Premio Racconti nella Rete 2016 “Are friends electric?” di Alessandro Ippolito
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016A Irene I.
1.
A forza di schiacciare invio sul quel nome, lo schermo è andato in panne diventando tutto bianco. Ancora nessun cambiamento, nessuna novità: la foto di Barbara è sempre la stessa da due giorni, col foulard stampa finto Hermès fasciato stretto sulla testa. I suoi grandi occhi scuri, vivaci e acquosi, guardano altrove, dietro la spalla destra di Leo.
Con gli occhi arrossati dalle ultime notti passate a fissare il bagliore dei cristalli liquidi, Leo insiste nel riaggiornare quella pagina internet. Il circoletto di ricarica ruota così tanto che potrebbe schizzare via dal computer come un piccolo disco volante. Leo se lo immagina, quel mini ufo, vagare impazzito nel suo angusto retrobottega e poi volare fuori a cercare Barbara. Sono giorni che non dà sue notizie.
2.
Leo ha conosciuto Barbara agli esordi del social network, casualmente. Il primo contatto avvenne tramite il suggerimento di una amica comune, Imma, una programmatrice di computer. Leo accettò volentieri la nuova conoscenza, vista la grande distanza che li separava. Anzi, proprio per questo la cosa lo intrigava: gli garantiva un certo distacco e esprimeva le reali potenzialità di quella nuova piazza virtuale.
Leo accolse con entusiasmo il nuovo e dilagante fenomeno della comunicazione globale sin dai suoi inizi. Lo vide come l’alba di una nuova èra in cui svelare milioni di persone altrimenti inesistenti senza il contatto fisico. Sarebbe stato come trascendere i limiti dello spazio e delle mediocri percezioni umane grazie a una sorta di teletrasporto. Il poter sostituire alla propria entità corporea un essere composto di elettroni, capace di conoscere e osservare chiunque rimanendo intatto, pulito dalle scorie residue di una interazione reale. Un nuovo mondo, una nuova vita e un nuovo sé. Leo riuscì dopo varie scremature a radunare una comunità elettronica di soggetti accomunati dagli stessi sogni e problemi.
Un piccolo mondo chiuso dentro una bolla, certo, tutta da scrutare e giudicare seduto nel freddo magazzino del suo negozietto di acquari, illuminato solo dallo sfarfallio bluastro del piccolo schermo di un laptop. Solo, col monotono ronzio dei neon delle vasche di pesci in sottofondo, Leo si sentiva un angelo voyeur senza alcuna missione.
Il tempo passò: cinque anni. Pur non avendo approfondito la conoscenza di Barbara, a Leo piaceva sapere che lei ci fosse. Infatti non sapeva nemmeno che lavoro facesse o se fosse fidanzata. Presente e discreta, non bella e non brutta, polemica quando opportuno ma mai inopportuna, Barbara con la sua discreta dolcezza era un piccolo quadro appeso in una camera della mente al quale è piacevole dare un’occhiata ogni tanto per sapere che c’è.
Sapeva che per Barbara era la stessa cosa; e gli dava una tranquillità interiore, un bagliore di umanità residua in quel gelido fluire di elettroni. Per questo ogni tanto lui andava a controllare cosa lei stesse facendo, scrivendo o pensando inviandole in privato una riservata approvazione come un affettuoso saluto.
3.
Un pomeriggio, mentre scorreva le notizie giornaliere del suo paese elettrico, Leo notò qualche insolito commento rivolto a Barbara dai suoi amici più stretti. Preoccupato dai toni inusuali diede una rapida scorsa alle frasi e incastrò a senso le caselle mancanti. Nessun indizio veramente illuminante tra quelle parole, si trattava piuttosto di messaggi d’affetto, partecipazione e incoraggiamento.
