Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Una sgradevole interferenza” di Ferruccio Moroni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

  Di giorno è più facile. Posso attraversare la strada e camminare sul marciapiede opposto a quello del mio condominio. Ho molti alibi, qualora venissi scoperto. Come entrare nel negozio di alimentari per un acquisto dell’ultimo momento oppure dirigermi all’edicola. Il tempo necessario affinché il condomino che sta rincasando apra il portone e raggiunga l’ascensore, lasciando così il campo libero al mio ingresso. Meglio concedergli una manciata di minuti in più per eseguire queste operazioni. Purtroppo mi è già capitato di imbattermi in qualcuno che, prima di salire in ascensore, si era fermato a controllare la posta. In questi casi adotto una strategia supplementare. Dopo aver salutato, ritorno in strada dicendo di aver dimenticato qualcosa in auto. E’ sufficiente uscire dal suo angolo visivo, restare qualche minuto sul marciapiede di fianco al portone e alla fine rientrare senza il rischio di dover condividere l’ascensore.
Perché qui si tratta di condividere o meno qualcosa con qualcun altro che non ci è dato scegliere. I condomini sono come i parenti: non siamo noi a sceglierli, sono lì e basta. Per un tempo più o meno lungo sono i compagni abituali e casuali di fuggevoli incontri che hanno nel momento di apertura del portone il loro punto di non ritorno. Se poi, come nel mio caso, si aggiunge anche la presenza di un ascensore, allora la possibilità di restare vittime di faccia a faccia obbligati subisce un considerevole aumento.

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  Proprio in questo consiste la mia sfida: nel ridurre al minimo, se non azzerare, questi punti di non ritorno. Non accetto critiche o giudizi su questo mio comportamento. Ogni considerazione di ordine morale risulterebbe ipocrita. Chi può sostenere di essere felice o di trovare il benché minimo appagamento personale in incontri del genere? Salvo rare eccezioni, chiunque se potesse ne farebbe a meno. Ciò che mi differenzia dagli altri è aver deciso di realizzarlo, questo desiderio. Dopotutto non faccio male a nessuno. Anzi, evitando accuratamente queste possibilità d’incontro sul confine che separa l’esterno dall’interno del condominio o il pianerottolo dall’interno dell’ascensore, rendo un servizio a quanti preferirebbero trovarsi soli in quei momenti.
Ma non è stato sempre così. Non ho sentito da subito il bisogno di sottrarmi a questi incontri. Ci sono arrivato col tempo, dopo aver ragionevolmente scartato ogni alternativa.    All’inizio, com’è comprensibile, anche in me ha prevalso la curiosità. Era il periodo dell’osservazione: vedere da vicino i condomini e poterli inserire in tipologie via via più dettagliate. Poi è venuto il periodo della comunicazione: scambiare frasi di circostanza sul tempo o sui lavori di manutenzione delle parti condominiali. A questo è seguito il periodo dell’indifferenza: ridurre al minimo le parole, annuire o scuotere la testa. Non poteva che finire col periodo attuale, quello dell’evitamento. Prima parziale, il portone, e poi completo, portone e ascensore.

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  Restava tuttavia un’incognita: riuscire ad arrivare all’ascensore in perfetta solitudine e rendermi conto che di lì a poco la porta si sarebbe aperta e mi sarei trovato davanti un condomino in uscita. Ho valutato attentamente questa possibilità. Scartata l’ipotesi di fare le scale a piedi, visto che abito ai piani alti, non restava che quella di salire i pochi gradini necessari ad occultare la mia presenza, per poi tornare sul pianerottolo non appena il portone si fosse chiuso.
Il portone. E’ lì che si gioca quasi tutta la partita. L’esperienza ha il suo peso. Da principiante, mentre inserivo la chiave nella serratura, tendevo spesso a guardare a destra e a sinistra per verificare l’eventuale arrivo di un condomino. Niente di più sbagliato. Come faccio a entrare e richiudere il portone se per caso mi accorgo che a pochi passi da me qualcuno sta rincasando? Sarei costretto ad aspettarlo, magari tenendo il portone socchiuso. Grazie, molto gentile. Prego, si figuri. E poi la distanza che mi separa dall’ascensore. Anche lei senza ombrello? L’ho dimenticato in ufficio. E poi l’attesa che si apra quella porta. Dicono che pioverà tutta la settimana. Si, è un incubo. E i secondi all’interno dell’ascensore. E lei? Al sesto, grazie. Oggi è più lento del solito. Già.
No, ho imparato sulla mia pelle che una volta arrivato al portone è bene tenere gli occhi fissi sulla serratura. Solo così sono autorizzato a chiuderlo senza voltarmi. E poi diritto all’ascensore, sperando di trovarlo già pronto o al massimo fermo ai primi piani. La salita solitaria è la ricompensa a tutti i miei sforzi.

