Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Il caffè esistenziale” di Stefania Ottavia Carmignano

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

“Mammaaaaaaaa…!”

“Eeeeeeeh..?? Che c’è?”

“Il cafféeeeee!”

In questo modo viene quasi sempre annunciata “l’uscita” del caffè a casa mia. Bisogna più che altro urlare dato che casa è distribuita su più piani e mamma sfaccenda di sopra già dalle prime luci dell’alba, quella che almeno io definisco alba.

Il caffè è un rito che ho scoperto essere di fondamentale importanza nella mia famiglia, se non addirittura vitale e c’è un motivo ben preciso del perché sia così impellente: siamo quattro donne. Del sud poi. Praticamente diventa una riunione in cui i problemi più tragici, le nostre condizioni esistenziali vengono risolte in quindici minuti.

Non ricordo quand’è stata la prima volta che ho provato il caffè, a scuola lo bevevo perché c’erano i distributori ma quello di casa non mi piaceva. Era troppo complicato a tratti quasi rischioso per me riuscire a berlo senza che mia madre mi guardasse negli occhi e capisse tutto. Quel tutto che per un quindicenne diventa come spogliarsi in piazza. Non comprendevo la necessità di parlare così a lungo e con così tanta profondità, in fin dei conti era solo un caffè. Come può una tazzina contenere così tante parole? Tutte rigorosamente ineluttabili che muoiono dalla voglia di essere confessate e condivise. Ma le mie arrivarono in ritardo, non volevano uscire. Ero in combutta con me stessa, non mi piaceva il caffè, non volevo parlare con nessuno. Iniziai a bere il thè. Quello potevo addirittura portarlo in camera senza parlare. Però quando chiudevo la porta sentivo in lontananza il chiacchiericcio delle mie sorelle con mamma. Bevvi il thè per tanto tempo.

Tutto quel tempo lo trascorsi ad ascoltare le loro parole che per me erano lontane, non riuscivo a comprenderle tanto fossero complicate. Non c’era né un capo né una coda. Era un’emorragia di pensieri che loro riuscivano a contenere con semplicità. Mentre per me era un’emorragia interna che non potevo frenare, ma in essa riuscivo a racchiudere molto, quel tanto che mi ha fatto vivere e che pian piano mi ha portato a sostituire con temerarietà il thè al caffè.

Svariati caffè ho bevuto sino ad ora, parecchi sono stati dolci, altri amari. Di altri invece ho dovuto pagarne il prezzo tanto li ho desiderati, tutta colpa di questa disgraziata fiammella che ho nel petto. Se ne sta lì vergine e fedele pronta a farti agognare, sospirare e struggere. Fortificanti, intensi, ma resta il fatto che li ho pretesi. Sono esageratamente importanti, di questi caffè non ho dimenticato neanche una parola. Volevo coglierle tutte e battezzarle nel mio cuore, che con fare leggero e utopistico si entusiasma ogni volta che ne incontra altri altrettanto incontenibili. Accadeva qualcosa di strano, però, quando bevevo questi caffè: l’anomalo desiderio di condividere le mie di parole. Tutte. Ero accelerata, in costante battaglia contro il tempo che gelosamente non me ne concedeva di più di quelle previste. Infatti poi la mia esigenza l’ho scontata tutta. Ritornavo a bere il thè.

Con questa fame di curiosità e condivisione che ci accomuna, ho voluto fregare l’inesorabile scorrere dei giorni e delle ore che ci annebbiano i pensieri e i ricordi. Vorrei raccontarli tutti e poter cogliere ogni sensazione o brivido che questi mi hanno suscitato. Un’altra parte di me invece combatte per mantenerli gelosamente custoditi, immortalati in quel tempo che è finito ma nel contempo stranamente smisurato. Proprio come una tazzina di caffè, ben definita ma allo stesso tempo ascolta centinaia di migliaia di parole e le accoglie tutte. La nostra natura fortunatamente è un’altra. Noi non riusciamo a contenere più di quello che ci è mentalmente concesso. Se così fosse però, non esisterebbe alcuno scrittore.

