

Avevo già fatto varie centinaia di metri lungo quella strada e per non dare troppo nell’occhio mi trasferii nella parallela per provare ancora a farlo partire.

Doveva partire per forza, non accettavo l’idea che non potesse partire e di doverlo portare a casa a spinta.

Mentre facevo un altro tentativo ecco che un signore esce da un negozio e si dirige verso di me guardando insistentemente il motorino, come se stesse cercando qualche cosa.

<Ma è tuo questo motorino?>

<Dove lo hai trovato?>

Io rispondo semplicemente che l’ho trovato non distante da lì, che non è di nessuno, che non era chiuso insomma cerco di difendermi anche se fino a quel momento il tono di quel signore non era né cattivo né offensivo ma certamente voleva avere delle risposte chiare e precise.

Mi chiede di portarlo nel luogo dove dico di averlo trovato perché gli sembra che quel Paperino sia proprio il suo, quello che ha lasciato da tempo fermo da una parte.

Appoggiamo il motorino al marciapiede e piano piano mi incammino verso il punto dove lo avevo preso.

Svolto l’angolo ed il signore è sempre vicino a me, poi leggermente dietro di me. Io gli dico che il posto è ancora più avanti ma non lontano e mentre dico queste parole le mie gambe incominciano ad allungare il passo.

Lui è dietro di me ma un po’ più lontano di prima e mi chiede di aspettarlo. Io gli dico che il posto è vicino, proprio qui dietro l’angolo ed accelero ancora ed ancora.

Svolto l’angolo ed ho …….. battuto qualsiasi record mondiale di velocità e distanza.

Ricordo di non essere passato per anni dalla strada dove uscì il negoziate anche dopo che mio padre mi comprò il mio primo motorino, un Innocenti LUI 50.

 

 

 

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