Premio Racconti nella Rete 2010 “Il cane che voleva volare” di Sergio Cardinali (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Un altro giorno volgeva al termine nella piccola baita ai piedi della grande montagna; il sole aveva già da un po’ abbandonato la vallata, e le prime timide stelle, guardiane della notte, si accesero timidamente per sopperire all’uscita di scena della luce solare. In agosto, erano molti i turisti che frequentavano quei luoghi da favola, ma una volta scesa l’oscurità, tutto si bloccava in un fermo immagine cinematografico ed il paesaggio si trasformava in una suggestiva cartolina notturna, da spedire agli amici più cari.
“Bucaneve”, il cane della baita, era l’unico essere vivente che gironzolava pigramente nelle vicinanze del bosco; le luci all’interno della casupola di legno luccicavano come tante gemme preziose e lui, come suo solito, passeggiava mestamente e pensava e ripensava alla propria situazione di cane di montagna. In effetti, non poteva certo lamentarsi, durante il giorno i visitatori del luogo mostravano molte attenzioni nei suoi riguardi; i bambini in particolar modo, litigavano fra loro per giocare con lui e Bucaneve si faceva coccolare da tutti, molto volentieri. La scodella del cibo, inoltre, era sempre piena ed invitante tanto che nel periodo estivo, il nostro amico, accumulava sempre qualche etto, che poi fortunatamente smaltiva nel periodo autunnale, quando i visitatori calavano. La sua casa infine, era molto bella e confortevole: una piccola e graziosa cuccia di legno chiaro e robusto con all’interno un grosso cuscino colorato per dormire comodamente. Sulla scodella di ceramica bianca, si poteva leggere il suo nome scritto in bella mostra: “Bucaneve”.
Il nostro simpatico quadrupede, si presentò nei pressi della baita tre anni prima, ancora cucciolo e forse abbandonato da qualcuno; era il mese di dicembre, un dicembre molto freddo ed innevato. Il piccolo cane si presentò bagnato ed affamato all’ingresso dell’abitazione; il suo colore era bianco, più bianco della neve intorno a lui; un bambino uscito per controllare il suo pupazzo di neve, lo vide e lo raccolse con i suoi caldi guanti di lana, rossi e blu, esclamando:
“È un fiore spuntato dalla neve, lo voglio chiamare Bucaneve!”… e Bucaneve… fu per tutti, il suo nuovo nome.
All’inizio il cagnolino non fu molto contento di questa decisione forzata:
“Non si può chiamare un cane maschio con il nome di un fiore!” pensava con orgoglio, ma poi col tempo si abituò.
Come tutte le sere, finita la sua passeggiata solitaria notturna, Bucaneve entrò nella sua accogliente cuccia, il muso fuori per prendere l’ultima boccata d’aria fresca e gli occhi scuri diretti verso l’alto. Il cielo stellato, ma anche il cielo azzurro del giorno e perché no, anche i nuvoloni di un giorno di pioggia; Bucaneve non perdeva occasione di rimirare il cielo; il cielo era la sua vera passione.
Il cane ammirava l’immensa volta celeste e sognava… come tutti i bambini, sognava di volare. Si addormentava Bucaneve e tutte le notti fantasticava con lo stesso identico e meraviglioso sogno: il primo cane della storia animale… che poteva volare!
Il giorno seguente accadde qualcosa di straordinario, che cambiò la vita di Bucaneve: un enorme falco pellegrino, atterrò leggiadro ed imponente, proprio sopra il tetto della sua cuccia. In realtà con le ali chiuse l’uccello non era poi così grande e maestoso, ma il nostro cane rimase impressionato vedendolo planare dolcemente e silenziosamente con le sue ali strette, appuntite e soprattutto lunghissime. L’animale aveva una piccola coda ed il suo piumaggio era molto elegante, un misto di rosso e grigio scuro che andava sfumando verso le estremità delle ali. Gli artigli incutevano invece terrore ed erano un valido motivo per cercare di diventare al più presto… suo amico fraterno.
Bucaneve prese coraggio, si avvicinò lentamente ed iniziò, con un filo di voce, il suo colloquio.
“Bella questa valle vero! Non ne troverai di migliori in tutta la zona! Ehm… dall’alto sarà ancora più incantevole… vero?”
Il falco non pronunciò nessuna parola; se ne stava immobile e con lo sguardo altezzoso, voltato dalla parte opposta e di tanto in tanto sfregava il suo forte e micidiale becco, nell’estremità più alta del tetto della cuccia.
Il cane non si perse d’animo ed incalzò.
