Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Orgoglio e indignazione” di Valdimara Duri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

La signora era salita sull’autobus diretto verso il centro città affannata, come se avesse corso. La pelliccia di ottimo taglio e la borsa nera di coccodrillo, la dicevano lunga su di lei.

Una volta chiuse le porte, mentre il mezzo ripartiva,  si era trovata a vacillare ed aveva dovuto afferrare come meglio poteva la maniglia di un sedile per non cadere. Aveva guardato con aria di rimprovero verso il posto di guida  poi, col biglietto da timbrare in mano, aveva cercato intorno a sé il congegno che serviva al suo scopo.  Quella mano risolutamente protesa in avanti, con in pugno quel pezzetto di carta rigida,  era passata davanti al suo obiettivo senza riconoscerlo. Come un cavaliere che, lancia in resta in un torneo,  snobbasse il suo nemico per correre verso più imprecisi orizzonti.

Nel tardo pomeriggio invernale, l’autobus era quasi vuoto e i pochi passeggeri la stavano osservando  dal momento in cui aveva messo le sue  costose scarpe sul predellino. Tra loro erano passati sguardi di scherno, nessuno pareva disposto ad aiutarla, ma tutti guardavano solo lei. Nella considerevole cubatura di quel lungo veicolo non rimbalzava suono di umana provenienza. Era il rumore del traffico esterno a rendere assordante il silenzio di quei volti, l’immobilità convinta dei corpi. Sul viso di quella donna di mezza età si leggevano indecisione e irritazione per quella piccola lotta di classe messa in scena.

Più lei appariva smarrita, meno gli altri passeggeri parevano oppressi dalla stanchezza e più attenti al frenetico lavorio dei suoi nervosi pensieri.

“Avrei fatto meglio ad aspettare un taxi” rimuginava tra sé . “Tanto arriverò in ritardo ugualmente. Sa Dio perché sono salita su questo mezzo. L’autista guida come un folle e non c’è più la macchinetta per timbrare. Di sicuro uno di questi sfaccendati ci si è appoggiato e me la nasconde. Figuriamoci se mi dicono dov’è. Ma che avranno da guardare così? Pensassero invece a lavarsi di più!”

Procedendo con cautela, si era sistemata in un sedile a quattro posti e in quella conquistata solitudine si era rilassata. Dal suo viso erano scomparsi a poco a poco titubanza e disordine. Teneva gli occhi fermi sulle immagini che sfilavano dal finestrino, assorta nel suo recuperato orizzonte mentale. Composta rigidamente, con la borsetta ben stretta in grembo, sembrava non essersi accorta dell’uomo che si era seduto di fronte a lei, fino a quando lui si alzò di scatto.

La signora, seguendo il confuso movimento, lo guardò e si immobilizzò stupefatta.

L’individuo, sulla quarantina, scarmigliato e con la barba mal rasata, si era sollevato i lembi del logoro giaccone e si stava stringendo il nodo di una corda, usata come cintura dei pantaloni. Erano visibilmente di una taglia di troppo, gli lasciavano i fianchi scoperti.

L’operazione sembrava semplice ed era stata fatta con grande velocità, ma i calzoni continuavano a scivolare giù perché il nodo non teneva. Dovette essere fatto più e più volte. In quei minuti l’espressione del volto della signora, fermo al’altezza della cintura, a soli trenta centimetri di distanza da quel corpo maschile, era rimasta impassibile. Risolto il suo problema con accuratezza, l’uomo sospirò soddisfatto e si sedette.

Fu a quel punto che lei aprì bocca per assalirlo.

“Ma che cosa sta facendo?” disse.

L’uomo, scuotendosi svogliatamente dalla tranquillità appena raggiunta, le aveva puntato addosso un paio di profondi occhi neri.

“Ah, allora tu è mezza cieca che non vede, ma tiene bocca bene aperta a fare domande inutili” le disse sprezzante. “Anche bambino capisce cosa facile che io faccio”.

Che non fosse disposto a dare spiegazioni a quella estranea rompiscatole, era molto chiaro agli attenti passeggeri che, attorno a loro fingevano il più totale disinteresse. Tutti perciò si voltarono incuriositi quando risentirono la tediosa voce tornare decisa alla carica. Dunque il divertimento non era ancora finito.

“Ma che dice! Meno male che non c’è un bambino. Sarebbe proprio un bell’esempio, il suo. Qui, in mezzo alla gente, mettersi a fare queste cose. Non è a casa sua!”

Qualcuno degli astanti si era già perso in quel dialogo che tirava in ballo troppi argomenti. Per dire, che c’entravano, ora, i bambini? Chissà cosa aveva capito, quella donna.

Non bastava si fosse resa antipatica con la superbia dimostrata fin dal primo momento? Ora i fatti dimostravano anche la sua grande stupidità. Si meritava che nessuno l’avesse aiutata a timbrare il biglietto, ma soprattutto sembrava giusto che il caso l’avesse consegnata nelle mani di quel burlone. Così i conti tornavano e per quella sera il viaggio era valso la pena!

Come seguendo i pensieri di tutti, l’uomo continuava a prendersi gioco di lei stuzzicandola e disorientandola sempre più.

“Ah, perché ora, tu che non vede bene e fa domande inutili, è molto brava a dire a me cosa devo fare a casa mia” le disse.

