Premio Racconti nella Rete 2010 “Il numero di telefono” di Simona Conti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Quando mi dissero che dovevo tornare in quella casa,mi prese un colpo:erano circa sei anni che non ci mettevo piede,quasi non ricordavo più che esistesse!
“L’appartamento va liberato entro e non oltre il dieci di questo mese…penso che non ci saranno problemi,vero?” sentenziò l’agente immobiliare con molta non curanza.Ma i problemi c’erano e come.
Per prima cosa avrei dovuto contattare una ditta di traslochi,pagarla sicuramente in anticipo (e quel mese proprio non ci voleva!),accompagnarla su in casa per decidere il da farsi e restare lì almeno il tempo necessario per scegliere cosa buttare e cosa imballare.Poi ci sarebbe stato il più grosso dei problemi da affrontare per la mia povera mente,ormai stanca e provata:rivedere oggetti,persone e luoghi della mia faticosa infanzia,da tempo congelati in un angolo nascosto della memoria che si sarebbero riproposti all’improvviso e con violenza.
Avrei preferito fare la maratona di New York piuttosto che occuparmi della casa dei miei nonni…ma era giunto il momento della verità:dovevo lasciare tutto in ordine ai nuovi proprietari ,non potevo più rimandare e non potevo assolutamente delegare a nessun’altro la faccenda.Fare i conti con la realtà,credo si chiami!
Un lunedì mattina mi feci coraggio e andai là.
Salire quelle scale fu sconvolgente:incredibilmente mi resi conto di come erano fissati nella memoria il numero e l’altezza degli scalini,avrei potuto farli bendata.Ogni passo che mi avvicinava alla porta mi ricordava qualcosa:le urla di nonna che mi chiamava a mezzogiorno quando era pronto in tavola;il rumore dell’aspirapolvere che la vicina di casa passava di continuo;il miagolìo dei gatti della signora dell’interno quattro,una decina credo,che faceva da sottofondo per tutta la lunghezza del ballatoio.Per un attimo mi sembrò persino di sentire il profumo della colonia di mio nonno,al pino silvestre,ma svanì quasi subito!
Girai la chiave nella toppa e automaticamente mi ricordai di come si apriva:due mandate,tirala a te e spingi forte!Eccola lì…tutto sempre uguale a sei anni fa,di diverso solo il puzzo di chiuso e qualche ragnatela.
Fu un’emozione grandissima,come quando ritrovi da grande una scatola di latta,quelle dei biscotti con disegni di auto d’epoca ed insegne parigine,e aprendola… tutti i tuoi piccolissimi segreti di bimbo e una sensazione strana,misto di stupore,gioia e nostalgia.
Di quell’appartamento conoscevo ciascun dettaglio.Ogni mattonella,ogni interruttore,ogni maniglia.Ricordo che di notte,se avevo bisogno di andare al bagno,non accendevo neppure la luce:sapevo a memoria tutte le mosse da farsi e ricordo che quel conoscere ogni passo mi dava un’enorme tranquillità.Una volta pensai persino che se anche fossi mai diventata cieca,in quella casa non avrei avuto problemi a muovermi.Era il mio universo.
Mi misi a sedere sul lettone dei miei nonni:come era duro quel materasso,quasi avevo scordato!Quante volte mi ero stesa lì sopra,con loro, a giocare alla lotta o a farmi misurare la febbre con il termometro a mercurio che non si scuoteva mai del tutto.Qualche volta mi ci sdraiavo anche per studiare e nonna puntualmente si arrabbiava per le macchie delle penne lasciate sulla coperta.Facevo sempre come mi pareva e lei tutte le volte mi sgridava e poi mi abbracciava facendo sprofondare la mia piccola faccia contro il suo prorompente petto.Come era strano ricordare.Come era duro dover accetare che tutto era perduto per sempre.
Andai in salotto,c’era ancora il profumo della nicotina e delle caramelle alla menta di nonno.Il posacenere a colonna,tipo quelli dei saloni d’albergo,era ancora pieno di cicche spente e la poltrona di velluto aveva ancora sopra i peli del gatto.Già:il famoso gatto della mia infanzia che campò diciannove anni e mezzo!Guardando bene lungo i braccioli del divano si vedevano ancora i segni delle unghiate e nel corridoio,attaccata con un filo di lana alla maniglia dello stanzino,c’era la pallina di gomma con cui giocava,quando ne aveva voglia!
Ad un certo punto,come chiamata da una voce immaginaria,mi girai di scatto e lo sguardo si posò sul telefono,senza tastiera con i numeri che andavano composti facendoli girare e che quando tornavano indietro facevano il ticchettìo ricordandoti cosa avevi composto…quante risate con le amiche,versioni di latino e greco corrette a tarda sera e piccole confidenze irripetibili aveva sentito quella cornetta grigia.Sul davanti c’era ancora il tassello di plastica che nascondeva il numero:570478.Ripensandoci,quello era stato l’unico numero di telefono che mi aveva costantemente accompagnato su tutte le rubriche.
Accanto al telefono c’era l’agenda della banca,con la copertina nera di pelle ed in fondo tutti i numeri segnati con la matita blu e rossa,che ancora sporgeva dal portapenne in legno sul tavolino.Scorgendo quei nomi ricordavo le facce:i cugini di Lucca,quelli di Scandicci,quelli mai conosciuti di Lione…poi il telefono del negozio di mamma,il centralino di diabetologia e quello della palestra dove da piccola facevo ginnastica artistica.In fondo,scritto al lato di traverso con una penna rosa,che ancora profumava di bigbubble alla fragola,c’era un numero col prefisso di Roma.Non ci potevo credere:quello era il numero del mio grande amore di quando avevo diciotto anni…Emanuele,si chiamava,abitava in periferia,alla Garbatella,l’avevo conosciuto in vacanza…mi aveva lasciato un bel ricordo e,allo stesso tempo,un esagerato rimpianto per non averlo saputo amare come avrei voluto!Ero troppo giovane ed inesperta e non lo seppi apprezzare per quello che valeva…quella “metà della mela”che ti capita una volta sola nella vita…
Strappai la pagina con un taglio netto,la piegai e la misi in tasca.
Forse non l’avrei mai chiamato o forse quello non era neppure più il suo numero…ma in quel momento mi sembrò giusto regalarmi un sogno…
Chiusi la porta,scesi le scale facendo scivolare le suole tipo surfista come da bambina e come da bambina mi sentivo combattuta tra la voglia di andare incontro al mondo e quella di restare nel mio rassicurante nido.
Ma uscii,perchè ormai ero cresciuta.