Premio Racconti nella Rete 2016 “L’organizzazione” di Paolo Panaro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Il coadiutore in prova Giuseppe Bianchi si recò al lavoro volenteroso e di buon umore quel mattino soleggiato di maggio. Da tre mesi aveva preso servizio nel suo nuovo impiego, e sebbene non gli avessero ancora assegnato una postazione fissa né delle mansioni precise, lo rendeva orgoglioso sentirsi parte di una grande organizzazione. Come sempre, era salito in ascensore al diciassettesimo (e ultimo) piano, per conoscere le sue consegne giornaliere dal dirigente della sezione a cui lo avevano temporaneamente assegnato. Quel giorno non c’erano compiti particolari per lui, così scese al settimo piano e accese il suo computer provvisorio alla sua scrivania provvisoria in un angolo della sala riunioni, rassegnato e compiaciuto di continuare la lettura del manuale aziendale del sistema integrato di gestione della qualità e della sicurezza. Era dal primo giorno che tentava di decifrarlo, inseguendo schizofrenici rimandi a leggi, normative e allegati. Sia pure assegnatogli come riempitivo, non prendeva sottogamba quel compito, convinto che comprendere la filosofia e le procedure operative del manuale gli avrebbe fornito competenze professionali decisive. Aprì il documento al capitolo: “Mission, stakeholders e strategie di management per il business-improvement”. Era fiero di lavorare per una grande impresa nazionale, ma a volte qualcosa non lo convinceva del tutto, così prima di iniziare, tirò fuori dal primo cassetto il block notes, lo aprì sulla prima pagina bianca e lo posizionò in bella vista, assieme alla penna biro. Poi, dopo che una rapida occhiata alle due porte d’ingresso ebbe scongiurato presenze indiscrete, aprì rapidamente il quotidiano comprato poco prima in edicola, ripiegandolo a mezza pagina e posizionandolo sulle gambe, seminascosto dal piano della scrivania. Si concentrò finalmente sull’oroscopo del giorno: “Ariete: Mercurio in opposizione potrebbe mettervi in difficoltà anche nelle attività più semplici, oggi. Mediate la vostra intraprendenza con una buona dose di prudenza.” Il responso gli parve una vera stonatura in una così bella giornata e gli suscitò una smorfia di disappunto, che si mutò in vero stupore quando, subito dopo, si spensero improvvisamente tutte le luci, tutti i computer e tutte le ventole del ricambio dell’aria. Per un attimo fu il silenzio completo, interrotto da uno, e poi due, tre trilli di campanella che intuì essere gli allarmi degli ascensori. Tanto le luci appena spente, quanto le luci di emergenza che si erano accese in concomitanza, in realtà non erano indispensabili a quell’ora del mattino, in cui la luce naturale inondava letteralmente tutti gli ambienti.
Ritrasse il giornale dalle gambe e lo ripiegò per bene. Tese l’orecchio, si alzò e diede un’occhiata oltre l’uscio. Tornò al suo posto con un’espressione dubbiosa.
Dopo qualche minuto entrò il dirigente: “Bianchi!” Disse con tono gentile: “Bianchi, mi faccia una cortesia…”
“Certo direttore.” Rispose.
“Vuole accompagnare l’ingegner Magni alla cabina elettrica? Pare che le cause del black-out siano laggiù. Lo raggiunga nel suo ufficio di sotto.”
Bianchi conosceva di vista l’ingegner Magni e sapeva dal manuale che ricopriva il ruolo di responsabile della sicurezza, e anche che la cabina elettrica si trovava al piano interrato.
“Certo direttore. Vado!”
Scese per le scale al sesto piano, trovò subito l’ufficio e si affacciò alla porta che era aperta: “Buongiorno.”
L’ingegnere lo salutò, posò la cornetta del telefono con aria assorta, uscì e con un semplice cenno lo invitò a seguirlo.
“Passiamo da Bini: è meglio che venga anche lui, dato che è un addetto incaricato.”
Non conosceva Bini. Tentò di ricordare se ci fosse una specifica procedura del manuale applicabile in quel caso: gli sovvenne solo la gestione dell’emergenza relativa alle persone bloccate negli ascensori.
Scesero due rampe di scale e furono al quinto piano.
