Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Ci sono cose che non sai” di Sara Vallefuoco

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Negli ultimi anni il posto preferito di Dolores in corriera era diventato quello dietro il conducente. Un posto cieco, di solito schermato da un pannello fumé, una nicchia dalla quale il ritaglio di finestrino è l’unica vista possibile. Laterale. A una certa età, bastevole. Vedere la strada la disturbava, specialmente nel tratto pieno di tornanti, lungo i quali qualsiasi autista si sentiva in dovere di gesti giovanilistici.

Dolores detestava i poggiatesta che le appiattivano i capelli sulla nuca. Di tanto in tanto poggiava la fronte sul finestrino, solo un istante per capire a che punto si era del tragitto. Alla fine aveva dovuto tenersi il suo borsone a quadri scozzesi in grembo. Con tutti i posti liberi a disposizione, una ragazza aveva deciso di andarsi a sedere proprio vicino a lei.

La sua vicina di autobus era salita due paesi dopo, trascinando un grosso sacco di tela a righe colorate. Aveva gli stessi gusti di Dolores in fatto di corriere. Il posto dietro al conducente aveva più spazio per le gambe e i borsoni rispetto alle normali file di sedili. La nuova arrivata aveva guardato Dolores con gentilezza per poi dedicarsi alla miriade di perline divise in bustine di plastica trasparente che teneva nel sacco. In un astuccio morbido, di quelli da scuola, teneva gli strumenti minimi da lavoro. Pescava dal sacco a righe e lavorava lentamente, con precisione. Indossava molti orecchini. Risalivano tutto l’orecchio, lo rendevano metallico e gentile allo stesso tempo. Un profilo raffinato, nonostante tutto, che mise Dolores a suo agio. Era così difficile che le persone la mettessero a suo agio, ultimamente.

– Lei l’avrebbe fatto?

– Fatto cosa, scusi?

– Lei avrebbe mancato così di rispetto a sua sorella? Voglio dire: sono stata a trovare mia sorella Maria. Vado ogni anno. Sono sua sorella minore, tocca a me. Anche perché lei è murata viva da cinquant’anni in un convento delle Marche. Bé, in tre giorni neanche una parola sul mio libro. Dovrebbe sapere quanto ci tengo, no?

– Lei ha scritto un libro?, le chiese la sua giovane compagna di viaggio con un tono di sorpresa leggera.

– Sì. Si può proprio dire che abbia scritto un libro.

– A me non piace leggere, ma ammiro molto quelli che scrivono libri. Il suo di cosa parla?

– Il mio? Parla di due ragazze. Due sorelle che vanno per mare insieme e che poi vengono divise da un disgraziato. Quante collanine fa all’ora?

– Oh, una decina, non di più. Questi anelli sono così piccoli. E fragili. Bisogna fare attenzione a incatenarli senza che si rompano.

– E poi? Le vende?

– Sì, le vendo sulla bancarella. Collanine, orecchini, braccialetti. D’estate le bancarelle sul lungomare funzionano, si guadagna bene.

Dolores toccò per empatia la catenina sottile che non toglieva mai.

– Il suo libro è in vendita?

– Sì, cioè no, per la verità non saprei. Enrico dice che il suo amico tipografo ha voluto stamparne duecento copie, ma non so dove siano adesso. Forse nel garage di Enrico.

– Enrico è suo marito?

– No! Per l’amor di dio!, le rispose Dolores con una risata. – Va bene per fare il vino, Enrico, ma non per fare il marito.

La sua vicina rise con lei.

