Premio Racconti nella Rete 2016 “Chi di spada ferisce” di Renato Cubo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016La città è una di quelle in cui piove così di rado che gli automobilisti si dimenticano che esistono le pozzanghere a bordo strada: cosa che, quando accade, crea un inevitabile esercito di pedoni fradici come pulcini.
Vanna abita nel condominio da un paio di dozzine d’anni e, merito dell’esperienza, è divenuta abilissima nell’esecuzione dell’espediente che s’è inventata per ficcanasare la posta altrui. Nella pratica funziona così: prende il talloncino che porta scritto il cognome dalla cassetta postale della sua vittima e lo mette al posto del suo; poi attende il postino e la propria corrispondenza se la fa dare in mano. Cosicché, non appena questo gira le spalle, con l’abilità che solo i migliori impiccioni hanno, recupera la posta non destinata a lei e rimette il talloncino alla sua locazione originaria. Le lettere, quelle invece, le ripone solo dopo aversele per bene studiate nella quiete di casa sua.
Lo fa da anni, ma il gioco è sempre meno divertente: la gente non si scrive più dolcissime lettere d’amore e son finiti i tempi in cui poteva sognare ad occhi aperti nel leggere melense telenovelas a puntate alle spalle di ignari amanti. Le migliori le ha ancora fotocopiate.
Ormai trova perlopiù bollette, pubblicità o, quando la fortuna vuole, misere cartoline. Ma quelle, non essendo imbustate, le può leggere chiunque senza sforzo non appena se le ritrova in mano.
L’altro hobby di Vanna è lavare, disinfettare, o per dirla meglio, anestetizzare tutto ciò che pulisce. E pulisce di tutto. Utilizzando una tale dose di varechina, che il suo è l’unico piano del condominio che, a differenza degli altri, non puzza di ombelico.
Alcuni dei condomini la chiamano ”Vannechina”. Ma, almeno di questo, ne è ignara. Per il resto, di quel palazzo conosce pure la disposizione delle antenne televisive senza essere mai salita sul tetto.
Da un annetto, enorme fortuna volle, che la coppia del quarto piano cominciasse a scriversi delle lettere. Di quelle belle, dolcissime, melense. Vanna s’accorse che la signora del quarto piano si vedeva ormai di rado, e che lui usciva da lavoro mai prima delle cinque di sera: oro colato per la donna, che cominciò a spiare la loro posta, relegando quel trucco ben oliato, a quel punto, solo alla loro cassetta delle lettere. Aveva un rapporto di buon vicinato con entrambi, ma era più forte di lei: come una cosa che si deve fare anche se non si vuole, come per un medico l’autopsia di un proprio familiare. Fu deliziata già dalle prime lettere, e ne divenne più ghiotta via via che scopriva particolari sempre più intimi della coppia, come il fatto che lui veniva tradito. La moglie lo diceva proprio apertamente nelle lettere. E quasi svenne quando, poi, scoprì che i due aspettavano un bambino.
Mentre lei ci rideva su, loro ancora ragionavano.
Loris e Flora, quand’erano ancora adolescenti e la trama del loro rapporto si stava appena imbastendo, si scrivevano risme di lettere con la stessa foga di una sarta persiana. Avevano ripreso l’abitudine ultimamente, quando lei era riuscita a trovare un lavoro che la costringeva a stare per lunghi periodi fuori città. Così come avevano ripreso l’abitudine, prima di lasciarsi per molto tempo, di toccarsi bene la faccia per qualche minuto, alla stessa maniera di come fanno i ciechi.
Sono una coppia che si può definire brillante, mentalmente ben dotata; son tipi che si divertono spesso a giocare a tris senza carta e penna, ma solo parlando; e lo fanno il più delle volte durante un viaggio in macchina. Glielo aveva insegnato un loro amico comune che addirittura riusciva, coi suoi compari più acuti, a farsi pure qualche partitina a dama. Ma quello era un genio vero: loro erano solo un po’ più svegli della media.