Imboccato il corridoio attraverso le porte antincendio, un tizio gli venne incontro con aria gioviale: “Ingegnere carissimo! Ma che ci combina questo impianto elettrico? Per gli ascensori stanno già provvedendo.” Non ricevette risposta, e sorridendo tese la mano a Bianchi, che gliela strinse.
“E’ il nuovo coadiutore.” Tagliò corto Magni.
“Davvero strano questo guasto. Un black-out totale dovrebbe essere pressoché impossibile, a meno di problemi sulla consegna dell’energia elettrica, ma non è questo il caso. Vedremo. Quelli della manutenzione ci stanno raggiungendo di sotto.” Continuò.
“Beh, peccato non poter prendere neanche un caffè.” Replicò Bini.
Si infilarono nelle scale e proseguirono la discesa.
Mentre scendevano, Bianchi si chiese a cosa potesse servire la sua presenza, essendoci anche Bini. Di certo era un’esperienza di formazione unica, e sarebbe tornata utile in futuro.
Chiese ai due se fosse già capitato altre volte un problema simile.
Magni rispose di no, e che comunque lui ricopriva l’incarico da meno di un anno.
Bini confermò con enfasi teatrale: “Mai, no! Non c’è mai stato un solo guasto in cabina! Il black-out sì, un paio di volte, ma solo per interruzione dell’ente di distribuzione! E sì che sono qui da più di vent’anni!”
Verso il terzo piano, il cellulare di Magni squillò. Rispose con deferenza che era impegnato nella faccenda del black-out, ma ci dovevano essere motivazioni superiori, dall’altra parte.
Chiusa la comunicazione, spiegò alquanto agitato che era costretto ad assentarsi perché chiamato dal direttore generale. Consegnò le chiavi del locale tecnico a Bini e si raccomandò di passarle a quelli della manutenzione. Avrebbero dovuto già averle, secondo procedura, ma la ditta era nuova, e così… Assicurò ai due che li avrebbe raggiunti al più presto e si mise a risalire le scale con vigore sorprendente verso il diciassettesimo piano. Bini e Bianchi proseguirono la discesa.
“Scusi se mi permetto,” fece dopo qualche istante Bini: “come mai c’è anche lei in questa faccenda?”
E l’altro, colmando d’indifferenza il disappunto: “Me l’ha chiesto il mio direttore. Credo che voglia farmi fare esperienza.”
Al secondo piano squillò anche il telefono dell’addetto Bini, che rispose: “Ah, si. Si, ho capito. Al terzo. Arrivo.”
Poi, rivolgendosi a Bianchi: “C’è ancora qualcuno chiuso in ascensore al terzo piano, non riescono a tirarli fuori, devo andare. Tenga, le conviene aspettarmi giù. Non prenda iniziative. Farò il prima possibile.” E gli porse le chiavi che sembrava iniziassero a scottare.
Bianchi continuò da solo la discesa.
La sua mente cominciò a rimuginare.
Si trovava inaspettatamente nel bel mezzo di una situazione di emergenza.
Impreparato.
In realtà non avrebbero dovuto nemmeno coinvolgerlo.
Non aveva ancora iniziato la formazione ufficiale, anche se diverse cose le aveva imparate, tra i rompicapo del manuale.
Ma non era questa un’occasione? Non era forse la sua grande occasione per entrare a far parte degli ingranaggi che contano?
Al primo piano aveva fugato del tutto ogni dubbio e riconquistato fiducia.
Un solo futile e trascurabile pensiero lo importunava ancora: quella stupida sentenza dell’oroscopo del giorno.
Sfogò la stizza afferrando bruscamente il corrimano delle scale. Avvertì qualcosa di tagliente. Ritrasse subito la mano: dei tagli piuttosto profondi alle falangi di indice, medio e anulare presero a sanguinare copiosamente.
Imprecò in modo sconveniente. “Calma.” Si disse subito dopo. Si fasciò strette le tre dita con il fazzoletto bianco che aveva con sé, dopo aver spremuto un po’ di sangue, che segnò di vistosi cerchietti rossi il granito di un paio di gradini.
“Solo un piccolo incidente.” Si disse, e continuò risoluto verso il sottosuolo.
“Ci siamo quasi.” Si disse al piano terra. Il fazzoletto si era chiazzato di rosso. Strinse la mano a pugno e la alzò, strozzando in gola l’urlo di sfida che stava per uscirne.