Che ragazza di buonumore, doveva essere. Anche lei e sua sorella Marietta sul tram ridevano sempre, coprendosi la bocca con la manina guantata o con il ventaglio, si capisce. Ridevano di tutti, dei signorotti dai baffi tinti con i tappi di sughero, delle balie da latte che con le loro mammelle gonfie e tremolanti catturavano gli sguardi a ogni scambio di rotaia. Ridevano dello spettacolo offerto dalla gente come loro, mentre andavano nei palazzi del centro per consegnare a domicilio le opere d’arte di Marietta: camicie su misura da fare invidia al sarto dei Savoia, o almeno così diceva lei, figlia di falegname esule, ogni volta che ne finiva una. Dolores accompagnava sua sorella a prendere le misure, faceva le asole e, alla fine dell’opera, la scortava nella consegna della sua merce. Assisteva orgogliosa al momento in cui Maria porgeva le camicie in una scatola bianca con un nastro color caffè, come si porge un bambino in fasce alla sua mamma. Poi, una sera Maria si era presentata a cena con i bigodini in testa e un rametto di mimosa in mano. Era il febbraio del 1939. Aveva detto semplicemente: – Vado a farmi monaca.

– Lei come si chiama?

– Marta.

– Dovrebbe mettersi a fare camicie anziché collane, Marta. Sul serio.

Marta la guardò. Di nuovo quel sorriso leggero. Sì, decisamente quella ragazza la metteva a suo agio. La faceva stare proprio bene.

 

 

Quando si era stancata di guardare la sua vicina infilare collanine, Dolores aveva poggiato la fronte sul finestrino e aveva dato un’occhiata fuori. Si aspettava fabbriche di periferia, oppure campagne piatte abitate qua e là da capannoni, oppure ancora la tangenziale piena di macchine dalla lamiera rilucente e rovente nel pieno pomeriggio. Invece trovò il mare.

Davanti a lei c’era la solita lastra fumé. Dietro di lei, intorno a lei, persone che guardavano fuori, o dormivano, o chiacchieravano con il compagno di viaggio. Nessuna, davvero nessuna che si stesse preoccupando per la comparsa del mare.

– Devo scendere. Mi scusi, Marta, devo scendere.

– Non può scendere ora, signora. Stiamo per arrivare ad Ancona, è il capolinea, potrà scendere lì.

– Ma quale Ancona. Io abito a Roma. Può farmi passare, per favore?

Marta richiuse filo trasparente e pinzette nell’astuccio morbido che spinse in fondo alla sacca di stoffa.

– Scendo anch’io ad Ancona. Lì potremo trovare una corriera per Roma che vada bene per lei.

Marta non si offrì di portarle la borsa. Non le chiese come si chiamava, né quanti anni aveva, né che giorno era oggi, come ci tenevano a fare tutti, ultimamente. La prese per mano e le chiese di cosa aveva voglia. Insieme entrarono in un bar vicino alla stazione delle corriere. Lì c’era un ventilatore, almeno. Acqua fresca. Un bagno.

Dolores scelse una coppa gianduia e pistacchio. Marta si fece scaldare un toast. Detestava le cose fredde anche in estate, spiegò al barista mentre accendeva la piastra per lei. Il bar non era molto frequentato a quell’ora calda del pomeriggio. Due ragazzini giocavano a biliardino. Quando si furono stancati pescarono due ghiaccioli nel freezer dei gelati e sparirono nel retrobottega. Il più grande – decise Marta – doveva essere il figlio del padrone. Tre uomini si avvicendarono per un caffè veloce e una bottiglietta d’acqua da portare via. Al contrario delle due donne, nessuno voleva sedersi a passare il suo tempo lì.

Marta aveva scelto un tavolo non troppo vicino al ventilatore.

Il gelato era buonissimo. Così le disse Dolores. Marta le piaceva. Quel posto, lontano da Roma, da sua sorella, da Enrico, le piaceva. Fin da ragazzina, quando Dolores si sentiva male perdeva le parole. Era così che sua madre o sua sorella si accorgevano di una febbre incipiente, di un dolore serio, di una brutta notizia che l’aveva ferita. Quando il sereno tornava, tornavano le parole. Se Marta l’avesse conosciuta da ragazzina, avrebbe saputo che era un bene, se ora aveva voglia di raccontarle quello che le raccontava, e che quel bene era merito suo.