Aveva con lentezza accavallato le gambe, poggiato lo zaino davanti a sé ma molto vicino ai piedi della signora, che velocemente li ritirò. Mentre lui parlava lei si faceva sempre più indietro sul sedile, in una posizione quasi di difesa: ginocchia ben accostate, braccia rigidamente incrociate sopra la borsetta, collo quasi incassato nelle spalle. Sembrava essersi rimpicciolita, asserragliata dietro al muro di protezione che desiderava ci fosse stato tra lei e quell’uomo ordinario e incalzante, tra lei e il mondo di estranei da sopportare. Ritrovò la voce per dire con fastidio: “Allora lei fa finta di non capire e mi mette in bocca parole che non ho detto. Qui non può fare tutto quello che le passa per la testa, a casa sua faccia quello che le pare, non mi interessa”. Non lo guardava nemmeno.

L’uomo al contrario non smetteva di fissarla,  con occhi maliziosi, con tono sempre più provocatorio, non mollava la presa.

“Ah, certo, a signora non interessa quello che capita in mia casa. Se sono riscaldato, se trovo da mangiare in mio frigo, se dormo in letto di lenzuola o materasso sporco, cosa fanno miei bambini e la mia moglie. Non interessa nemmeno perché sono venuto in vostro paese, cosa speravo e cosa ho ottenuto”.

Tutti sull’autobus potevano vedere come il volto della donna fosse diventato paonazzo, la voce ancora più stridula. “Oh, senta” sbottò. “Non voglio di certo ascoltare una conferenza sui diritti dei popoli. Ho già i miei pensieri! Lo sa che sono in ritardo per la cena con le mie amiche?”

Quest’ultima osservazione fece girare molte teste per la sua insensatezza. Cosa c’entravano la sua cena, il suo ritardo con il resto? Quella donna era così arrogante, che non si riusciva nemmeno a provar pena per la situazione in cui si era cacciata con le sue mani.

“Se signora preoccupata da suoi grossi, grossi guai, non interessa cosa faccio qui. Signora meglio sta veramente zitta, pensa fatti suoi. Io non fa male a nessuno, non rubo e non disturbo”. Ciò dicendo l’uomo incrociò le braccia.

Era meglio che andare al cinema. Quel regista improvvisato aveva mille idee su come proseguire quello strambo film ma poco tempo, purtroppo. Fra una manciata di fermate doveva scendere dall’autobus e avrebbe fatto ridere tutta la sua famiglia con il racconto di quel viaggio serale.

La signora, raccolte le ormai scarse energie polemiche, con un ultimo guizzo sembrò voler uscire dal fragile nido in cui si era ritratta. Sembrò ancora voler portare argomenti a favore delle sue tesi. Distese il corpo e rialzò il capo, pronta a vincere la sua personale battaglia.

Con foga fece uscire dalle labbra pregiudizi insolenti, i quali non fecero che renderla ancora più sgradita al pubblico. Non un cane tifava per lei anzi, ormai le sbuffavano contro senza riserbo .

“Per carità, non si metta a fare la vittima, ne siete così capaci voi che vi aggirate per le nostre città, ci manca solo questo” disse imperterrita. “Ha mai visto qualcuno su un autobus comportarsi come lei? Non sta bene, non è per niente normale!”

L’uomo aveva sollevato un sopracciglio, forse risentito da quell’ultima frase. Con studiata calma,  si era accomodato meglio sul sedile. “Ah, fa ancora domande e dà risposte che non servono” esclamò con tono perentorio. “Meglio che tace e guarda da altra parte come fanno sempre signore vestite bene che vedono cose che non piacciono.”

Agitandosi sul sedile, lei mormorò piccata tra sé e sé: “Adesso non posso nemmeno più parlare che mi trovo a dovermi difendere, quando chi si comporta da incivile è proprio lei. Questo è il colmo!”

Dai modi dell’uomo era difficile capire se fosse più contrariato da quell’ultima offesa o solo stanco di quel gioco. Si dimostrava più distaccato dalla scena,  e il suo pubblico sembrava deluso dalla sua mancata reazione,  dalle risposte frettolose che stava dando.

Forse si era alla fine dello spettacolo.

“Niente di strano che se io non posso fare lei non può parlare, così siamo pari. Mia cara signora sono triste a continuare, ma le devo ancora dire che sarei stato più civile se avessi potuto comprare una cintura nuova.” Lei appariva fiaccata nelle sue energie da una esasperazione insopportabile mentre, evitando quella inattesa possibile discussione,  rispondeva in tono puerile girando la testa dalla parte opposta.

“Non la voglio più ascoltare, la smetta”.  Molti la guardarono con sufficienza compatendo questa ultima espressione della sua già esibita stupidità. Il caso l’aveva beffata, la necessità ebbe pietà di lei: lo straniero era giunto alla sua fermata. Alzandosi e suonando per la chiamata, continuò inclemente. “Ah, signora, se il suo bel cappotto si rompe va dal sarto e paga o ne compra un altro. Apre la borsa e tira fuori il portafoglio, io lego di nuovo lo spago quando il nodo scivola e i pantaloni cadono. Meglio che vedere le mie gambe pelose no?”

“Basta, la smetta di parlare,  lei è troppo impertinente!” lo interruppe con voce isterica. “Se continua vado dall’autista!”

“Ah, questo paese civile è per me molto complicato. La prossima volta salgo con gambe pelose nude e chiedo soldi per cintura nuova” le rispose l’uomo sorridendo, mentre scendeva dall’autobus.

 

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1 commento »

  1. Ben scritto.

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