“Non sei di queste parti! Non ti ho mai visto… no! Non mi sembri proprio di qui! Io… mi chiamo Bucaneve e tu?”
L’uccello prima si grattò energicamente il collo con la zampa destra, poi improvvisamente, scoppiò in una fragorosa risata e di seguito, parlò con voce suadente.
“Bucaneve! Che razza di nome per un cane!” E rise di nuovo.
Il povero cane, abbassò mestamente i suoi profondi occhi ed arrossì leggermente.
“È una storia lunga… è che nevicava e mi hanno trovato…
“Non m’interessano le tue stupide storie, ho appena pranzato in volo come mio solito e mi stavo riposando! Vengo da lontano, aldilà della grande montagna… ma ora devo andare! Non ho tempo da perdere, io!”
Il falco aveva pranzato in volo! Incredibile! Bucaneve non credeva alle sue lunghe orecchie di cane. “A me basterebbe volare per pochi minuti” pensò, “Mentre questo magnifico volatile, ci mangia anche, in volo”.
“No! Aspetta… non te ne puoi andare… non subito… ti prego!”
“Oh bella, perché non dovrei andarmene! Nessuno ha mai impartito ordini ad un falco pellegrino… figuriamoci poi… se un cane di nome Bucaneve…”
“Ho un’idea! Ascoltami… tu potrai riposarti tutto il giorno ed anche la notte… sì anche la notte, ti offro la mia cuccia… è molto accogliente e poi…
“Una cuccia per cani… mi ci vedi! Dovrei dormire in una stupida cuccia per cani!” Rise di nuovo il Falco e già si preparava ad involarsi, ma Bucaneve giocò la carta strategica.
“E la scodella… che ne dici della scodella… è bella, di ceramica e soprattutto è sempre piena zeppa di cibo! Ti offro cuccia e scodella in offerta speciale!”
La cosa si faceva interessante per l’uccello, che infatti, riprese momentaneamente, la sua posizione di riposo.
“E… sentiamo cane dal nome ridicolo, perché faresti questo per me… cosa pretenderesti in cambio!” Chiese il falco in tono interrogativo.
“Niente… una sciocchezza… un… piccolissimo favore… le… sì, le tue ali!” Disse con voce tremante, come se avesse ingoiato un ragno con tutta la ragnatela intorno.
“Le mie… ALI!!!”
“Sì… ma per un giorno, un solo giorno o anche meno, solo qualche ora… va bene?”
“Ma… cosa ci fai, tu, un cane… con delle ali!”
Bucaneve era eccitato, sapeva che era ad un passo dal suo sogno, doveva insistere, doveva convincere l’uccello.
“Voglio… volare mio caro falco, voglio salutarti dall’alto del cielo, sorvolare la grande montagna e ridiscendere la vallata, voglio bucare le nuvole, salutare gli altri uccelli, volteggiare senza paura ed ammirare finalmente il mondo dall’alto… ti sembra poco?”
“No! Mi sembra strano… un cane volante! Non ci crederanno mai i miei amici!”
Il falco si grattò di nuovo il collo, questa volta con la zampa sinistra, poi dette uno sguardo molto interessato alla cuccia e soprattutto alla scodella piena di leccornie; quindi esclamò:
“Solo per un’ora!”
“Solo per un’ora!” Replicò il cane. Gli occhi gli si illuminarono, pianse dalla gioia e trattenne a stento un ululato liberatorio.
Con grande cura il falco si tolse le preziose ali, le spolverò bene bene e le diede a Bucaneve, raccomandandosi di trattarle con cura. Il cane si tolse le zampe davanti e la coda, non voleva intralci per il suo primo volo.
Si sentiva indistruttibile Bucaneve, un piccolo cane bianco con due possenti ali variopinte; avrebbe voluto chiamare i suoi amici bambini ad assistere al suo battesimo dell’aria, ma aveva poco tempo, solo un’ora e non poteva certo, sprecare minuti preziosi.
Il falco invece, senza le sue ali, era abbastanza ridicolo, aveva infatti, perso quella fierezza di prima ed in cuor suo sperava che quell’ora fosse la più corta della sua vita; oramai aveva dato la sua parola e ripensò alla scodella ricolma di cibo.
“Allora cane volante” Disse, “Non è poi semplicissimo volare, prendi una forte rincorsa, fatti portare dal vento e quando hai raggiunto la massima velocità spicca un grande salto ed apri le ali, iniziando a muoverle dolcemente!”
