Premio Racconti nella Rete 2016 “Giorni Migliori” di Piera Giordano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Ieri notte aveva fatto il solito sogno. Era coricata, stava per addormentarsi, quando sentì avvicinarsi un assassino deciso a strangolarla. Cercò di alzarsi, non ci riuscì, era paralizzata dal panico. Provò a chiedere aiuto, ma dalla gola arsa come il deserto non usciva un filo di voce. Sì svegliò al suo stesso urlo, sudata e contratta; per tutta la giornata ebbe il timore di un pericolo incombente.
Oltre ad aver paura dello strapiombo che le procurava la perdita dell’equilibrio – per questo motivo aveva dovuto rinunciare alle escursioni in montagna con gli amici – Margherita temeva di perdere la voce. Era una paura insensata perché le sue corde vocali funzionavano bene, se si escludeva il fatto che era stonata. Considerava la voce, più dello sguardo, l’espressione dell’anima ed era l’elemento che l’attraeva in una persona. Quella di suo marito, Alberto, era stata un tempo calma e accogliente. La prima volta la sentì a Radio Punto e a capo nel periodo delle radio libere. Alberto, che era conoscitore ottimo della storia del rock, conduceva un programma sui gruppi musicali dell’epoca. Anche lei, in seguito, partecipò organizzando una serie di trasmissioni intitolate “Contro la famiglia”. Aveva sedici anni e, con la voce infantile, un po’ petulante e piagnucolosa, esaltava le comuni americane, lei la cui unica esperienza era quella della famiglia in un piccolo paese di provincia. Sua madre si lamentava: come mai ce l’aveva con lei e suo padre che l’avevano sempre amata e cresciuta affettuosamente? E Margherita a spiegare che era un discorso sociologico, una critica alla vita piccolo-borghese, non parlava di loro.
Dall’aria calda dell’ufficio, uscì nel freddo dell’inverno. Lavorava part time come segreteria in una fabbrica che produceva tappeti. Nel tempo libero si dedicava alla scrittura poetica. Aveva pubblicato due raccolte per una piccola casa editrice locale ed era considerata un’esperta poetessa. La presidentessa dell’Università della terza età, frequentata da vecchie signore impellicciate, l’aveva invitata a leggere poesie natalizie. Margherita aveva accettato per pentirsene subito dopo. Era come se si autopunisse, obbligandosi a fare cose in cui non si ritrovava. Odiava le cerimonie, gli anniversari, i compleanni e le commemorazioni. Non sopportava il Natale e ogni anno progettava una fuga in qualche paese esotico per poi restare a cenare con gli amici, compreso lo scartocciare i regali, e a pranzare con i parenti.
Vide Alberto che l’aspettava. Era venuto a prenderla con l’auto.
“Ciao. Ho già apparecchiato il tavolo e cucinato così potrai pranzare con calma ed essere pronta per l’incontro”.
Nella sua voce c’era un’intonazione di scusa. Ultimamente le cose tra di loro non filavano più lisce. Litigavano per delle sciocchezze: le scarpe che lui abbandonava in mezzo all’ingresso o il modo con cui Margherita trattava i cd e i dischi. Stropicciava la copertina interna, lasciava le impronte dei polpastrelli, li rigava. Si infuriavano e dopo scivolavano in un silenzio che li allontanava. Era la paura di rimanere soli a tenerli ancora insieme. Anche ieri sera, lei si era dimenticata di comprare il pane, lui non aveva riordinato la cucina e finirono rinfacciandosi le reciproche colpe.
