Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “La romantica storia di un bavoso inseguitore” di Demian Rent

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Aveva il problema che le donne credono di risolvere comprando assorbenti una volta al mese. A dire il vero, aveva anche il tipico problema che le donne credono di risolvere attraverso acquisti ben più inutili e costosi, ma il problema che qui ci interessa è il primo, quello che la indusse ad uscire di corsa appena resasi conto di aver finito i Tampax.

Trovò giusto il tempo di infilarsi una tuta al volo e, sempre al volo, di agguantare delle banconote colpevolmente lasciate da qualcuno sul tavolo. Era una donna volante e non a caso prediligeva gli assorbenti con le ali. Subito dopo aver richiuso dietro di se il cancello di casa però, sentì uno strano rumore metallico provenire dalle sue spalle. Non è che fossero le sue spalle a produrre il rumore metallico, sia ben chiaro, non aveva delle protesi lì, assolutamente, il rumore proveniva dal cancello dietro di lei. Allarmata, si girò di scatto e per poco non ci rimase secca. Incredibile! Il massimo che gli uscì di bocca fu un istintivo “Ma come diavolo hai fatto ad uscire, Mirò?”. Solo che non disse esattamente diavolo.

Questo Mirò cui formulava colorite domande altri non era che il suo gigantesco cane, un singolare incrocio frutto della burrascosa relazione tra un Boxer ed una Labrador, anche se, svelto e docile com’era, sembrava più il figlio segreto di una pantera inguaiata da un orsacchiotto di pelouche. A nulla serviva rinchiuderlo a doppia mandata in casa o nella parte recintata del giardino, Mirò trovava ogni volta il modo per raggiungere lei e non restare più da solo. Scappava dalla solitudine come da una condanna a morte, proprio come gli esseri umani che hanno il terrore di confrontarsi con se stessi. Era un’inguaribile esigenza fisica la sua: seguirla, sempre, dappertutto, pure al Creatore se avesse potuto. E poi non abbaiava mai.

Lei si chiamava Barby e davanti agli occhioni tristi e supplicanti, color nocciola di Mirò, come suo solito cedette e si rassegnò a concedergli un giro in macchina fino al supermercato. “Dai andiamo, dovevo chiamarti Silvan, non Mirò!” gli disse polemicamente permettendogli di accomodarsi sul sedile anteriore “Devi stare attento però, perché non sentendoti arrivare, prima o poi potrei investirti in retromarcia” continuò d’un tratto più materna, avviandosi, vittima dei terremoti d’umore caratteristici della sua condizione di donna bisognosa d’assorbenti. Mirò allora, non essendo capace di sorridere, la ringraziò con una bella slinguazzata sulla mano che impugnava il cambio. “E dai Mirò, piantala! Che schifo!”. Si, d’accordo, certo, tenero, innocuo, amorevole, quello che volete, ma quel cane sbavava peggio di un dodicenne nascosto dentro al bagno delle femmine!

Durante il breve tragitto verso il supermercato, Mirò si mise tranquillo col muso inclinato verso l’alto e leggermente fuori dal finestrino a godere degli odori che l’imminente primavera aveva deciso di spargere nell’aria a caso, così, tanto per preannunciarsi e non sembrare inopportuna. Finché d’un tratto, in mezzo a quell’interminabile sfilza di odori, Mirò ne preferì uno in particolare, un profumo distinto, inebriante, molto persuasivo, addirittura in grado di convincerlo ad affrontare un breve intermezzo di solitudine. Quale profumo? Beh, semplice, quello inequivocabile di una bella cagnetta in calore! Mirò lo apprezzò a tal punto che l’inverosimile quantitativo di bava fuoriuscito dalla sua bocca spalancata costrinse il malcapitato automobilista che si trovava dietro ad azionare i tergicristalli, come se un inatteso acquazzone si fosse abbattuto sulla strada. E fu solo grazie all’utilizzo a forza sette delle spazzole, condito da sentite citazioni di maiali e personaggi biblici, che questo sfortunato tizio poté notare l’enorme sagoma biancastra nell’istante in cui saltava fuori dalla macchina davanti, diretta verso l’adiacente parco pubblico. Dopodiché fu normale cedere all’istinto di seguire con lo sguardo quella velocissima sagoma. Come fu normale sorprendersi a decidere se si trattasse più di un unicorno o di un leone volante. Ma più normale di tutto, così distratti e voltati, fu non accorgersi della macchina partoriente animali mitologici che stava bruscamente inchiodando…

