Premio Racconti per Corti 2010 “La zitella malata d’amore” di Antonietta di Cicio
Categoria: Premio Racconti per Corti 2010Era vestita come forse poteva vestire una vecchia zitella inglese, di quelle che si vedono talvolta nei film gialli d’altri tempi: un po’ deco’, un po’ trasandata. Gonna a quadroni marroni e gialli, calze marroni, mocassini bassi verde scuro con frange arricciate chiuse in campanellini rossi. Camicettina rosa coperta da largo blazer beige chiaro. Non doveva avere più di quarant’anni e ne dimostrava tanti in più quanti le attuali quarantenni non ne dimostrano. La osservavo: mi sembrava di aver riconosciutonei tratti del suo volto, pallido e decisamente stanco, une delle ragazze che vent’anni prima frequentava il mio liceo. Le osservavo le mani: non aveva unghie nè curate nè smaltate, al posto della fede che mi sarei aspettata di vedere, c’era un brutto anello di latta simile a quelli che vincono a Pasqua nelle uova di cioccolato acquistate al supermercato. Le mani, però, erano tipiche di chi non faceva grosse fatiche, mi immaginai immediatamente come quelle dita si dovessero muovere per ore tra pratiche da archiviare, tasti di conputer non troppo moderni e francobolli.
Dovevo aver pensato:” E se il mio volto sembrasse a chi lo osserva come il suo?”, un’ombra di velata amarezza si diffondeva tra le sue poche rughe con un intensità tale da mettere angoscia. Lo sguardo di quella donna era stanco e la scia di una delusione intima quanto devastante le scivolava nell’espressione, appunto, troppo amara per essere fraintesa: era stanca dal disgusto. Un disgusto che, secondo me, doveva essere generato da una delusione. D’amore.
Il volto che avevo di fronte sembrava l’onda alta di una tristezza recente ma antica per le origini che probabilmente aveva scavato una vita, quella della donna seduta sul seggiolino grigio della linea metropolitana che come ogni sera avevo cavalcato per il mio solitario rientro a casa.
Pensai che mi sarebbe piaciuto essere una vena intelligente della sua testa.
Avrei voluto leggerle le emozioni.
Dovevo capire se mi stavo sbagliando su quella donna ed iniziai a tenere alto il livello d’attenzione fingendo di concentrarmi sul libro che avevo aperto all’inizio del viaggio più per abitudine che per reale interesse alla lettura.
All’improvviso la vidi fissare un punto nel vuoto.
Stava guardando dentro di se attraverso il “punto del niente ” che si materializzava oltre il vetro del finestrino del vagone della metro. Un nulla-niente che le scorreva velocissimo nello sguardo, al buio, come buia era la galleria che stavamo percorrendo, insieme, una di fronte all’altra, sedute.
Quel NULLA glielo intuii nell’anima e provai una gran pena.
Avrei voluto , per lei, che almeno fosse stata bellissima, elegante e curata come le giovani signore che – affrante dall’ultimo tradimento del marito- affollavano settimanalmente il mio studio di avvocato. “Il dolore dei belli e dei ricchi è anche più bello da vedere …” mi dissi ed in un lampo mi pentii per la sciocchezza che avevo pensato.
Il dolore non ha immagine, ha un’unica espressione per tutti gli uomini.
E poi pensai che dover tornare a casa per cena senza un uomo che ti aspetta, come succedeva a me reduce da più di una relazione sbagliata, poteva giocare brutti scherzi alla fantasia.
Le evoluzioni e le giravolte dei miei pensieri, soggettive e sintomo di una dolorosa esperienza personale, le capii nel momento esatto in cui le squillò il cellulare. “Amore” disse e rimase ad ascolatre qualcosa che le stavano domandando dall’altra parte della cornetta. ” E’ andata male” aggiunse, passandosi una mano sulla fronte un po’ brufolosa con il solito sguardo fisso nel vuoto. ” Si” disse , chiudendo il telefono nella mano destra serrata e sospesa accanto all’orecchio” il veterinario ha dovuto abbatterlo, peccato: era il siamese più dolce del mondo”.
Insomma le era morto il gatto.
Mi alzai.
Dimenticai tutto quello che avevo immaginato e mi accusai di idiotismo.
Flusso di pensieri, non certo adatto per una resa come corto, a mio giudizio