S’accorsero già dalla seconda lettera che qualcosa non andava: oltre alla busta che era stata evidentemente manomessa, quella roba puzzava orrendamente di varechina. E di certo, questa, non era la fragranza con cui preferiva profumarsi Flora quando usava mettersi in tira. Non ci vollero chissà quali giri di pensieri per far ricadere la colpa a quell’impicciona di Vanna – Sicuramente dirà al postino “Dia a me che ai signori recapito io”, e poi si legge la nostra posta – considerò Loris, azzeccandoci per metà. Decisero comunque di testarla, non si sa mai, già dalla lettera dopo. Così Flora scrisse, tra le altre righe nella lettera seguente indirizzata a Loris, una frase del tipo “Ma Vanna tiene ancora quegli orrendi aceri nani sul davanzale? Ma non lo sa che quelle piante fanno ribrezzo anche alle api?”. Il giorno appresso l’arrivo della lettera, Loris notò che sul terrazzino di Vanna gli aceri storici erano stati sostituiti da classiche begonie.
Finiti i dubbi: era Vannechina a leggere le loro cose.
Rinunciarono volentieri a fare gli sdolcinati per via epistolare, e trasferirono tutta la loro passione a più moderne telefonate ed SMS. Ma alle lettere non rinunciarono mica: l’occasione era troppo ghiotta per perdersela. Anzi, aumentarono di numero; quasi sempre le scrivevano insieme per telefono tra enormi risate, poi lei spediva ed entrambi attendevano. Fortuna per Vanna che leggeva le lettere di Flora, perché delle lettere di Loris c’avrebbe capito ben poco: lui aveva una calligrafia pessima: tipo quella che hanno i destri quando giocano a fare i mancini.
Si divertivano a scribacchiare cose come “Vado via tre mesi, amore, …ti mancherò!?”, o altre più pesanti come “Ti lascio, ho trovato finalmente uno che mi ama per quello che valgo”, e poi, il giorno appresso, si rivedeva Flora gironzolare tranquillamente nel palazzo. Una volta sfruttarono la cosa a loro favore per risolvere una modesta lite condominiale: Loris e compagna avevano proposto di far verniciare il muro perimetrale del condominio di giallo, dal rosso che era: colore che, oltre a essere meno ansioso, avrebbe anche attirato meno le zanzare, che in alcuni periodi dell’anno erano una vera e propria piaga nel quartiere. Così in una delle loro lettere scrissero in corsivo qualcosa come “Vuoi che Vanna non sia così intelligente da capirlo??” ed ecco, come puntuale risposta, la sua mano alzata durante la successiva riunione di condominio.
Ora il muro di cinta è giallo scuolabus.
Poi Flora, in qualche lettera dopo, rimase fintamente incinta e questa fu la beffa che tennero su per più tempo. In quel periodo, quando capitava di incrociarsi per le scale, capitava che Vanna, sempre alle prese con stracci e detergenti, con apprensione le chiedesse – Come sta? Tutto a posto signora? È molto stanca? – Flora rispondeva facendo spallucce mentre s’accorgeva che Vannechina la fissava con curiosità nella zona intorno all’ombelico. A stento, i coniugi, riuscivano a trattenere le risate. Dopo mesi poi, come se niente fosse, smisero completamente di scrivere della gravidanza.
Mentre lei ci ragionava su, loro ancora ridevano.
La burla fu di buon auspicio e Flora, poco dopo, rimase veramente incinta; così, appena potuto, prese la maternità da lavoro per tornare definitivamente a casa. Non spiegarono niente a Vanna tramite le lettere e quando lei capì, non riuscì a nascondere la pesante amarezza per una telenovela evidentemente finita, e della quasi totale sicurezza che non ne sarebbe ripartita un’altra tanto interessante di lì a breve.
La famiglia Spada tra qualche mese avrà una foglia in più nel proprio albero genealogico. Loris e Flora sperano che sia femmina; sperano decisamente che cresca come una ragazzina curiosa. E sperano fortemente che non ne venga fuori invadente come Vanna.
Mentre loro ci ridevano su, lei ancora lavava.
Simpatico, ben congegnato.