I caffè più “forti” posso contarli, come quelli in famiglia, avevano ed hanno sempre avuto la giusta intensità. Siamo quattro femmine in una incessante fase di produzione di emozioni, problemi e soprattutto drammi che gestiamo con insofferenza, una piccola dose di teatralità per poi arrivare ad una beata consolazione. Certo, come la raggiungi ne devi subito elaborare un’altra per compensare al dramma successivo.

Alle volte bevo il caffè con Luce, mia sorella e quel momento è privo di parole, perché le piace il silenzio, si trova a ragionare e me ne accorgo quando succede, glielo leggo negli occhi. Sono occhi affollati, i suoi, forse è per questo che dice sempre: “Il silenzio è una cosa preziosa”. Strano! I caffè di Luce hanno sempre racchiuso tante parole, che in alcune circostanze sono state eccessive anche per lei. Capita che ci troviamo io, Luce e mamma a ragionare, ci versiamo il caffè e aspettiamo che freddi. Di quell’attesa nessuno può calcolarne l’intensità. Per molto tempo si parlava del problema di Luce al cuore, le faceva male poverina, non ci sono medicine per quando si strappa il cuore. Quel dolore te lo devi tenere fin quando non lo decide lui qual è il momento giusto per guarire. Quanti caffè amari ha bevuto Luce, alcuni sono stati al fiele; troppo tempo è trascorso fin quando non ha trovato il giusto rifugio, era solo ripiego e difesa. Io cercavo di donarle anche il mio fiato, ma i miei tentativi li ho sempre ritenuti miseri. Non ho una buona spalla, sono nata triste e vagabonda. Il malessere di Luce non l’ho mai perdonato, cattivo, ti annichilisce e perdi il sorriso. Solo dopo un tempo immenso e inappagabile, Luce si è ritrovata ed io ho riavuto il suo sorriso.

 

Poi c’è Maria, l’altra sorella.

Ah…i caffè con lei vanno a tentativi, non sempre riescono, nel senso che può capitare che condividiamo momenti disarmonici. Ovviamente non è sempre così. Ma volente o nolente il mio caffè e il suo caffè sono differenti. Lei, tra noi tre, è la più coraggiosa, continuamente festante; beve tanti caffè, e lo fa senza pensarci troppo. Nonostante la natura ad alcuni doni allegria, nel proprio intimo si è incapaci di esserlo fino in fondo perché subentrano la paura e i pensieri, allora serve qualcuno che lo faccia per te, farti ridere intendo. Così è Maria, con se stessa non ci riesce, allora prendiamo il caffè e parliamo. Accade sempre nello stesso modo come un rito: io, Maria e mamma; si parla della vita, del lavoro che non c’è e di che fine faremo. Il momento che più gradisco è quando fantastichiamo sul nostro futuro, come vorremmo la nostra casa, con giardino o no, se ci vuole l’isola in cucina, i fiori freschi sul tavolo ogni mattina; se vivremo insieme o se a causa dello smarrimento sociale berremo un caffè scompagnato, pensando a tutte quelle parole che rimangono stipate, diventano così sole, remote che poi te le scordi tutte. Tante volte Maria ha parlato di andar via, una volta stava per farlo sul serio e io…per una settimana tutte le volte che entravo in camera pensavo: “ E mo’!? Come faccio?”.

Pensavo.

Apparentemente leggero può apparire il mio sentimento per Maria, a causa dei nostri frequentissimi pasticci verbali, ma se qualcuno lo quantificasse, nulla reggerebbe. Ogni unità di misura risulterebbe ridicola. Vi immaginate se ogni fratello o sorella portasse a pesare l’amore per il suo sangue? Una bestialità. Anche se ne conosco tanti a cui basterebbe la capienza di un bicchierino da cordiale.

