Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Piccolo erbario medicamentoso del cuore” di Giulia Guidi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

«Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit.»

«Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.» Paracelso

CAPITOLO 1

Gemelli alla seconda – Mercurio, il pianeta dominante

Mi chiamo Ophelia, si, proprio come la sorella pazza, morta suicida di Amleto; ai miei piace la drammaturgia,e si, forse avrebbero potuto chiamarmi Giulia e vezzeggiarmi in Giulietta, ma evidentemente preferivano che ai miei compleanni venissero pochi bambini per preservare i divani di pelle da coca-cole e torte con la panna (che per altro odio, come odio il mio compleanno perché mi viene l’ansia del fatto che finisca subito). Sono nata sotto il segno dei Gemelli, per dirla tutta, sono Gemelli ascendente Gemelli, sono portatrice non molto sana di una bipolarità di secondo livello, sono composta da troppa aria e da troppo mercurio, che per rendere l’idea è quello che quando rompi il termometro schizza come un pazzo da una parte all’altra, per questo amo molto camminare scalza mi fa sentire più concreta. Un’ altra carineria di cui il fato ha pensato bene di dotarmi è stata quella che il mio archetipo caratteriale corrisponda a quello della dea Persefone (anch’esso doppio costituito da una componente infantile e da una un po’ più mistress, da regina dominatrice); quindi mi correggo, non siamo in quattro, bensì in sei. Ora capirete bene la difficoltà di conciliare sogni, aspettative, passioni esigenze di sei persone; diciamo che ho molti interessi (spesso in contrasto tra di loro) e quindi mi annoio di rado. Mi capita di cambiare idea frequentemente, anche se trovo che l’avverbio temporale “frequentemente”, non sia abbastanza calzante, per la verità cambio idea con intervalli assimilabili alla memoria recente di un pesce rosso, ovvero ogni tre secondi (quella della memoria del pesce rosso è una delle mie certezze incrollabili, praticamente un assioma, anche se non ricordo la fonte ne tanto meno ne ho mai verificato la veridicità, la uso spesso come metafora e nessuno si è mai lamentato, quindi continuerò ad usarla). In mia difesa devo dire che ogni volta che cambio idea\stile di vita, lo faccio con assoluta convinzione, in maniera tutt’altro che superficiale o affrettata, ma da vera professionista, capita che mi svegli e che decida di smettere di fumare e bere caffè, e che mi ritrovi in erboristeria a comprare tè verde cinese e inceso al patchouli. La mia vita si può tranquillamente catalogare in varie fasi, ne conto almeno una ventina, la maggior parte delle quali scaturite dalla fine di una storia d’amore; c’è la fase green\salutista\esoterica che mi colpisce ciclicamente, ah poi quella vegetariana, durante la quale mi nutro di avocadi (e quanto mi fa arrabbiare non trovarli nel reparto frutta del supermercato!) che spesso si conclude in un panino con la porchetta, “scofanato” in trenta secondi per risanare lo stomaco magari da un post sbornia aggressivo. E come non citare la fase “sportiva” (quella per fortuna colpisce solo un po’ prima dell’estate) in cui voglio andare a correre ma so già che non ci andrò e che userò come scusa, che poi in realtà è una cosa vera, quella profezia con cui mi ammoni l’ortopedico “con una schiena come la tua è meglio che tu non corra, potrebbero verificarsi dei microtraumi”, io ovviamente quest’ammonizione l’ ho estesa a tutti gli sport. Poi c’è la fissa per l’alchimia ,l’esoterismo la divinazione, la mitologia quelle cose li, per le quali non so perché ma mi ritengo parecchio portata, mi sono sempre sentita molto vicina alla figura di Cassandra, la veggente colpita dalla maledizione di Apollo, che in sostanza l’aveva punita a non essere mai creduta, perché non aveva accettato le sue lusinghe sessuali, povera Cassandra nemmeno la soddisfazione di dire “te l’ avevo detto”, che la stronza di Clitemnestra, moglie di quell’adultero di Agamennone l’aveva già fatta secca.  Posso tranquillamente affermare che il libro “Le arti della divinazione” comprato ad un mercatino a Firenze per la modica cifra di tre euro e novantanove centesimi, mi abbia migliorato la vita, ora infatti sono in grado di prevedere il tempo a seconda del comportamento delle rane, di leggere i fondi del caffè, il che è molto facile se hai una particolare predisposizione nel trovare animali e altre figure nella forma delle nuvole.