Quando riaprì gli occhi, Barby era sdraiata su una barella del Pronto Soccorso, con qualcosa che le immobilizzava il collo ed un dolore terrificante lungo tutta la schiena. “Mirò!..” urlò non appena fu abbastanza lucida da ricordarsi dell’accaduto “..Mirò! Mirò! Dov’è Mirò?”. Intorno a lei solo sconosciuti, chi soffriva di qua, chi soffriva di là, chi soffriva al centro, insomma uguale al mondo che stava di fuori, ma un po’ più concentrato. “Mirò è morto!” gli disse improvvisamente un vecchio con una folta barba bianca e una flebo attaccata al braccio. Alla parola ‘morto’, così cruda, definitiva, irreversibile, Barby sentì qualcosa di fragile frantumarsi all’interno del suo corpicino e scoppiò in un pianto inconsolabile, pieno di ricordi strazianti ed insopportabili sensi di colpa. “Mirò, perché? Perché Mirò?” singhiozzò per diversi minuti sicura che senza di lui non avrebbe più potuto vivere. Finché, decine di litri di lacrime dopo, le venne in mente che i chiarimenti non doveva chiederli a Mirò, peraltro giustificatamente assente, ma piuttosto al lì presente vecchio molto disidratato. “Ma lei chi diavolo è? È stato lei a tamponarmi? E cosa diavolo ne sa lei di Mirò?”. Anche stavolta non disse esattamente diavolo. Palesemente infastidito, il vecchio reagì guardandola in cagnesco, più che altro per riallacciarsi al tema del cane. “Innanzi tutto io non tampono una donna dal giugno del 72..” disse con voce bassa, ma penetrante “.. inoltre la informo che Mirò è morto il 25 dicembre del 1983 a Palma di Maiorca!”. È fin troppo evidente che Barby non sapeva di interloquire con il temibilissimo Professor Amilcare Testrozzi, ex docente di Storia dell’Arte all’Università di Pavia, ‘Lo Spietato’ come lo chiamavano certi suoi studenti, quelli bocciati da lui più volte di un pallino al circolo delle bocce. Perché se Barby avesse saputo chi fosse, forse, non avrebbe replicato con lo spontaneo e poco misurato “A vecchio, ma che cazzo stai a dì?” che invece le uscì solerte di bocca. Talmente solerte che quel cazzo non fece in tempo a trasformarsi in diavolo. C’era da capirla però, piccola Barby, sconvolta dagli avvenimenti, gravemente infortunata e pure al primo giorno di ciclo! Contro ogni pronostico però, l’illustre Professore, abituatissimo a simili oltraggi durante la sua quarantennale esperienza di docente troppo intransigente, non si scompose più di tanto e puntualizzò soltanto “Joan Mirò i Ferrà, pittore, scultore e ceramista spagnolo, finissimo esponente del surrealismo, è deceduto all’età di 90 anni nella località che le ho pocanzi illustrato e riposa nel delizioso cimitero Montjuic di Barcellona”. Tutto ben esposto, istruttivo, interessante, per carità, ma sarete sicuramente d’accordo che poteva starci, vista la situazione, una replica stonata. “Ma sti cazzi!..” disse infatti Barby sollevata “..Mirò è il mio cane! Il mio dolcissimo cane! Ma dov’è? Dove diavolo è Mirò?” riprese a chiedere nuovamente allarmata. Udito ciò, Testrozzi fece una tale smorfia che sembrò avere un calcolo grosso quanto una ciriola che gli trapassava di colpo l’uretra. “Voi giovani non avete rispetto nemmeno per l’arte! Un cane? Ma si può?” disse tornando al suo silenzio stanco e disgustato. Barby non fece nemmeno in tempo a stabilire quale arzigogolata versione di vaffanculo fosse più adatta alla circostanza, che subito una minuta donna caucasica vestita di nero gli chiese “Scusa se domanda, ma cane suo è colore di fango?”. Domanda questa non soltanto sgrammaticata, ma anche piuttosto spiazzante per la povera Barby cui urgevano troppi chiarimenti. Di che colore è esattamente il fango? Perché quella domanda? E le frontiere, bisognava tenerle aperte per forza? Ma soprattutto, era finita per caso in un Pronto Soccorso Psichiatrico? “No, è bianco, insomma, una specie, un incrocio..” balbettò Barby frastornata “..Perché? Perché?”. “Perché io credeva quello” disse la donna indicando col dito una finestra nel corridoio fuori la sala d’aspetto. Barby rivolse immediatamente lo sguardo in quella direzione dove aldilà del vetro un cagnolone tutto sporco di fango, con le zampe anteriori ben salde sul davanzale, se ne stava immobile e senza fare un fiato di fuori, semplicemente a fissarla. “Mirò! Mirò!” gridò allora lei provando d’istinto ad alzarsi dalla barella. Il dolore lancinante che avvertì dietro il collo non fu niente, rispetto al sollievo e alla gioia infinita che provò…