Che poi sono così disinteressati i bicchieri, loro non raccontano niente, le tazzine invece parlano di tutto già dai tempi antichi. Secondo una leggenda, si attribuisce la scoperta del caffè ad un pastore etiope. Egli si accorse semplicemente di come il suo gregge, mangiando certe bacche rosse, fosse più attivo. Così le provò anche lui. Solamente più tardi il caffè arrivò in Italia precisamente a Venezia. Nondimeno, a Napoli nacque la prima macchina del caffè, il luogo perfetto dove si combinano matrimoni, si rinsaldano legami e si aggregano un “fottio” di parole.

I caffè bevuti nella mia affezionata Puglia ne hanno avute di parole, tutte molto forti e rigorosamente cariche di ricordi, belli ovviamente, non potrebbe essere il contrario, non si può sciupare un caffè per delle notizie spiacevoli. Sono convinta del fatto che non tutti in Italia bevano il caffè allo stesso modo, infatti qui dove abitiamo adesso, la gente non è così dedita. Al sud invece è tutto più appassionato, specialmente il caffè, diventa a tutti gli effetti un rituale dal quale pochi possono astenersi perché le parole di certo non lo fanno, loro rimangono fedeli nella testa e trepidanti sulla bocca.

La liturgia del caffè prevede che ci si guardi intensamente per poi dare inizio al circuito ininterrotto di parole che transitano da parte a parte. Poi cade il silenzio e i  ragionamenti sembrano risolti ma tornano subito dopo perché, magari, la nonna ha avuto un’illuminazione su come risolvere il dramma in atto. Mamma che non si capacita di queste disavventure e, dolcemente, decide di affidarsi all’ennesima novena alla Madonna. Diventa a tutti gli effetti un’opera drammatica. Risate e pianti, saggezza e inesperienza, pensieri e storie. Tutte queste cose girano attorno ad un caffè, quello  della mia terra che ti insegna ad “essere più vicini” alle cose e alle persone, è tutta una questione di radici.

Le radici, si sa, camminano, sono impossibili da fermare, si prendono il loro spazio per crescere. Avanzano e si attorcigliano con altre radici. Un po’ come le persone che ho incontrato. Alcune sono arrivate nella mia realtà così, direttamente in faccia; sono state significative perché hanno stimolato la mia voglia di conoscere il più possibile, di pormi sempre domande, di amare l’arte senza pregiudizi e di accostarmi ad essa senza paura, rimanendo insaziabile. Una di queste persone è stata il caro Giorgio. Lui sì che ne aveva di parole, per la testa, sulla bocca, sulla penna, nelle mani. Anche nel nostro unico caffè ne passarono diverse, furono le prime, quelle che escono spontanee e imprudenti. Lui aveva quella fantastica capacità che poche persone hanno di rimanere ad ascoltare la tua vita, i tuoi pensieri, le impressioni, le fisime, le speranze, il tuo cuore. Sì anche quello, non si capacitava di come un cuore possa rimanere solo alla mia età. Perché poi si rischia. Mi ricordo di quando parlammo della Traviata, io sostenevo che Violetta morisse di tubercolosi, Giorgio, invece, credeva fosse amore. Disse proprio testuali parole: “ No Stefania, Violetta muore d’amore. Tutte muoiono per amore”.

L’ho capito più tardi, perché tutti abbiamo lo stesso tipo di memoriale. Con lui la vita, purtroppo, mi ha concesso solo un numero preciso di parole, troppo preciso. Ogni persona che abbia fatto la sua conoscenza ha ancora quel retrogusto amaro di tutte quelle parole che si son rotte, lasciando tutti internamente incompleti. Lui è venuto a mancare un giorno di maggio, dicono un mese troppo bello per sposarsi con la morte, ci vuole un certo coraggio.