Erano molti però, e tutti di seguito. Quel particolare lo allarmò. Immediatamente saltando il colloquio pubblico Leo scrisse a Barbara in privato chiedendo delucidazioni. Lei rispose senza troppi giri di parole. Forte e sincera com’era sempre stata chiamò col suo nome l’orribile malattia da cui era stata attaccata: cancro al seno.
4.
La notizia gli provocò un profondo smarrimento; eppure Leo aveva perso persone molto vicine negli ultimi anni e aveva attraversato svariate vicissitudini affettive, inclusi seri problemi di salute. Per qualche ragione, però, il cancro al seno di Barbara scosse qualcosa nelle sue corde più intime. Leo provò la paura di sentirsi solo.
Riuscì a nascondere a Barbara il suo smarrimento limitandosi a scrivere parole di sostegno oltre alla richiesta di poterle parlare attraverso una videocamera così da poterla finalmente conoscere. Barbara accettò e fissarono un appuntamento per la settimana successiva.
Il giorno dell’incontro stropicciava i pantaloni con le mani sudate. Aveva visto la sua amica solo nella stessa vecchia foto e temeva di trovarsela davanti dimagrita o stremata dalle cure. Forse, colto di sorpresa, avrebbe potuto offenderla con una espressione di involontario stupore, o peggio, scoraggiarla con uno sguardo.
E invece, quando rintracciò Barbara nel sito delle videoconferenze lei non rispose all’invito elettronico. Leo si sentì la bocca riarsa, l’aria improvvisamente soffocante, come se fosse stata asciugata dai circuiti iperattivi del computer. Il solo calore, aleggiante in quello sgabuzzino da cui tutta l’umanità era stata lasciata fuori, era elettrico ma fiaccamente diffuso da una ronzante ventolina di plastica.
Cercò Imma, ma anche lei sembrava non avere effettuato accessi nel network. Allora ritornò alla pagina di Barbara paralizzandosi di fronte allo schermo: la foto era cambiata, al posto della chioma ricciuta c’era un foulard nero di raso avvolto sul capo.
5.
Finalmente il suono scampanellante di una notifica interrompe la monotonia dei rumori dello stanzino. Un messaggio in cui Imma gli dice che, a causa di una recrudescenza della malattia, Barbara è ricoverata in un ospedale della sua provincia, un migliaio di chilometri da casa di Leo. Altro non è riuscita a sapere, pure Imma vive lontana da Barbara, quattro ore di treno. E ha dovuto sudare sette camicie, scrive Imma, per sapere qualcosa sullo stato di salute, il nome e l’ubicazione dell’ospedale.
Solo dopo molti tentativi, da brava programmatrice, Imma è riuscita a connettersi a una rete di conoscenze vicina a parenti di Barbara. Ma sono stati piuttosto riluttanti a rispondere. Pare che Barbara abbia richiesto la massima riservatezza. Però con lui ne ha parlato. E questo pensiero lo porta dritto a un altro pensiero.
Leo saprebbe cosa sarebbe giusto fare ora. Ogni scarica elettrica delle sue connessioni neurali converge a formare un unico pensiero limpido e luminoso.
6.
È la prima volta che gli accade dopo tanti anni. Lui non aveva più voluo lasciarsi coinvolgere, aveva paura della gente, di ciò di cui si sono dimostrati capaci pur di soddisfare basse pulsioni ed egoismi. Come fece la sua ex, colta in flagrante da una telecamera di sorveglianza del suo negozio mentre fornicava con suo fratello, il che fece di Leo lo zimbello della città, proprio grazie a quel grande mezzo di diffusione in cui lui adesso si stava obliterando. Ma Leo di egoismo non ne aveva mai avuto e non concepiva quelle ragioni.
A quel tempo non seppe cosa fare e tanto meno odiare, solo soffrire in silenzio e nel silenzio sparire. Meglio nascondersi. Come un bruco, filare dalla bocca chiusa la propria crisalide. Cercare di capire osservando un piccolo mondo virtuale popolato da amici elettrici. Un grandioso plastico per trenini giocattolo, dopotutto è l’anima di ogni essere vivente parente stretta degli stessi impulsi che accendono le lucine di quel villaggio digitale.
