Premio Raccnti nella Rete 2017 “Zio Benjamin” di Francesco Calè
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Il caro, vecchio zio Benjamin. Nemmeno allora aveva dismesso i suoi lineamenti sbarazzini, da eterno fanciullo. Anzi, sembrava che anche in quel momento gli stesse elargendo uno dei suoi sorrisi complici. Esibiva un aspetto così sereno, così vispo, e soprattutto così vivo. Decisamente, gli appariva più vivo del personaggio austero e allampanato che stazionava proprio al fianco dello zio.
Eppure, si sorprese a riflettere Sam, zio Benjamin era morto. E quello stoccafisso terreo era l’officiante che avrebbe, di lì a poco, aperto il cerimoniale. La liturgia che era causa e occasione della sua presenza in quella sala anonima.
La sua vista si calamitava ora sul morto-vivo ora sul vivo-morto. Il contrasto paradossale gli strappò un risolino. Lo mascherò, simulando qualche strozzato colpo di tosse.
Fu riscosso da queste meditazioni dal tocco delicato di una mano, che gli si posò sulla spalla. Si voltò. Era Clarice: lo fissava attraverso la veletta scura con occhi mesti, sforzandosi di assumere un’espressione consolatoria. Evidentemente, aveva scambiato quei singulti per un pianto soffocato.
“Coraggio, Sam. Mancherà a tutti noi”, esordì sua cugina, con voce calda. L’ovale perlaceo del viso e la chioma dorata, raccolta in un nodo, gli parvero al solito radiosi, seppur costretti dietro quel sottile schermo opaco. “Dobbiamo ricordarlo come lui avrebbe voluto”, stava continuando lei. “Dobbiamo serbare nella memoria l’immagine di uno zio giocherellone, brioso, gaudente…”.
“Certo, come no? Chiamalo gaudente, chiamalo come vuoi, ma rimarrà sempre quello che era. Un grandissimo pagliaccio!”. La brusca intromissione, che si era inserita a spezzare le parole commosse di Clarice, proveniva dall’altro lato della stanza.
Si girarono entrambi, a indirizzare una muta reprimenda, fatta di ciglia aggrottate e di occhiate furenti, verso l’autore di quell’improvvida uscita. Carl, il terzo cugino convocato a quel rito. Quello sostenne il loro sguardo infuocato, contraccambiandolo con una smorfia cinica e annoiata. La moglie, seduta accanto a lui sul divano, lo osservava tesa. Nel tentativo di placare gli animi, mosse un timido rimbrotto al consorte: “Carl! Ma che stai dicendo? Era un tantinello originale, indubbiamente. Forse un po’ troppo, a dire il vero. Ma era pur sempre tuo zio. E soprattutto, ora non c’è più. E ai defunti bisogna portare rispetto”.
“Originale? Bell’eufemismo!”, sbottò Carl, ostentando un ghigno irridente. Il cauto rimprovero della moglie non era servito ad alcunché. “A me le sue dannate burle non sono mai parse un sintomo di originalità. Le ritenevo, e le ritengo tuttora, uno sfoggio di cattivo gusto, oltre che il prodotto deviato di una personalità malata”.
“Suvvia Carl, non credi di starla facendo troppo grossa?”, intervenne Sam con tono scanzonato. Aveva deciso che non valeva la pena di rabbuiarsi. Avrebbe dato il fatto suo a quel ruvido figuro che era il cugino, nei modi che di sicuro lo zio avrebbe apprezzato: facendosi beffe di lui. “A me gli scherzi di zio Benjamin sono sempre piaciuti”, incalzò. “Perché, a te no?”. Sbirciò di sottecchi la cugina, poi le fece l’occhiolino. Il volto imbronciato di lei si distese. Clarice aveva compreso il suo gioco, e lo approvava.
“Dai”, proseguì Sam, conservando un timbro provocatoriamente cordiale, “non dirmi che non ti sei mai divertito. In fondo, le trovate dello zio erano innocue goliardate. Ma scommetto che sotto sotto le gradivi anche tu, nonostante la corazza burbera e seriosa che hai incessantemente tenuto a indossare”.
“Corazza seriosa? Per come la racconti, sembrerebbe quasi un motivo di vergogna. Ma io mi vanto di essere sempre stato una persona seria!”, proruppe Carl. “E se ci tieni tanto a saperlo, no. Non ho mai gradito quelle che tu definisci innocue goliardate. Ma fammi capire, a te garbavano? Anche quando la vittima eri tu?”.
“Ovviamente sì. Zio Benjamin aveva la capacità di donarmi il buonumore. Persino quando il bersaglio ero io”, confermò Sam. Poi si rivolse alla cugina, chiedendole: “rammenti quando mi lasciò nell’automobile, parcheggiata sotto casa mia, quel manichino che aveva tutta l’apparenza di un cadavere insanguinato di donna? Per poco non mi faceva arrestare, quel vecchio matto”. Le parole finali si stemperarono in una risata prima accennata, che divenne via via più sonora.