CAPITOLO 2

L’antica dottrina della segnatura – le corrispondenze amorose

Insomma durante l’ultima fase “green” ho deciso di iscrivermi ad un corso di erboristeria, frequentato sopratutto da signore di mezza età e vecchiette profumate, che per altro sono la categoria umana che prediligo e con cui riesco e stringere amicizie immediate e durature, sopratutto con quelle che hanno i capelli bianchi con una leggera sfumatura di azzurro o rosa zucchero filato. Dopo l’ennesima batosta sentimentale (per altro subita da parte della stessa persona, sono molto testarda) avevo deciso di cambiare totalmente vita, (le donne di solito cambiano colore e taglio di capelli, io mi sfogo iscrivendomi a corsi stimolanti), volevo chiudere con quelle odiose multinazionali farmaceutiche che ti dicono come curarti e decidono di cosa farti ammalare, e anche con quelle aziende cosmetiche che producono creme a base di plutonio e uranio impoverito, volevo rendermi autonoma e avere la possibilità di curarmi il raffreddore, il mal di gola, la cellulite e la pelle mista in maniera del tutto consapevole e naturale.  Ho imparato un sacco di cose, tipo che l’erba di San Giovanni, (l’Iperico) è uno dei più forti antidepressivi in natura, al che avevo già architettato di spararmene due tre litri in vena, in modo da riuscire a sedare la mia sconfinata insofferenza nei confronti della vita, ma poi Fiorenza, l’insegnante (che fantasia), riuscì a farmi desistere dal probabile suicidio illustrandomi le innumerevoli controindicazione e la pericolosità della suddetta pianta; ci sarebbero state sicuramente meno complicazioni se mi fossi affidata al Valium.  Durante la lezione sulle piante ad azione drenante (che parliamoci chiaro, erano l’unico motivo per cui ero li, visto che avevo capito che non potevo fabbricarmi un antidepressivo naturale, avevo puntato tutto sul drenaggio che purtroppo riguardava solo cosce e giro vita, avrei voluto un drenante depurante anche per il cervello al fine di eliminare ogni residuo di quel maledetto dalle mie sinapsi), ho scoperto che il Tarassaco, comunemente chiamato “piscia a letto”, non si chiama così per caso, è un potentissimo diuretico, praticamente se ne bevi due tazze al giorno, fai pipì ininterrottamente per i seguenti tre giorni; ma è con la Betulla, albero sacro ai popoli del nord che fa i fiori ma mai i frutti tendendo all’infinito senza arrivare mai, che la cellulite diventa solo un brutto ricordo, il suo segreto è nella linfa, un vero e proprio nettare che libera i tessuti dalle scorie li rigenera e li protegge. La lezione più illuminante da un punto di vista ancestrale\simbolico è stata senza dubbio quella in cui ho scoperto l’esistenza dell’antica dottrina della segnatura formulata da Paracelso, alchimista e medico del Rinascimento, uno dei miei nuovi miti insieme a Giordano Bruno (simbolo della libertà di pensiero) e Lady D (troppo bella e di classe per quel principe Carlo). Secondo Paracelso esiste una corrispondenza generale tra universo e organismo umano, tale per cui la somiglianza morfologica determina una risonanza energetica tra alcune piante e il corpo umano, vale a dire che nella forma o nel colore di una determinata pianta sono espressamente visibili le corrispondenze con l organismo e l’eventuale potere curativo da riferirsi ad un determinato organo, ad esempio la forma della foglia della salvia, non ricorda forse una lingua? La salvia è infatti la pianta dell’ igene orale, oppure la noce, che sembra una specie di piccolo cervello è nota per le sue proprietà in grado di rafforzare la memoria e le funzioni celebrali, e così via. Allora io non ho potuto fare a meno di pensare al fatto che il mio orecchio entrasse perfettamente nell’incavo del tuo sterno, creando un posto unico e privilegiato per ascoltarti il cuore e che probabilmente tu producessi pallini di lana dall’ombelico per il fatto che io sono molto freddolosa (l’idea infatti era quella di farne un gomitolo e conseguentemente una sciarpa), e ho realizzato che anche noi eravamo elementi integranti e costituenti di un minuscolo universo, in grado di avere effetti benefici l’uno con l’altra, ma sei stato troppo egoista per capirlo.