No. Non andrà: troppo lontano, rischioso, polveroso e troppa gente incontrollabile. Terrà d’occhio Barbara dalla sua postazione, e poi lei stessa ha chiesto di essere lasciata in pace. Lui non può fare di meglio che rispettare la sua volontà. Così ha deciso Leo.
Un’altra notifica: ancora Imma. Un messaggio nella posta personale questa volta. Nel testo Imma ha elencato gli orari dei voli e le connessioni ferroviarie necessarie per raggiungere l’ospedale dov’è ricoverata Barbara seguite da un invito a stamparli prima di aprire l’allegato accluso nel messaggio. Leo segue solerte le istruzioni e dopo avere stampato va all’allegato: è un file nominato Are friends electric? Appena ne comanda l’apertura il computer si spegne. Leo prova a controllare l’alimentazione e riaccendere la macchina, senza successo.
7.
Resta a fissare lo schermo nero, tutto intorno si è fatto buio. Il silenzio calato improvvisamente è interrotto dal gorgoglio degli acquari nel negozio.
Leo si volta a guardare i pesci sgargianti dai colori così vividi come nessuna macchina saprebbe mai creare. Il riflesso del suo volto si sovrappone alle creature multicolori, fissandole crede di vederle parlare da quelle piccole bocche in movimento: lasciaci liberi Leo oppure uccidici, non è vita questa! Ma forse stanno solo respirando affannosamente come lui, pensa Leo rimasto solo col suo panico. Non ha una stilla di passione nel sangue che possa spingerlo a reagire. Si porta i pugni chiusi alle tempie, piange. Prima sommessamente poi in crescendo, sempre più forte. Pensa alla ex fidanzata.
Urla, sbava, si getta a terra. Nessuno può sentirlo. Pensa al fratello perduto e continua a piangere. Pensa alla vita vista passare dietro alle finestre, come le pareti di un acquario, e singhiozza. Esausto e senza più lacrime si accascia sfinito sulla tastiera del computer. Pensa a Barbara, al suo volto sorridente, a come sarebbe vederlo. Si alza e accende la luce del retrobottega per cercare gli orari dei voli inviati da Imma. Gli occhi gli fanno un po’ male.
8.
Se Leo avesse detto alle sue poche conoscenze di un improvviso viaggio romantico a due o di un’incursione per conoscere una donna corteggiata nel network, nessuno avrebbe trovato alcunché da obiettare. Al limite avrebbero tirato un sospiro di sollievo.
Ma se avesse detto la verità, le domande avrebbero richiesto risposte troppo personali alle quali nemmeno lui avrebbe saputo rispondere. Così mise sulla porta del negozio il cartello chiuso per ferie ed evitò ulteriori riflessioni. Era tempo di fare qualcosa. E, possibilmente, di fare la cosa giusta.
Senza ragionarci troppo, segue la corrente in cui si erano incanalati i suoi pensieri. Anche adesso, in piedi di fronte al nastro rotante presso il ritiro bagagli dell’aeroporto di C. un Leo ancora stupito si ripete che non c’era altro da fare.
Così di buon mattino in una piovosa giornata di febbraio, tutto intabarrato nel suo lungo impermeabile grigio e una cloche en pendant sulla testa, Leo bussa alla camera diciannove, settimo piano dell’ospedale. Reparto nove, oncologia. Bussa di nuovo. E ancora una volta. Fino a quando una voce flebile ma ancora forte gli dice Avanti!
Ottimo racconto
Bravissimo!
Un racconto 2.0 Alla grande!!!
Un uomo di mondo,il vento tra i capelli…e tante emozioni…uno scrigno sempre + prezioso il nostro Ippolito
Un racconto attuale e avvincente sulla solitudine virtuale, però lascia intravedere la possibilità di porsi in modo attivo e positivo verso questo mezzo di comunicazione. Inoltre hai accarezzato un tema delicato come quello della malattia vissuta da una donna con molta sensibilità. Attento e bravo. Eccezionali le descrizioni. In bocca al lupo!