Mirò non abbaiava mai. Era uno che preferiva non perdersi in chiacchiere, un creativo, come il suo più illustre, umano predecessore. Neanche al parco si smentì. Col suo fiuto ineguagliabile, dopo un paio di scontri con altre graziose esemplari non altrettanto consenzienti, trovò la bella cagnetta in calore. Sembrava che lei lo stesse aspettando, ci fu come un attimo di sfida, tipo i faccia a faccia nei western di Sergio Leone, solo che non furono interessate le facce. Poi fu molto spiccio Mirò, lui lo voleva, lei aveva lasciato molti indizi. Niente da dire. Zac. Una botta e via, e chi s’è visto s’è visto. Il problema fu tutta la bava che perse durante i cinque minuti di esercizio sessuale che trasformò la terra sottostante in sabbie mobili, tanto da rendergli impossibile il non assumere la colorazione del fango, anzi, colore di fango, come dicono in genere le minute donne caucasiche.

Subito dopo però si sentì in colpa per quel tradimento e dovette correre alla ricerca dell’unica femmina che poteva vantarsi di possedere il suo cuore. C’è bisogno di dire quale? Tornò allora velocemente nel punto esatto dov’era schizzato fuori dalla macchina e trovò Barby imbracata peggio di una guida alpina, proprio mentre la stavano introducendo nell’ambulanza. Fu così costretto a correrle dietro, ululando alla sirena che ululava al traffico, tanto che in molti, quel giorno, giurarono di aver visto lo Jety sfrecciare sopra le macchine incolonnate della Tiburtina. Quando alla fine Mirò raggiunse con la lingua ciondolante l’ingresso del Pronto Soccorso, vide Barby che veniva trasportata dentro e non gli rimase che un’unica cosa da fare per sconfiggere quel maledetto senso di solitudine: trovare il solito punto. Un punto esatto, mutevole, ma sempre ugualmente determinabile. Un punto che magicamente gli rivelava ogni giorno qual era la strada da intraprendere e quale fosse, senza incertezza alcuna, il suo preziosissimo posto nel mondo. Quel punto lì, il più vicino possibile a lei.

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9 commenti »

  1. Oh, che professore pedante! Il fatto che il cane sia sopravvissuto mi ha confortato molto, si ha quasi l’impressione che l’incidente sia appunto solo un incidente, quando non ha conseguenze gravi. Si può ricominciare alla grande! E’ un bel racconto.

  2. Molto simpatico. Bei personaggi, soprattutto Mirò.

  3. Veramente spassoso, diavolo di un umorista! (Intendevo davvero scrivere “diavolo”). Complimenti.

  4. Straordinario per intensità e timing umoristico. In poche pagine ci fa entrare in un mondo nuovo e ci fa amare i suoi personaggi, anche (soprattutto) quelli bavosi. Complimenti!

  5. Ganzissimo oh! Mito Mirò! A tratti esilarante.

  6. E sta pure per arrivarmi il ciclo deh. Quindi….complimenti!

  7. Mi sono davvero divertito! Rutilante, ma mai confuso, mi ha trascinato fino in fondo regalandomi delle risate di gusto. Concordo con gli altri sulla caratterizzazione dei personaggi. Bravo!

  8. Divertentissimo! Davvero bravo!

  9. Molto divertente! Adorabile il professore Testrozzi! Sarà perché insegno storia dell’arte? Bravo!

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