Esistono in questa montagna di tazzine, migliaia di parole che ho conservato nella memoria, abbandonate nei sensi e nei sentimenti, nei souvenir, nelle rovine, nelle tradizioni e nelle cicatrici. Tutte sono state necessarie ed irrinunciabili in egual misura perché da esse ho appreso l’importanza di ascoltare ed ascoltarsi, un riguardo dal quale non si può prescindere. Non potrei mai privarmi del sacro piacere della conoscenza che sia umano o culturale. Paradossalmente, mi è capitato tempo fa di imbattermi in una bustina di zucchero che mi ha trasmesso entrambe le cose e riportava le parole di Luciano De Crescenzo: “ Una volta a Napoli quando uno prendeva un caffè al bar, ed era particolarmente allegro, invece di uno ne pagava due. Il secondo era per il cliente successivo. Ogni tanto poi c’era qualcuno che si affacciava al bar e chiedeva sec’era un caffè sospeso. Insomma, come dire, era un caffè offerto all’umanità. Anche io oggi vorrei lasciare un caffè sospeso per…”

Come lui, lascio un “caffè sospeso” ma esistenziale per chi ci sarà e per chi vorrà esserci.

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8 commenti »

  1. Io adoro il caffè e il tuo racconto ha espresso chiaramente e insindacabilmente con amore e verità tutto quello che rappresenta per noi del sud.Leggendolo mi sono sentita a casa anche noi 4 donne intorno al caffè e mi sono commossa per tutte quelle verità che hai minuziosamente raccontanto senza annoiarmi per un solo attimo.Sono davvero contenta di aver letto le tue righe che hanno suscitato in me tanti ricordi di “tazzine”.In bocca al lupo e sinceri complimenti.

  2. Cara Noemi ti ringrazio molto e mi fa piacere sapere che ti ha suscitato belle emozioni,proprio quelle che volevo trasmettere a voi lettori! Grazie tanto!

  3. La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo il tuo racconto bello, delicato e profondo, è stato il film di Monicelli ” Speriamo che sia femmina”. Le storie che emergono davanti ad una tazzina di caffè sono effettivamente innumerevoli. Ci sono quelle che si incagliano, quelle che riprendono fiato e quelle che muoiono. Hai descritto benissimo gli stati d’animo. Complimenti. A proposito, non potrei mai rinunciare alla liturgia del caffè. E io lo prendo amaro

  4. Grazie mille Ottavio! Le storie che passano durante la condivisione di un caffè potrebbero addirittura essere infinite e sono tutte stupende.
    Come dico a tutti quelli che lo leggono, il premio più bello è sapere che ha suscitato le stesse emozioni.
    PS: anche io qualche volta lo prendo amaro!

  5. A differenza di te, nella mia famiglia ho soltanto figure maschili, ma non ti dico con che felicità aspetto la mia amica alle due che si beve il suo caffeino con me prima di andare al lavoro… un caffè che dura mezz’ora nella quale non facciamo altro che chiacchierare! Una pausa rigenerante quasi, dove tutto si riallinea e mi fa stare meglio… Hai proprio ragione: il rito del caffè, se fatto bene, è veramente qualcosa di magico… Complimenti per il tuo racconto che è stato una piacevole sorpresa!
    Anzi sai che ti dico? Che sarebbe veramente carino prendere un caffè con te! Se la vita vorrà, te ne offro uno volentieri…
    P.S. il caffè amaro però lo lascio agli altri…

  6. Cara Patrizia posso solo dire grazie grazie grazie! E ovviamente la tua proposta non può che portarmi a pensare che davvero il caffè unisce!! Chissà se un giorno ne condividremo uno!!? comunque ancora grazie per i vostri commenti che, come già detto, sono già un premio!
    PS: sono su fb! 🙂

  7. Peccato! Peccato davvero, sei stata molto originale e mi è dispiaciuto non trovarti nella rosa dei vincitori… Ma noi siamo guerriere e non ci arrendiamo! Ci vediamo nel prossimo concorso, anche perché abbiamo un caffè in …sospeso… In bocca al lupo per tutto ciao!

  8. Ciaoooo Patrizia! Beh anche a me è dispiaciuto come è naturale che sia, ma vado avanti! Questo è stato il primo tentativo e non voglio fermarmi, noi che abbiamo il desiderio di scrivere, non dobbiamo fermarci! Auguro anche a te tante cose belle e grazie tanto ancora per le tue parole! Ciao ciao!

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