Riesci a sorprendere nel modo in cui fai vivere le emozioni al lettore , riesci a tagliare il velo della normalità per addentrarti in emozioni umane delicate e con il tuo passo lieve ci fai sentire tutti migliori . Grazie e complimenti .
Grazie a tutti per i commenti così entusiastici! La storia è ispirata a un fatto realmente accaduto e a una persona esistente, purtroppo ancora tormentata da una terribile malattia. Io credo che in questa danza di molecole chiamata vita ogni pensiero rivolto a chi sta lottando per la vita sia energia positiva, benefica speranza. Una dimostrazione di umana fratellanza, come ho scritto nella mia breve storia, a dispetto di tutta la negatività che alcuni si ostinano a voler vedere ovunque.
Toccante, profondo, originale, moderno. E veramente ben scritto. Si sente che viene dal cuore. Complimenti ed in bocca al lupo per tutto.
Grazie di cuore Damien e crepi il lupo
complimenti! al di la del tema affrontato,sicuramente toccante,un modo di scrivere davvero impeccabile
Grazie Viola 🙂
Complimenti è piaciuto molto anche a me inoltre è scritto molto bene e le lunghe descrizioni non lo appesantiscono anzi rendono piacevole e fluida la lettura.In bocca al lupo
Bello, complimenti anche per lo stile. Edificante e con molte letture nascoste. colgo nel titolo un rimando al pop anni 80. Un caso?
Grazie Carlos, sono contento che tu lo abbia chiesto! Infatti il titolo fa riferimento a una canzone di Gary Numan del 79(vedi il piano dell’ospedale,reparto e il numero della stanza ). Il testo parla di come ci si possa rinchiudere in una stanza buia lontano dagli altri esseri umani. (L’autore soffriva di sindrome di Asperger) e di persone che vivono in un mondo di robot dall’aspetto umano riconoscibili dall’impermeabile grigio. Gli “amici elettrici” offrono servizi vari, amore incluso… In quegli anni si parlava molto di un futuro freddo, di solitudine generata dala tecnologia e a me piaceva molto la canzone così ho voluto farne un cameo nel mio racconto per aprire un ventaglio più ampio di riflessioni; anche su come pensavamo al futuro e come si è effettivamente realizzato…
Attenzione a ciò che chiediamo: alcune volte potremmo ottenerlo… E così gli uomini del 2016 si ritrovano a dover interagire con queste nuove realtà, con questi nuovi stili di vita, alienati, isolati, soli. Il fascino della tecnologia ci sta allontanando sempre di più dalla dimensione umana della vita… E il tuo personaggio rispecchia in pieno l’ambiguità del nostro presente: non riesce più ad affrontare i piccoli grandi ostacoli quotidiani, nascondendosi dietro un computer, condividendo le vite degli altri in maniera effimera… Bisogna proprio che ci sia una tragedia per farlo finalmente svegliare e reagire, per farlo comportare da uomo e non da soggetto virtuale… Effettivamente il tuo racconto fa riflettere un bel po’… e questo secondo me è sempre un fattore positivo. Complimenti.
Grazie Patrizia, sono contento che una brava scrittrice dall’attento occhio analitico quale sei tu abbia percepito la positività nel racconto e gli spunti per riflessioni parallele. Piacere di averti incontrata.
Complimenti Alessandro , scrivi con una gran cura dei dettagli e una fliudità tale che sembra di vivere questo racconto piuttosto che leggerlo .
Il tema sicuramente spinge a riflettere….e non poco…
Bravissimo.
Grazie del tuo commento Daniele, hai capito il mio intento. Per me è una grande soddisfazione quando riesco a entrare nel l’immaginazione del lettore e mostrargli ciò che vedo quando scrivo