Non fece in tempo a tirarla giù. Scivolò malamente sul gradino bagnato e perse l’equilibrio, rovinando per la rampa fino al pianerottolo intermedio. Parò le braccia e protesse almeno la testa. Si rialzò con un forte dolore intercostale e un ginocchio sanguinante sotto lo strappo dei pantaloni. Notò solo ora una striscia nera d’umido e un rivolo traslucido sull’angolo del muro sotto il pianerottolo del primo piano: una perdita d’acqua. Finalmente le lampade di emergenza si dimostravano utili. E dal piano terra in giù, la luce naturale era ridotta a un flebile chiarore.
Si mosse per risalire e cercare aiuto. Si bloccò.
Perché mollare proprio ora che era praticamente arrivato?
Sopportò il dolore e continuò fino al piano interrato.
Osservò con odio le chiavi, ma si impose: in fondo i danni si limitavano a una mano ferita, un ginocchio sbucciato e una fitta al torace.
Attraversò la porta tagliafuoco e fu in un corridoio oscuro, nonostante le lampade accese. Ancora nessuno. Ma non toccava certo a lui intervenire, senza alcun incarico, alcun dovere, alcuna responsabilità e alcuna competenza specifica. Doveva aspettare quelli della manutenzione. Sarebbero tornati anche l’ingegner Magni e Bini.
Ma lui era lì. E gli altri no.
Con questi vani pensieri per la testa, avanzò guardando le targhe dei vari portoni metallici che si alternavano sul corridoio.
Alla fine intravide la scritta: “Cabina elettrica”.
Restò immobile per qualche minuto.
Il ginocchio bruciava, la fitta pungeva e la mano sanguinava.
Non si udiva nulla. Né passi, né voci: nessuno arrivava. Fissò la porta di ferro. Una porta tagliafuoco come le altre, in grado di resistere per del tempo alle fiamme, al fumo e al calore.
Tempo? Per quanto tempo avrebbero resistito le luci di emergenza? Era già trascorsa più di mezz’ora dal black-out. Di lì a poco lì si sarebbe fatto buio.
Che fare? Aspettare? Tornare indietro? Per raccontare cosa?
Era stato elettricista una volta. E se non ci fosse nessun guasto?
Forse solo un interruttore da riarmare…
Accostò l’orecchio al metallo della porta, gli sembrò di udire dei lievi crepitii. Ma la porta era fredda. Nessun incendio. Avesse risolto da solo la faccenda sarebbe passato alla storia. Forse avrebbe ricevuto incarichi di prestigio e responsabilità.
Ma valeva la pena di correre rischi per questo? Intanto era passato un altro quarto d’ora e ancora non si vedeva nessuno dei responsabili. Non ne valeva assolutamente la pena, no, decise risoluto. Eppure una strana eccitazione lo prendeva.
Accostò ancora l’orecchio sulla porta. Di nuovo gli sembrò di udire come dei debolissimi mormorii…
Autosuggestione, pensò.
Infilò la chiave nella toppa, esitò, la sfilò di nuovo.
La rinfilò e girò la prima mandata.
Gli parve di udire come dei sommessi cigolii stavolta. E non era la chiave.
Ancora un ripensamento, poi girò la seconda mandata e la terza. Impugnò la maniglia e aprì con decisione.
La porta si spalancò verso l’esterno come sotto pressione, spingendolo violentemente per terra.
Urlò di ribrezzo e terrore, sommerso da una valanga di fetide bestie, zampettanti, squittenti e mordaci che gli piombarono addosso e si accanirono sulla sua carne, partendo dalle ferite scoperte.
“Topi! Luridi topi: altro che guasto! Maledetti! Stupido manuale! Maledetto oroscopo! Che sole che c’era oggi!” Fu l’ultima cosa che riuscì a pensare. Poi il pensiero fu soffocato dall’orrore e dalla sofferenza.
Le luci di emergenza si affievolirono come a smorzare le urla strazianti che riecheggiavano nel corridoio.
Ancora non arrivava nessuno.
Carino. Ne uscirebbe un buon corto.
un’introduzione e una descrizione molto ben fatta, che rende perfettamente il percorso di ogni nuovo assunto.
alla fine mi aspettavo che dentro quel locale ci trovasse una coppia appartata. hehe
Forse troppo lungo ma comunque piacevole.
Grazie mille per la lettura e per i commenti!