CAPITOLO 3

L’atroce destino del sig. Agave – non si può mica morire d’amore

Premetto che nutro una profondissima stima per le piante grasse in generale, sono quasi completamente autonome, se quella volta ogni tre mesi ti ricordi di darli un goccio d’acqua, bene, altrimenti pazienza, sarà per un’altra volta, tanto loro resistono stoiche nonostante tutto, quanto vi stimo piante grasse.  L’unica che devo ammettere mi sta un po sulle palle è l’Agave, che per altro significa, dal greco, “degna di ammirazione”, ma devi sapere, cara Agave che io non ti ammiro affatto, ti compatisco. L’Agave è una pianta dotata di foglie carnose larghe fino a 20 cm e lunghe fino a due metri, ogni anno cadono, ma si riformano dal corpo centrale, quando ormai una foglia sta per cadere, al centro ce n’è già un’ altra pronta ad aprirsi per colmare lo spazio vuoto. La particolarità dell’Agave è la sua fioritura, che avviene quando la pianta raggiunge la maturità ad un’età che può variare da 10 a 50 anni (sicuramente le Agavi uomini matureranno alla soglia dei 50, (ma questo non è un parere botanico)), l’inflorescenza si forma su un ramo fiorifero legnoso, che si genera al centro della pianta e può arrivare fino ad un’ altezza di 11 metri, tutto molto affascinante, se non che dopo pochi mesi dalla fioritura di questo inutile asparago gigante, la pianta muore a causa del grande dispendio di energia, si, avete capito bene, MUORE. Una vita per maturare per aprirsi al mondo esterno per mostrarsi per quella che è e dallo sforzo lei muore. Ora io mi domando Agave, come hai potuto farti questo?, come hai potuto mettere tutte le tue energie, speranze e aspettative in quell’unico fiore matricida, ingrato? Cosa pensavi di ottenere? Ammirazione? Rispetto? Amore?, e ora cosa sei Agave “degna di ammirazione”, telo dico io, sei solo un carciofo secco.