Bucaneve salutò il suo amico falco, lo ringraziò per le ultime raccomandazioni e partì per la rincorsa. Il cuore gli batteva fortissimo, ma in quel momento pensava solo a correre, correre e correre; aprii le grandi ali e finalmente il salto nel sogno, le zampe posteriori, le uniche rimaste, si staccarono dall’erba verde ed umida del prato e qualcosa spinse Bucaneve verso il cielo infinito ed azzurro; era stato sicuramente il vento ma soprattutto erano state le grandi ali del falco pellegrino.
“Amico falco… guarda amico falco… sto volando… è incredibile… sto volando!”
E volava veramente il piccolo cane, il suo sogno si era trasformato in realtà, volava con grande sicurezza, come se l’avesse fatto da sempre.
Il cielo era immenso e Bucaneve si sentiva padrone del mondo, continuava a salire sempre più in alto e poi giù di colpo con grandi piroette; poi di nuovo altissimo ed ancora in picchiate vertiginose. Oh! Sì, era come l’aveva sempre immaginato, una sensazione di leggerezza e di immenso potere.
Era bello guardare le cose dall’alto: la sua baita piccolissima con un rigagnolo di fumo che usciva dal camino ed i prati intorno, tutto in miniatura come un bellissimo presepio, un presepio vivente; la cima della montagna era davanti a lui, alla sua stessa altezza ed il bosco era una semplice macchia scura ai suoi occhi. La sua cuccia; avrebbe voluto vedere la sua amata cuccia, ma niente, era troppo piccola da lassù; calcolò la posizione dove più o meno, doveva trovarsi ed intravide un puntino minuscolo; forse era quella la sua cuccia o forse no, che importava, stava volando e questa era l’unica cosa entusiasmante della giornata.
Scorse anche il fiume spumeggiante che scendeva dalla montagna, ma sembrò una piccola lacrima, che dalla vetta più alta scivolava su una guancia ruvida di rocce e vegetazione rigogliosa. E poi gli uccelli; Bucaneve non sapeva che esistevano così tanti animali volanti, di tutti i colori e di tutte le dimensioni; alcuni lo guardavano meravigliati, altri, quelli più piccoli, scappavano impauriti.
Certo! Non capitava tutti i giorni di incontrare un cane volante!
Come sempre accade nei momenti piacevoli, il tempo passava velocemente ed era giunto il momento di ritornare a terra, come promesso al suo amico falco. Nel frattempo il nostro uccello aveva già divorato la scodella del cane e se ne stava impaziente nei pressi della cuccia; più che un falco pellegrino, senza le sue ali, sembrava una quaglia che aspettava l’autobus. Alcuni turisti che passavano nei suoi pressi, fotografavano lo strano animale, ridevano di gusto e commentavano:
“Che buffo! Sembra un volatile ma non ha le ali!”
Era inutile spiegare a tutti l’assurda storia del cane volante, oramai l’ora era passata e finalmente il povero falco sarebbe tornato alla sua condizione naturale.
Bucaneve si dovette rassegnare, era molto tardi e si preparò a malincuore all’atterraggio.
“A proposito d’atterraggio”, Pensò il cane, “Io non ho mai fatto un atterraggio… il falco mi ha spiegato il decollo… Ma… non l’atterraggio! Mamma mia… Falco!… Falco!… Come si scende da quassù… Falco, amico mio, aiutami!”
Piangeva il cane, era stato bello volare, ma ora voleva tornare un normalissimo animale domestico a quattro zampe con coda incorporata, voleva rincorrere bastoncini lanciati da bambini giocherelloni, ululare alla luna e dormire nel cuscino colorato della sua piccola ma accogliente cuccia.
“Falco!… Sono io… sono il tuo amico… il cane volante… Falco ti prego, ti scongiuro… aiutami, fammi scendere!”
L’uccello che già aveva i suoi problemi estetici, non poteva sentirlo ed anzi, iniziava a preoccuparsi per il ritardo dell’amico.
Bucaneve si decise, doveva a tutti i costi tentare un atterraggio di fortuna, “Se lo fanno gli aerei, perché non dovrebbe farlo un cane volante?” Pensò. Puntò il bianco muso appuntito verso il basso ed iniziò a scendere di quota, con le ali allineate e le zampe posteriori verso l’alto; la velocità continuava ad aumentare paurosamente e la terra si avvicinava sempre più.
“Mi schianterò al suolo!” Si ripeteva piagnucolando, “Mi schianterò al suolo come una mela marcia!”
Sempre più giù, adesso vedeva bene la sua baita, i prati ed i ragazzini che giocavano allegramente; la sua cuccia e… “Falco… falco… sono qui falco… sto scendendo… beato te che non hai più le ali!… Falco!”