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  Ci sono momenti in cui le mie strategie vengono messe a dura prova. Come il giorno in cui rinuncio ad avvicinarmi al portone per ben tre volte di seguito. Intravedo nell’atrio un paio di persone ferme davanti alle buchette della posta. Io mi trovo dall’altra parte della strada perché poco prima uno dei due era appena entrato. Ne avevo approfittato per acquistare della frutta. Quando sto per dirigermi verso il portone noto appunto quei due sospesi tra ingresso e ascensore. Allora faccio il giro dell’isolato col sacchetto in mano. Al mio ritorno sono scomparsi. Attraverso la strada e mi dirigo verso il portone preparando le chiavi in tasca. A non più di quattro metri da casa vedo arrivare in senso contrario un altro condomino. Lui accenna un saluto, io mi fermo. «Entri pure», gli dico. «Devo tornare in auto un momento».

Di notte è tutto più complicato. I negozi sono chiusi. Se un vicino dovesse vedermi camminare avanti e indietro dall’altra parte della strada cosa potrebbe pensare? Non parliamo poi delle notti invernali e del giro dell’isolato sotto zero per trovare il campo libero. No, mi accontento di evitare solo la condivisione dell’ascensore. Mi concedo una mediazione. La partita la gioco al caldo, senza alibi esterni. Controllo la posta, salga pure. Faccio un salto in cantina, non stia ad aspettarmi.
Può capitarmi di tornare a casa in compagnia di una donna. Intendo una professionista. In questo caso la prevenzione inizia a monte, già all’imbocco del marciapiede. Io davanti e lei dietro di me ad almeno qualche metro di distanza.

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  E’ l’unica condizione che pongo al momento del contratto. Sono disposto anche a pagare un sovrapprezzo. Arrivato al portone lo apro, entro e lo accosto. Se la strada è libera, a quell’ora lo è quasi sempre, mi dirigo all’ascensore e salgo al mio piano. In quel momento lei può fare il suo ingresso. Seguiamo la stessa procedura all’uscita. Io scendo per primo e l’aspetto in macchina. Lei arriva dopo qualche minuto e poi la riaccompagno al suo posto di lavoro.
Solo una volta c’è stata una sgradevole interferenza. La ragazza era appena arrivata da un paese dell’Est e non conosceva ancora la nostra lingua. L’ho aspettata sul pianerottolo alcuni minuti, poi sono sceso e ho fermato l’ascensore al primo piano. Appena uscito ho sentito delle voci provenire dall’atrio. Ho fatto qualche gradino verso il basso e ho capito che qualcuno le stava chiedendo delle spiegazioni.
«Cosa ci fa qui a quest’ora e vestita in questo modo? Come ha fatto a entrare? Questo è un palazzo rispettabile. Chiamo la polizia se non va via subito».
La ragazza ha detto qualche parola nella sua lingua, dopodiché è uscita.
Quella notte ho tardato a prendere sonno. Qualcosa era andato per il verso sbagliato. Cosa ci faceva la vicina ancora in piedi a quell’ora? Mi chiedevo se per caso avesse avuto qualche sospetto sul mio conto. Forse la ragazza, a gesti, ha fatto intendere qualcosa di più preciso. Sarei stato costretto a rinunciare ai miei piaceri notturni?

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  Il giorno dopo leggo che all’alba è stato trovato il cadavere di una giovane donna slava, ai bordi di una strada del mio quartiere. La testa riportava lesioni profonde dovute probabilmente a ripetuti colpi di pietra. Nessuno sa spiegarsi che cosa ci facesse la donna in quella zona della città.
Io sì. E so che le cose sarebbero andate diversamente se qualcuno, quella notte, non si fosse trovato fuori posto e non avesse fatto tante domande.

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1 commento »

  1. Diario di un sociopatico 🙂

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