Dolores iniziò dall’anno in cui uno alla volta se ne erano andati tutti, lasciandola sola e senza lavoro. Era accaduto dopo la vocazione improvvisa di sua sorella Maria, e dopo l’altrettanto improvvisa e ravvicinata morte dei suoi. Fu il professore di lettere, il vicino di casa che ogni tanto le dava lezione e le correggeva l’italiano, a suggerirle l’idea: ospitare a pagamento gli artisti di passaggio nella capitale che non potevano permettersi un albergo. Lui ne conosceva molti, aveva un bel giro di amici talentuosi dalla vita singolare, con pochi soldi e poche pretese. Avrebbe potuto aiutarla. Dolores l’affittacamere degli artisti ebbe successo per molti e molti anni grazie a un passaparola costante. Aveva soldi a sufficienza per vivere dignitosamente, e tempo a sufficienza per scrivere. Dal giorno stesso in cui sua sorella era andata via, Dolores aveva cominciato a scrivere di lei, di loro due. Le sembrava che la aiutasse a sopravvivere alla solitudine. Aveva continuato a scrivere e ad affittare camere per anni, sempre la stessa storia e sempre le stesse camere, non aveva più smesso. Fino a poco tempo fa. Alcuni dei coinquilini erano diventati suoi amanti, ma Dolores non si era mai sognata di scontare la pigione a nessuno per questo. Un orchestratore per banda. Un pittore. Un autista di un conte con la passione per la lirica. E poi Ludovico, il commediografo, quello che le aveva regalato la catenina d’oro che aveva al collo. Tutta gente che aveva fatto fortuna e se n’era andata via dall’oggi al domani. L’ultimo inquilino era arrivato otto, forse nove anni fa. Non era affatto un artista. Si chiamava Enrico e voleva fare il vino. Portava sempre un misero cappello di paglia e le aveva insozzato il tappeto della sala da pranzo per mesi con gli scarponi infangati prima di prendere possesso del suo agognato podere in campagna.

– Perché non beve un sorso d’acqua, signora? E’ molto caldo oggi.

Dolores respinse il bicchiere di carta con un cenno della mano.

– Vuole avvisare qualcuno? Qualcuno che magari la sta aspettando a Roma e può essere in pensiero? C’è un telefono a gettoni qui.

Dolores ci pensò seriamente.

– Non so, rispose, ed era sincera.

Marta guardò l’orologino anni Cinquanta che aveva al polso, e lo confrontò con quello a muro del locale. Non si fidava mai degli orologi di cui si innamorava sulle bancarelle dell’usato. Le piacevano molto, ma difficilmente ci si poteva fidare.

– Ha con sé una copia del suo libro, per caso?, chiese Marta.

– Prego?

– Mi piacerebbe vedere il suo libro. Se vuole.

Dolores aprì la borsa che teneva in grembo e raggiunse senza esitare la tasca interna. Ne estrasse un centinaio di pagine formato tascabile, rilegate in una elegante copertina magenta. Nessuna immagine, solo un intenso color magenta ad avvolgere il tutto. L’avevano scelto insieme, lei ed Enrico.

– Dolores Costello. Ci sono cose che non sai. Che bel nome che ha, e che bel titolo. L’ha scelto lei?

– Sì.

– Posso comprarlo?

– Come dice?

– Posso comprare questa copia? Faccia lei il prezzo.

– Non saprei, non ho mai pensato a un prezzo. Glielo regalo volentieri. Ne ho tante copie, nel garage di Enrico.

– Ma io voglio comprarlo per rivenderlo. Lo venderò sulla mia bancarella. Prima che faccia buio sono sicura che qualcuno lo comprerà, e prima di notte qualcuno lo avrà letto. E’ la vita dei libri, credo.

– Non saprei. Ma va bene. Sì. Va bene.

