Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “(In)certezza” di Granit Baqaj

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

 

Parte I:

Sveglia alle 06:00, scendo dal letto facendo scricchiolare le toghe il meno possibile per non farla svegliare, sforzo inutile. Dimentico sempre che mia moglie, Safiha, non la trovo mai a letto. È in cucina, e come ogni mattina prepara la colazione e il pranzo per me e nostro figlio di 8 anni, Ammar.

Amo fare colazione tutti insieme mentre fuori il sole accende Parigi. Mi vesto, infilo nello zaino il mio camice di lavoro ed esco.

Il lunedì lo odiano tutti qui. Non li capisco. Io lo amo, amo aver la possibilità di lavorare in una nazione vera. Per gli altri è tutto scontato ma non lo è per me. Non che in Iraq non fosse vera la vita, capitemi, ma negli ultimi anni è cambiato tutto. Dopo l’invasione americana lo Stato si è frammentato in tanti piccoli gruppi che hanno iniziato a combattersi imponendo la loro verità come la sola.

La guerra civile sembrava lontana dal nostro villaggio, ma ricordo molto nitidamente il giorno in cui le Pantere sono entrate in città. La fabbrica in cui lavoravo è stata data alle fiamme. Hanno disseminato IL terrore, decapitando il consiglio comunale nella piazza del mercato e bruciando vivo chi ha provato a combatterli. La loro malvagità è inaudita. La gente qui parla di loro ma non sa. Parlano, non riflettono, se non come gli specchi, per riflesso. Parlano di loro definendoli  mussulmani, in Iraq parliamo di loro definendoli Pantere, entrambi sbagliamo. Quello che fanno non ha a che fare con la fede ne tantomeno col regno animale.

Quello che posso assicurarvi è che vivere una tale atrocità, signori miei, ti cambia dentro, rivaluti la vita cosi in fretta che smetti quasi di conoscerti.

Io e la mia famiglia siamo scappati appena abbiamo potuto. Una volta stampato un falso documento di ricongiungimento famigliare e riempito qualche busta di vergogna per corrompere qualche guardia di confine siamo arrivati qui, in Francia.

Quando arrivammo a Parigi grazie ad alcuni parenti di amici riuscimmo a trovare un monolocale per poco prezzo. Imparammo il francese abbastanza da sistemare le carte. Dopo un primo periodo molto scombussolante riuscimmo a ritrovare quel briciolo di pace che sembrava fosse rimasta tra gli artigli delle Pantere. Eravamo esausti, ci sentivamo persi, soli, confusi. Ma sapevamo che avevamo fatto la cosa migliore, non per noi, ma per Ammar. Qui potevo vedere per lui un futuro vero, come lo era stato per me e sua madre nell’Iraq che vogliamo ricordare.

 

Arrivai al lavoro giusto in tempo per cambiarmi e iniziare a sistemare le casse di frutta che altro non facevano che aspettare me.

La giornata passa velocemente, la clientela poche volte ha facce diverse da donne anziane e in un attimo sono le 18, il rumore delle saracinesche che abbasso sono l’ultimo suono della giornata lavorativa che sento.

Mi dirigo verso la metro ma non prendo la solita linea rossa per tornare a casa, oggi è lunedi e Ammar ha la sua lezione di chitarra nella direzione opposta. È un bravo chitarrista, sogna un giorno di diventare un famoso musicista, “farò amare al mondo l’Iraq con la mia chitarra” dice continuamente. Spero i suoi sogni si realizzino, ma spero non ne rimarrà troppo deluso se non lo fanno. La musica è un hobby e per un bambino con delle origini come Ammar, non lo so, il mondo forse non è ancora pronto a rimuovere le sue etichette.

Sono li ad aspettarlo quando esce dalla classe, lo saluto e li prendo la pesante cassa contenente la chitarra, saluto con un cenno l’insegnante e ci indirizziamo verso la metro.

Camminiamo insieme e mentre la notte ci avvolge in un indifeso abbraccio decido di fermarmi in un negozio all’angolo, devo comprare alcune cose che Safiha mi ha richiesto.

Ammar mi racconta la sua giornata in preda all’eccitazione infantile di chi ancora vive il mondo con purezza. Io annuisco ma ho la testa tra le scatole dei sughi cercando di fare la scelta giusta, quante possibilità di sbagliare!

A un tratto si sente un frastuono provenire dalla strada, è successo qualcosa. Un incidente? Provo a ignorarlo, non devo sbagliare sugo anche questa volta. Ma vedo qualcuno correre. Sento delle grida. Non può essere solo un incidente tra macchine, provo ad avvicinarmi alla porta vetro che sembra abbia smesso di funzionare, ma ci sono troppe persone e non vedo nulla, solo fumo. A un tratto una seconda esplosione, questa volta dal negozio di fronte. Le nuvole si alzano più minacciose, cosi come la paura, le grida e la tensione. Sento qualche bambino piangere stringo la mano ad Ammar più forte. Mi chiede cosa sta succedendo, temo di saperlo ma gli rispondo che non è nulla di grave, che andrà tutto bene e che presto saremo a casa.

Non ci mettono tanto le persone a pronunciare le odiose parole “attacco terroristico”. Incubo passato e condanna futura di ogni medio-orientale.

Appena un dipendente del negozio parla di un’uscita sul retro, inizia una corsa da parte di tutte le persone verso la speranza, in quella folle corsa io vengo travolto e cado. Quando mi rialzo stringo la cassa della chitarra in una mano ma nell’altra non ho più Ammar. Le persone sono ammassate sull’unica porta che dà verso la salvezza ma è troppo piccola per tutti. Guardo in tutte le direzioni ma non vedo Ammar. Sento il calore del panico vibrarmi lungo tutto il corpo. Cerco di capire se è in mezzo a quelle persone, ma non vedo nulla. Sento solo urla che non riconosco.

