Premio Racconti nella Rete 2016 “Processione” di Antonella Monsu Scolaro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Si tratta di un’ombra, le avevano detto. A lei di ombre venivano in mente solo quelle che le raccontava nonna ‘Ngelì, quando era piccola, la nonna materna di cui aveva ripreso il nome. Erano le ombre della processione dei morti che camminavano per le vie del paese. Erano bianche in faccia e coi vestiti con cui se n’erano andati. Nonna ‘Ngelina, quelli che conosceva, li nominava uno per uno e poi c’erano quelli di cui non sapeva, perché erano morti prima che lei nascesse. E c’era lu murticedd, che non ce l’aveva fatta, l’inverno in cui c’era stato tanto freddo e tanta neve. La nonna glielo descriveva così bene che lei se lo vedeva, con la sua camiciola lunga e coi piedini scalzi, mentre trotterellava davanti a tutti.
Ma l’ombra nei polmoni di sua figlia, proprio non riusciva a immaginarsela. Era al centro, ma non aveva capito se a quello destro o al sinistro. E che importanza poteva avere. Le parole al telefono avevano continuato a entrarle nell’orecchio, come un suono lungo e omogeneo, senza significato. L’unico significato era quell’ombra scura e imprecisa, che non si sapeva che cosa fosse e non lasciava presagire niente di buono.
Sua figlia aveva solo vent’anni. Qualche giorno prima aveva cominciato a non respirare bene e il medico del paese, aveva detto che doveva fare una tac. Così era partita col padre, verso il capoluogo. Lei non era potuta andare, perché doveva restare a badare alla casa e alla madre vecchia e malata.
-Torniamo domani stesso- aveva detto il marito e poi i giorni erano passati, tra una visita specialistica, le radiografie, le analisi del sangue.
-Ma che t’ha detto il professore, l‘ha vista la tac?-.
“Tac” era un battito di tempo in cui tutto stava avvenendo. Il rumore di un orologio che le martellava il cervello, rendendole tutto irreale. Più irreale della processione dei morti. Quella, Nonna ‘Ngelina l’aveva vista coi suoi occhi e sua madre Marìe, quando era bambina, aveva visto l’immagine di zio Castolo, il fratello di nonna ‘Ngelina. L’aveva visto sulla parete della sala. Portava un maglione verde e quando sua madre l’aveva raccontato a nonna ‘Ngelina, la povera vecchia si era messa a piangere. Prima che suo fratello partisse, gli aveva fatto lei stessa un maglione verde con i ferri, ma sua figlia non poteva saperlo, perché non era ancora nata e lei non l’aveva raccontato a nessuno. Di quel giorno voleva conservare il ricordo solo per sé. Era l’ultimo ricordo di quel fratello che la guerra gli aveva rubato. E con lui gli aveva rubato pure la giovinezza.
“Tac” . Era bastato quel frammento di suono e una crepa aveva lesionato il suo tempo, sempre uguale, ma sicuro e antico. Aveva aperto un canale che portava verso ospedali, macchinari sconosciuti, che avrebbero sputato le loro verità. Verità moderne e cattive.
Il telefono squillò e Angelina rispose con un pronto che veniva dall’oltretomba. -Come stai? – le disse il marito dall’altro capo.
– Mo’ lascia sta… allora la tac?-
– No, non si capisce. Pare che la vogliono ricoverare, per tenerla sotto controllo e poi ripetono la tac.
– Ma come…allora non tornate?
-Statt ‘ngrazie de Dije, ‘Ngelì. Nun te da penzier. Vedrai che si risolve.
Angelina uscì di casa e s’incamminò per la via che portava alla chiesa di San Michele. Era quasi sera e i lampioni erano già accesi sulle pareti scrostate delle case. L’inverno si cominciava ad annusare, con l’odore di legna bruciata che usciva dai comignoli. Girò in un vicolo e sentì che le campane davano sei rintocchi. I battocchi le martellarono cupi nel petto: “tac… tac… tac… tac… tac… tac ”. Le venne in mente che la settimana prima era morto ù scarpar, che aveva la bottega proprio nella stradina accanto. Le sembrò di vederlo uscire da un portone, col grembiule, il cappello, gli occhiali. Lo salutò con un cenno del capo e proseguì verso la chiesa.
Entrò e si andò ad inginocchiare ad uno degli altari della navata laterale, davanti ad una statua della Vergine Maria e pregò. Pregò per un tempo lungo, un tac di tempo indefinito. E poi dal profondo del cuore le arrivò una voce che le disse fallo, fallo il tuo voto. E allora Angelina raccolse tutta se stessa in un grumo di devozione e si offrì. Si offrì in sacrificio, e disse:
– Santa Marìe,
mamme de Dije,
prendi la vita mia in cambio di quella di mia figlia.
Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte
Ammén. –
Poi si fece il segno della croce e uscì.
La notte trascorse serena. Sognò ù scarpar, ù morticedd, zio Castolo col maglione verde e tutti gli altri senza volto e se ne andò con loro, in processione per le strade del paese. Cadeva la neve, bianca e soffice e copriva ogni cosa, che restava immutata per sempre in un sonno senza tempo. Si svegliò e si accorse di avere dormito a lungo, come non le capitava da tanto. Si sentiva calma e serena, come se la processione notturna l’avesse lavata da ogni tormento e consegnata ad una pace nuova.
Attese tutto il giorno e il giorno dopo ancora e poi il telefono squillò.
– Angelì, i dottori hanno detto che non è grave. Si tratta de nu pneumotorace, una cosa che può capitare ai giovani, che si risolve da solo senza interventi. Angelì, sì cuntent?…Angelì, che fai, nun rispunn?
– Sì…sì, su cuntent – disse Angelina
Poi rassettò la casa, accudì la madre malata e quando ebbe sbrigato ogni cosa, si portò una sedia in strada, davanti alla porta, si sedette e attese. Attese che la notte arrivasse e con la notte la processione. E quella arrivò, proprio come gliel’aveva raccontata nonna Angelina. E c’erano tutti, quelli che aveva conosciuto lei, quelli che le aveva raccontato sua nonna e tanti altri di cui non sapeva. Procedevano lenti e leggeri lungo la strada, avvolti in una luce bianca. Una processione di anime vestite che avevano conservato un legame sottile col luogo della vita, con affetti che ancora bisbigliavano nella preghiera. Dalla schiera si staccò una donna e ad Angelina parve che la invitasse a unirsi a loro. Allora si alzò dalla sedia e mosse alcuni passi per vederla meglio. Aveva una figura minuta dentro una larga camicia da notte bianca e lunghi capelli grigi. Le ricordava sua nonna Angelina, morta anni prima. Si diresse verso di lei per vederla meglio, ma quando si avvicinò si rese conto che non aveva lineamenti, che il suo viso era un alone bianco e sfocato. Tutti i morti della processione non avevano volto e procedevano senza guardarla, ognuno intento nel proprio cammino. Angelina li seguì e il suo passo divenne sempre più sicuro, come se sapesse dove stava andando.
Molto bello. Raccontare la morte con un tocco di paranormale. Brava.
Antonella sei stata bravissima!!!