– Ho cinquemila lire. Possono bastare?

– Certo. Va bene. Possono bastare. Senz’altro, possono bastare.

– Dobbiamo alzarci, sta arrivando la corriera. Allora, questo libro adesso è mio.

Marta lo infilò nella tasca esterna della sua sacca. Dolores notò che chiuse anche la piccola lampo. Le sembrò una cura adeguata.

– Venga, signora Costello. Non si preoccupi: stavolta prenderà la corriera giusta.

Dolores tenne le cinquemila lire in mano e un sorriso sul volto per tutto il viaggio. Era la prima volta che guadagnava qualcosa con i suoi scritti. Dopotutto, lei era sempre lei, Dolores Costello, forte come una roccia che resiste all’erosione del tempo. Una roccia, anzi, a cui il tempo a settant’anni suonati stava facendo un gran favore, che forse finalmente le stava regalando la vita singolare che aveva sempre sognato. Con questa certezza, appena vide sotto il suo finestrino il cappello giallo di Enrico, Dolores la scrittrice nascose le cinquemila lire nella tasca interna del borsone, si mise il suo rossetto rosa pesca e si preparò a tornare a casa.

 

 

Enrico le è andato incontro fin sotto la corriera con il suo passo sghembo a causa del ginocchio, i suoi scarponi sporchi di terra, il suo cappello di paglia mangiucchiato da tante stagioni.

– Dolores! Sono arrivate già due corriere senza di te! Due ore che ti aspetto!

Dolores non dice nulla. Sorbisce i rimproveri, le prediche, le preoccupazioni di Enrico semplicemente come fosse sua figlia, anziché una vecchia come lui. Ha altro a cui pensare. Ha da pensare a quello che le è successo. Alla sua nuova vita. Una vita del tutto singolare.

Al semaforo Enrico le passa un kleenex.

Nello specchietto del parasole Dolores vede il rossetto rosa pesca sbavato fin sotto il naso e agli angoli della bocca. Lui non gliel’ha detto. Non è un amico chi non avvisa una donna che ha il rossetto sbavato.

Enrico sta diventando pressante, ultimamente. Insiste nel non volerla lasciare a Roma da sola, per esempio. Si conoscono abbastanza per sapere che non è questione di sentimenti. A nessuno dei due era mai parsa sensata l’idea di andare a vivere insieme in un ruolo diverso da quello di inquilino e affittuaria. Tempo addietro Enrico aveva investito la liquidazione in un casale con vigneto ai Castelli Romani. Aveva venduto la sua casa di Roma e aveva atteso la fine dei lavori di ristrutturazione in una camera in affitto nell’appartamento di Dolores. Da lì in avanti i due sono rimasti sempre in contatto, e questo è tutto. Amici, si potrebbe dire, se Dolores avesse in mente il significato della parola. Il che non la farebbe comunque sentire obbligata a sopportare le zanzare alla sera e il fracasso dei galli alla mattina, né Enrico che la guarda a vista come una prigioniera che ha già tentato la fuga. Esattamente come sta facendo adesso, fermo in doppia fila davanti al portone che per un anno è stato anche il suo.

– Non penso che tu debba restare a Roma da sola, Dolores. Non ti stai rendendo conto della situazione. Dovresti venire in campagna da me. Ti riposerai del viaggio, poi con calma faremo gli esami di cui parlava il dottore.

Faremo.

– La corriera aveva due ore di ritardo, e allora? Il traffico richiede gli esami del dottore? Comunque adesso vado, dice lei.

Ha già messo una gamba fuori dalla macchina. In pochi passi veloci è vicina al portone.

Cerca le chiavi di casa affondate da qualche parte nel borsone. Eccole, fredde, alcune lunghe e alcune corte. Le stringe forte. Cerca di capire qual è esattamente la chiave che va nella toppa del portone. Sa di avere sulla nuca lo sguardo di Enrico. Per un attimo qualcosa in lei si arrende, ma solo per un attimo. Si volta verso di lui. Si mette ben dritta. E’ ora che gli parli con serietà.