Non posso perdere Ammar, lui è il senso di tutto! Inizio a urlare il suo nome guardandomi attorno ma niente. Lo urlo con tutta la voce che ho in corpo. Alcune persone mi guardano con gli occhi dello spavento, ma non vedo invece i piccoli occhi neri di Ammar.

Dove sei Ammar?

Ti prego fatti vedere.

Ammar.

AMMAR!

 

Parrte II

 

Sveglia alle 07:50, scendo dal letto. Mi dirigo verso il bagno per svuotarmi del passato e poi vado in cucina per sgranocchiare qualcosa, faccio sempre una colazione leggera, è la pigrizia ad obbligarmi. Non trovo il senso nel cucinare, inizi che devi fare un sacco di lavoro e alla fine ne devi fare altrettanto per risistemare tutto. L’unico piacere si riassume ai pochi minuti in cui mangi, sempre se il cibo che hai fatto non sa di catrame.

Mi vesto, mi metto il cappello ed esco dal mio monolocale chiudendomi la porta alle spalle. Sceso in strada mi incammino verso la macchina. Metto in moto ma il traffico non mi lascia in pace, tutte queste formiche frenetiche che vanno nei loro lavori inutili, bravi suonate che ci arriverete prima. Entro in caserma che la riunione della mattina è già iniziata, lo sguardo del commissario chiede spiegazioni ma faccio un cenno come per dire ti spiegherò. Mi siedo da parte a quel gran bel pezzo di Cèline, Dio quanto mi accendono le donne in divisa!

Durante queste riunione ogni agente viene assegnato a una delle zone da pattugliare e poi si parte. Spero solo non mi capiti ancora di pattugliare i piedi dell’Eiffel. È la postazione peggiore per me, non succede mai nulla se non i conati che mi vengono ogni qualvolta vedo una di quelle coppie che dopo il matrimonio vengono qua vestiti ancora da pagliacci a farsi fotografare in pose alla tupersempre. Fanculo. Lo facessero per loro capirei, ma cercano la foto perfetta solo per mostrarla ai loro perfetti amici quanto sono perfettamente felici quando in verità dentro bruciano di tristezza e solitudine.

La solita e inutile riunione sta per finire e non sono riuscito nemmeno a lanciare a Cèline qualche sguardo ammiccante. Che pessimo inizio di giornata.

Place d’Italie, ottimo! Venerdì mi devo vedere con una marsigliese e si prospetta essere un incontro dalle poche parole. Questa postazione è la migliore che mi poteva capitare per risparmiarmi le energie. La giornata potrebbe ancora salvarsi.

Esco e salgo in macchina, con me esce anche Jerome, il mio compagno di avventure.

La giornata passa lenta come la noia, il momento più stimolante resta l’essermi seduto da parte a Cèline. Sono le 18:30 e stiamo per terminare il turno-noia. Al ritorno in caserma decidiamo di fermarci in un negozio all’angolo. Jerome si accende una sigaretta e mi aspetta fuori mentre io salto dentro alla ricerca della cena. Reparto cibi precotti, meglio se trovo qualcosa con già un piatto. Prendo i “ravioli della nonna” e mentre sono in fila alla cassa mi viene da pensare chissà se sono fatti da una gentile vecchia signora in una cucina italiana, o solo da qualche cinese sottopagato che odia il capo ed è seduto 12 ore al giorno a controllare che la temperatura della zuppa non superi i 55 °C.

Che mondo di illusioni.

Aspetta! Cos’è stato? Un boato proveniente dalla strada. Mollo i ravioli della nonna e corro verso la porta ma è bloccata. Il mio pensiero corre a Jerome,  provo a contattarlo via radio ma non risponde. Qui ci sono troppe persone, provo a scostarmi ed entro in un reparto provando a chiamarlo sul telefono, ma niente. Una seconda esplosione, più forte questa volta. Ma che diavolo sta succedendo?? Qualcuno urla “attacco terroristico”. Non può essere, non qui, non adesso, non a me! Un ragazzo parla di un’uscita sul retro e sento il rumore di persone in panico che urlano e corrono mentre attraversano il negozio, esco dal mio reparto e vedo un solo uomo al centro della sala. È un pakistano o uno di quei medio-orientali, ha la barba e stringe in mano la cassa di una chitarra, il dubbio che possa non essere un musicista appare . Che ci fa con la cassa di una chitarra? E se dentro non ci contenesse una chitarra? Un attacco terroristico progettato simultaneamente?

Non può essere.

È confuso e guarda tutti in preda al panico. Come mai non cerca di uscire come gli altri? A un certo punto urla qualcosa, estraggo la pistola dalla fondina, non mi sembra di capire allora mi avvicino. Si ora lo sento, ho capito. “Ahkbar”. Si sono sicuro! Non ci sono dubbi è uno di loro! Tolgo la sicura, mi metto in posizione e lo vedo urlare attraverso il mirino della pistola un’altra volta.

Penso a Jerome, alla caserma, a quello stupido patto della bandiera.

Ho il dito sul grilletto.

Ti prego smetti penso, ma lui non smette.

 

 

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2 commenti »

  1. Un racconto così, per come e scritto e per la trama, merita di essere in concorso tra i “Corti”. Ne ha tutte le caratteristiche e anche lo stile. Che sia tra i racconti e non tra i “corti” è uno spreco. Vi prego di passarmi il termine, sono molto contento di averlo letto e lo trovo bello a prescindere. Ma davvero io vorrei vederlo sullo schermo.

  2. Non l’avevo pensato come un possibile corto,..ma più ci penso e più “lo vedo” 🙂
    Grazie del tuo commento Costantino

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