A quella genuina manifestazione di allegria si accodò anche Clarice, che incurvò le labbra in uno splendente sorriso, per poi rafforzare il concetto: “io non scorderò quella mattina, quando mi svegliai, e mi accorsi che le porte della mia villa erano state murate. Per uscire, fui obbligata a scavalcare la finestra del salotto, e capitombolai tra le siepi del giardino. Non mi sono mai spiegata come avesse fatto a organizzare tutto in una sola notte. Hai ragione, Sam”, concluse affettuosa. “Era proprio un vecchio matto. E ogni volta ci ha mostrato il lato buffo delle cose”.
I due si volsero a contemplare lo zio. Pareva incoraggiarli. Pareva seguire la sceneggiata che si stava svolgendo di fronte a lui, con quegli occhi maliziosi, come se volesse rubare alla vita un ultimo sprazzo di ilarità.
Altri occhi avevano nel frattempo assistito a quel teatrino. Gli occhi imperscrutabili del maestro di cerimonia. Chi sa quali pensieri si celavano dietro quello sguardo statico. Chi sa se il tizio stava in effetti pensando a qualcosa.
Carl, con affettazione, manteneva un contegno altero. “La verità è che lo zio poteva permettersi di architettare i suoi infernali stratagemmi a spese di noi povere persone normali, perché aveva un sacco di tempo da perdere. Comodo, con tutti i soldi che aveva da parte”, dichiarò con asprezza. Per poi affermare: “vi tirava su di morale? Beh, mi fa piacere per voi. Ma io e Daisy non ci vedemmo nulla di divertente, quando al ritorno dal nostro matrimonio rientrammo in casa e la trovammo in quelle condizioni. La porta della camera da letto serrata, e la chiave nascosta in uno degli innumerevoli palloncini che erano stati gonfiati e disseminati per le stanze e i corridoi. Impiegammo ore e ore per farli scoppiare”. Si girò verso la moglie, in cerca di sostegno al proprio risentimento, per scoprirla che si teneva una mano premuta sulla bocca, a frenare una spontanea esplosione di risa.
“Sei fortunato”, lo punzecchiò Clarice. “Hai una moglie che ha più senso dell’umorismo di te”.
Carl non era tipo da darsi per vinto. Si impose di ignorare il tradimento della moglie, e usò l’argomento che si era riservato per ultimo. La stilettata definitiva. “Ma sentiteli, i santarellini”, attaccò. “Quelli che si sollazzavano tanto, alle graziose burle dello zio. Quelli che ne traevano per giunta un insegnamento di vita. Ma andiamo! Non fate gli ipocriti! Voi siete qui soltanto per i soldi! Per l’eredità!”.
Clarice, incredula che il cugino avesse potuto muovere un’accusa del genere, si era fatta paonazza in volto. Balbettò qualche frase smozzicata, poi avanzò qualche passo verso di lui, con i pugni stretti e le braccia tese lungo i fianchi.
La bloccò Sam, che le si piazzò davanti, con le mani sollevate e aperte, le lanciò un’occhiata rassicurante, per poi rispedire quel colpo basso al mittente: “ipocriti noi? Tu, dal piedistallo della tua millantata serietà, hai marchiato lo zio come un pagliaccio. Hai sbandierato il fatto che i suoi scherzi non li hai mai potuti soffrire. E nonostante tutto, ti sei presentato qui. A chi è che interesserebbero solo i soldi? Chi sarebbe l’ipocrita?”.
Il tizio alto e secco si schiarì la gola, per interrompere quella schermaglia, e per ricondurre l’attenzione su di sé e soprattutto sulla solennità della funzione che stava per essere celebrata.
I tre cugini, insieme a Daisy, gli si avvicinarono, attorniando quegli inusitati affari: da una parte la teca trasparente, dalla quale si affacciava, sornione, lo sguardo dello zio, dall’altra il macchinario che troneggiava in quell’ambiente asettico.
Mentre armeggiava con quel marchingegno, il pallido individuo iniziò: “come sapete, sono il notaio chiamato a far rispettare le estreme volontà del vostro compianto zio, Benjamin Faulkner. Questi ha espressamente disposto che i suoi beni debbano essere egualmente ripartiti fra voi nipoti, unici suoi parenti, a condizione che partecipiate al sorteggio che ora andrò a presiedere”.
Qualche scatto, e l’urna prese a roteare sul proprio asse. Lì dentro, i bussolotti ruzzolavano, volteggiavano e sobbalzavano.
Carl si approssimò alla salma dello zio, la scrutò ostile, e bofonchiò: “insulso maniaco. Non hai resistito alla tentazione di giocarci il tuo ultimo tiro, vero? Ti sei fatto imbalsamare. Ti sei fatto collocare in questa bacheca, bello comodo su quella che è stata la tua stramaledetta poltrona preferita. E poi, hai sistemato le cose in modo che noi tre dovessimo necessariamente prender parte a questa estrazione, per stabilire chi avrà la fortuna di ospitarti, per il resto dei propri giorni, nel salotto di casa, pena l’esclusione dal testamento. E io non dovrei neanche chiamarti pagliaccio?”.
Francesco, non m i spiego il motivo per cui non ci sono commenti. Grottesco e divertentissimo, con quel misto di livido humor che gli dà un gran bel colore.