– Enrico. Ascoltami. C’e qualcosa che non sai. E’ successo qualcosa di importante. Qualcosa che potrà rendere la mia vita davvero singolare. Innanzitutto: dovremo prendere i miei libri nel tuo garage, e spedirli a Marta.

– Va bene, Dolores. Faremo come dici. Manderemo i libri a questa Marta. Ora entra in macchina, ti prego.

Questa Marta. Dolores non permetterà a Enrico di parlare così di Marta. Lascerà che lui le allacci la cintura, poi si sforzerà di tacere per tutto il viaggio. Tacerà con lui e con tutti i suoi amici medici pronti ad annoiarla con le loro richieste cretine. ‘Può disegnarmi per favore una casetta nel quadrato?’.

– Chissà chi comprerà il mio libro stasera, dice Dolores. Non parla con Enrico. Sta solo pensando ad alta voce senza accorgersene.

Enrico le prende la mano mentre si allinea pazientemente nel traffico della tangenziale. Si rallegra che lei lo lasci fare. Che non si sottragga, che gli stringa le dita a sua volta. Le sorride senza smettere di guardare la strada.

– Non mi hai detto che avevo il rossetto sbavato.

– No, risponde Enrico. – Non l’ho fatto.

– Sei diventato tonto anche tu?

Una risata leggera passa dall’uno all’altra, come d’improvviso una folata di vento apre il cielo al sole.

– Si vede che mi piacevi anche così.

– Hai gli scarponi infangati, Enrico. Come al solito, sporcherai tutti i tappeti.

 

 

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10 commenti »

  1. Una bella e romantica storia. Un amore non convenzionale, ma non per questo meno reale e forte. Brava!

  2. Chi nasce sognatore…invecchia sognando…che bella storia romantica! Brava Sara

  3. Un caleidoscopio: personaggi, emozioni, dettagli-capolavoro (scatola bianca con un nastro color caffé, bigodini in testa e un rametto di mimosa in mano, coppa gianduia e pistacchio, copertina magenta, rossetto rosa pesca, e potrei continuare), dialoghi autentici ed esilaranti (Va bene per fare il vino, Enrico, ma non il marito), ironia (a me non piace leggere, ma ammiro molto quelli che scrivono libri), … Un bijoux. Correte a leggere. Ancora, veramente, complimenti.

  4. Grazie mille per aver letto e scritto. Mi rendo conto solo ora che in effetti la storia che ho riscritto più e più volte voleva a tutti i costi essere una storia d’amore! Merito vostro! (Bello avere dei lettori, non sono abituata)

  5. Vite che si incontrano, un amore poco convenzionale. La piccola, grande soddisfazione di aver venduto il primo libro a settant’anni suonati, con l’illusione che questo sia un segno che, chissà, nella vita possa cambiare qualcosa. Dialoghi originali, piuttosto ben scritto. Complimenti

  6. Splendido racconto, delicato, come il tuo modo di scrivere, così denso e vivido di colori e sensazioni anche nei minimi dettagli. Brava, è veramente un piacere leggerti.

  7. Andrea, grazie: tengo molto ai dialoghi. Roberto, hai usato parole molto generose, te ne sono grata.

  8. Complimenti per la scelta del nome Marta 😀
    Scherzi a parte, la tua storia scaglia nella narrazione una dolcezza estrema e una grande finezza di contenuti, una storia che si vorrebbe non potesse finire ma che propria nella sua fine trova quella tenerezza di sentimenti che tu descrivi. Complimenti!

  9. Marta è uno dei nomi che mi suonano più evocativi, devo ammetterlo! ?? Grazie per le tue parole gentili, aiutano a scrivere ancora.

  10. Viva il nome e viva il tuo racconto 😀 mi raccomando continua a scrivere!

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