L’uccello sentì la voce del cane, alzò gli occhi al cielo e vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere: un cane volante imbranato, in picchiata libera verso il solido terreno. Occorreva un’idea e subito, era ormai questione di pochi secondi. Pensò ad un corso accelerato d’atterraggio, ma si rese subito conto che il tempo non sarebbe stato sufficiente, allora si guardò intorno ed intravide l’unica possibilità di salvezza, per il cane, ma anche per le sue amate ali. Iniziò allora ad urlare con quanto fiato aveva in gola:
“Puoi sentirmi cane volante?… ascoltami… Il fienile… la stalla… vai verso la stalla… devi centrare la porta della stalla… mi hai capito?”
Bucaneve aveva capito benissimo, ma sinceramente non gli sembrava un’idea sconvolgente, d’altra parte, che differenza c’era, schiantarsi sul prato o dentro una stalla… e vada per la stalla. Voltò allora il muso, appena appena verso destra, si chiuse gli occhi con le lunghe orecchie, non prima di aver preso le misure della porta della stalla e pregò ad alta voce, giurando per il futuro… se ci sarebbe stato un futuro, di addormentarsi con sogni più adatti ad un normale cane di montagna.
Anche il falco chiuse gli occhi e si portò le zampe sul muso per maggiore copertura, perse l’equilibrio e cadde in terra come un fesso; l’ultima preghiera fu comunque questa:
“Signore di tutti i volatili, fa che dentro la stalla ci sia del morbido fieno e soprattutto, fattore determinante… fa che la porta sia ben aperta…”
La cavalla Melissa stava giusto uscendo dalla stalla, per prendere una sana boccata d’aria dopo un meritato pranzetto; aprì tranquillamente con il lungo muso, la porta e… che faccia fareste voi, se uscendo baldanzosi da casa per raggiungere i vostri amici, vi scontraste improvvisamente con un cane volante non identificato… non fu di certo una piacevole esperienza… originale, sì! Ma niente affatto gradevole.
Bucaneve entrò come una furia in posizione aerodinamica, sfiorò il muso della cavalla, gli spettinò il crine, rovesciò tutto quello che poteva rovesciare e fermò il suo volo sconclusionato, atterrando goffamente in un comodo e caldo cumulo di fieno.
La cavalla melissa dopo un nitrito di paura, sgranò i suoi occhi marroni e se ne scappò via barcollando in un luogo meno pericoloso.
Il falco si avvicinò con il cuore in gola e… Bucaneve finalmente aprii gli occhi, cacciò fuori il muso dalla paglia ed uscì un po’ acciaccato dalla stalla, tirando un sospiro di sollievo.
“Che botta! Falco… che botta!… Dì la verità falco… tu hai un paracadute! Non si può atterrare senza! Perché non mi hai dato il paracadute… Riprenditi pure le tue ali, sono un po’ stropicciate ma funzionano ancora… caspita se funzionano!”
Il volatile tirò un respiro di sollievo, scosse la testa e disse:
“Tieni la tua coda ed anche le zampe cane… assai poco volante!”
Rise Bucaneve, rise anche il falco e la cavalla Melissa che era tornata sul luogo dell’accaduto; dopo lo scampato pericolo, risero tutti fino a farsi mancare il fiato.
Il falco pellegrino indossò finalmente le sue ali, togliendo dalle stesse, le pagliuzze di fieno rimaste, salutò energicamente il nuovo amico e nella maniera più naturale possibile, spiccò un balzo atletico e raggiunse il cielo, che adesso minacciava temporale.
Bucaneve continuava a salutare il falco, con la coda appena indossata e pensava, com’era bello essere cane e poter correre a perdifiato per prati e boschi insieme ai bambini ed agli altri animali della splendida baita di montagna.
Il falco pellegrino era oramai un puntino nel cielo grigio e pesante; la prima goccia di pioggia, beccò in pieno il naso di Bucaneve che si rifugiò volentieri dentro la sua calda cuccia.
Ben presto smise di piovere, i temporali in montagna durano poco, ed anche quella sera, al termine della sua lunga passeggiata notturna, Bucaneve entrò nella sua piccola dimora. Ancora una volta, il suo simpatico muso, uscì dalla porta della cuccia per prendere l’ultima boccata d’aria e gli occhi scuri e grandi si rivolsero con nostalgia verso l’alto.
L’immenso cielo di nuovo stellato, la sua passione di sempre; ma quella non era una sera come le altre, l’indomani avrebbe avuto una storia nuova, tanto incredibile quanto affascinante, da raccontare a tutti:
l’avvincente storia del “cane che voleva volare”.