L’incontro era previsto per le tre. Aveva preso qualche goccia di En prima di raggiungere la sala dove avrebbe letto le poesie. Aveva scelto testi di Antonia Pozzi, Iosif Brodskij, Anne Sexton, Amelia Rosselli, Rimbaud e Sanguineti, scartando Pascoli e La notte santa di Gozzano che tutti si aspettavano, non solo perché l’avevano studiata a memoria alle scuole elementari, ma perché era il Poeta del paese. Volendo evitare di essere retorica, diede un taglio antropologico al discorso introduttivo. I simboli del Natale non erano legati al significato religioso e potevano considerarsi pagani e per questo laici. Ricordò Il babbo Natale giustiziato di Claude Lévi- Strass. Le autorità ecclesiastiche nel 1951 avevano deciso di bruciare Babbo Natale, che pareva avere più seguaci del Salvatore, sul sacrato della Cattedrale di Digione alla presenza di parecchie centinaia di bambini. Citò Jean de Saussure: bisognava diventare folli di Dio perché il Natale non poteva che essere la masticazione interiore della parola divina.
E fu a quel punto che successe. La sua voce scomparve. Sentì le corde vocali indursi e si ritrovò muta come un pesce. Intervenne a salvare la situazione Annalisa, la sua amica pianista, che aveva preparato per l’occasione dei brani musicali come sottofondo alla lettura. Il reading divenne un vero e proprio concerto che si concluse con Tu scendi dalle stelle. Il pubblico fu soddisfatto, si tagliò il panettone, si brindò con il moscato di Asti perché alle donne piaceva il vino dolce. Lei preferì un caffè che purtroppo glielo zuccherarono, ma non lo mescolò e lo zucchero rimase sul fondo della tazzina. Il vero sapore del caffè era quello amaro. Tutti furono premurosi con lei. In quei giorni il freddo era stato pungente, avrebbe dovuto prendere gli antibiotici, anche se avevano effetti collaterali fastidiosi. Altrimenti avrebbe potuto provare con latte e miele e il propoli. Forse era meglio mettersi a letto e riposare al caldo delle coperte.
A quel punto Margherita fu invasa dallo sconforto. Si sentiva turbata ed estranea. Uscì appiccicosa di buoni consigli e di comprensione e s’incamminò lungo la strada che portava in aperta campagna. Si lasciò il paese alle spalle e raggiunse i campi dove in estate cresceva il granturco. Lì i rumori della provinciale arrivavano attutiti. Dietro alle montagne il cielo era rosso infuocato. Si fermò a contemplarlo. I colori cambiavano velocemente sfumando in strisce nere. All’improvviso, come un miracolo, la voce ricomparve in una leggera risata. Quest’anno sarebbe partita.
Brava, colta, umile e simpatica questa stanca Margherita.
Descritta con bravura, lei ed il suo mondo.Complimenti !
Questo racconto è delicato e poetico, dolce e amaro allo stesso tempo… Mi è piaciuto molto. Complimenti.
La improvvisa afonìa si manifesta quando Margherita si sente in trappola e scompare quando almeno mentalmente evade dal suo mondo, che le sta stretto comprese le feste comandate. Capisco che la brevità richiesta non permetteva di dilungarsi ma mi sarebbe piaciuto capire meglio i motivi di tanto odio per le feste e per la banalità. Mi viene da pensare che Margherita ti somigli e che per questo ne puoi scrivere con tanta sicurezza…
IL racconto funziona, brava Piera.
E con questo li ho letti tutti! O almeno li ho guardati tutti. Tutti quelli in concorso intendo. Scusa la divagazione personale. Veniamo a te: dei tre racconti pubblicati, questo è sicuramente il migliore, a parer mio. C’è un bel personaggio, c’è una storia semplice, ma narrata con gusto e leggerezza. L’ho letto molto volentieri. Complimenti.
Grazie per i commenti positivi e per il tempo dedicato alla lettura anche del mio racconto. La scrittura e la lettura sono momenti intimi che, poi, si aprono agli altri e al mondo. Mi piacciono per questo.
Mi ha fatto pensare al suono del silenzio, al non detto, che a volte è più necessario di mille parole. Complimenti!
Grazie, hai ragione, d’altronde la scrittura, prima di essere parola, è anch’essa silenzio.