CAPITOLO 4

Il salice piangente – l’autoerotismo, ovvero amarsi

Non ho una buona memoria, (se non avessi già usato il sillogismo del pesce rosso lo riuserei), però ricordo quella volta che da piccola, avrò avuto poco più di quattro anni, ho tentato, in onore del mio nome, più o meno inconsapevolmente il suicidio; ero in piscina con mio fratello e i suoi amichetti più grandi che giocavano a fare i tuffi, io con il mio costumino verde, li guardavo da lontano. Ero annoiata, e mi sono buttata, sapevo di non sapere nuotare, sapevo che l’acqua era alta, ma mi sono buttata. Poi un tizio mi ha ripescata e ricordo di aver avvertito la sensazione che generalmente definisco di “formiche nell’ ombelico” un misto di imbarazzo e eccitazione, e mi sono sentita molto in colpa. Io sono così, ci sono momenti in cui mi butto senza motivo, senza prendere le misure, poi passo periodi in cui al brivido del salto nel vuoto e dell’abisso, preferisco comfort e tranquillità, e quindi mi sdraio sul letto di un fiume, come Ungaretti, come una pietra, e lascio che l’acqua scorra, che mi levighi e mi corroda, ed io, invece di sentirmi più leggera, mi sento più pesante e consapevole delle mie moltitudini e delle mie contraddizioni. Sono fatta di strati io, come le lasagne, che poi più sono alte più sono buone, il problema è il primo strato che deve essere ben posizionato sul fondo della teglia, le fondamenta devono sorreggere tutto quello che verrà aggiunto dopo, besciamella e ragù compresi, proprio come ho studiato a scienza delle costruzioni all’ università, anche se in realtà non ci ho mai capito più di tanto.  Mi sono spesso comportata da un salice piangente, belli i salici, direte, che piangono sempre ma non ti fanno pena, maestosi e stoici nel loro dolore, ma non tutti conoscono la vera natura del salice che getta a terra le proprie bacche prima ancora che siano mature e pronte, sono alberi inconsapevoli delle proprie potenzialità, si fanno distrarre dal loro dolore, si sentono in colpa di essere così belli e tristi, si credono incapaci di essere alberi meravigliosi. Capirsi, amarsi accettarsi e anche bastarsi, come ci insegna il buon vecchio Gianni Rodari nella sua poesia il Pittore (la mia preferita in assoluto, me la facevo leggere ogni sera prima di dormire), praticamente c’era questo pittore che non aveva nemmeno un colore e per farsi i pennelli si strappò i capelli, andò dal Andò dal padrone del Blue gli disse:” Per favore, dammi tu un po’ di colore per dipingere un cielo. Ma mica tanto, soffio, un velo”.Vattene, vattene, fannullone,pezzo di accattone,se non vuoi che ti lisci il groppone col bastone!”. Andò dal padrone del Giallo e gli disse così: Prestami qualche avanzo di colore, un ritaglio, abbastanza per fare un girasole”. Ma quello lo aggredì con un torrente di male parole: Pezzente, delinquente, la finisci di seccare la gente!” Andò dal padrone del Verde, andò dal padrone del Bruno,ma non gli dava retta nessuno. Infine pensò: Il Rosso ce l’ho! ” Detto fatto un dito si tagliò. E il Rosso gocciò sulla tela: era una lagrima appena, una perla di sangue, ma tinse in un istante, la tela intiera, rossa come un falò di primavera, rossa come una bandiera, come un milione di rose.E il povero pittore adesso che aveva un colore si sentì ricco più di un imperatore. Grazie Gianni Rodari.

CAPITOLO 5

ikebana – il feng shui dell’amore

L’ikebana è una disciplina giapponese di origine zen, è l’arte della composizione floreale, attraverso la quale la coscienza individuale si sforza di accordarsi armoniosamente con il cosmo. Il principio fondamentale è l’amore per la linea, si utilizzano sia rami che fiori, generalmente un bel ramo lo si preferisce a tutti i fiori possibili anche se belli e particolari (c’è speranza anche per i rami secchi), è la natura stessa che ci guida in ogni fase, nascita crescita, declino. La composizione vera e propria si articola attraverso tre elementi fondamentali; Un ramo centrale verticale, che è l’elemento più importante, che rappresenta il cielo, e spesso chiamato ramo “primario” o “Shin”, costituisce l’asse compositivo e deve quindi essere preponderante e molto forte, è la congiunzione, la direzione comune verso cui andare. Poi c’è un asse intermedio che viene sistemato vicino al primario, un gambo “secondario” o “Soe”, che simboleggia l’uomo. L’impressione che deve dare è quella di spingere lateralmente e in avanti rispetto al principale, lungo circa due terzi della lunghezza del primo, inclinandosi verso di esso; è la coscienza di se stessi l’imposizione della propria natura personalità aspirazioni calibrata rispetto a tutto il resto, in maniera armonica e totale. Infine c’è lo stelo “terziario” o “Hikae” che è il più corto e viene posizionato alla base degli altri due e leggermente di lato, rappresenta la fiducia, la stima e il rispetto, la base solida di un rapporto. La sensazione che devono dare tutti questi elementi è di unica appartenenza ad un tronco a questi tre rami si possono aggiungere altri fiori per arricchire la composizione, ma è la posizione corretta dei tre elementi che garantisce l’equilibrio del tutto. Non cercate di cambiarvi a vicenda, armonizzatevi e slanciatevi verso il cielo.

 

 

 

 

 

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