Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “ORFEO, EURIDICE La grande sognatrice” di Giuseppe Maddaluno

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Orfeo aveva amato davvero una donna che casualmente si chiamava come quella narrata da Virgilio ed Ovidio; ed anche lui aveva visto morire Euridice la sua donna vittima di un male crudele che l’aveva dapprima lentamente debilitata e poi stroncata. L’aveva amata così intensamente che non aveva mai più voluto conoscerne altre ed aveva deciso di vivere la sua vita lontano dal mondo coltivando da solo il suo orto lassù fra le montagne di Vernio al confine fra la Toscana e l’Emilia.    Di Euridice aveva conservato soltanto un’immagine, un disegno con cui lui stesso aveva voluto tracciare su un cartoncino con del carbone i lineamenti del volto sul letto di morte;  e questo oggetto custodiva con affetto in una tasca interna segreta del suo vecchio cappotto.     Erano passati anni ed anni ed Orfeo andava ormai  vivendo la sua vecchiaia lontano dal mondo, isolato lassù nei boschi e  aveva ricercato la solitudine evitando il più possibile di incontrare e di parlare con anima viva, autoescludendosi anche dalla partecipazione, fosse morbosa o umanamente mostrata,  dei vicini che però distavano da lui circa un chilometro più giù verso la valle del Bisenzio….. le stagioni si alternavano  ed alle nevi  seguivano le fioriture primaverili e le calure estive ed i colori intensi e variegati della natura accompagnavano le giornate di Orfeo, che non aveva mai più nemmeno nella sua immaginazione incrociato una figura umana che pur lontanamente assomigliasse alle fattezze di Euridice, alla bellezza del suo corpo, al suo bel volto, del quale custodiva il disegno, che ogni notte per migliaia e migliaia di volte aveva estratto dalla tasca interna del suo consunto paltò, quel disegno che non  era però mai invecchiato, come il volto che vi era ritratto, sempre giovane, sempre bello, sempre sorridente anche se quella donna, la sua Euridice, era là sul letto di morte; ed erano trascorsi quasi trenta anni.

Orfeo era invece invecchiato per trascuratezza oltre che per il tempo; non aveva ancora sessanta anni e dalla tragedia che lo aveva coinvolto non si era più mosso dalla sua casa, quella che aveva costruito per la sua donna  e per la famiglia che avrebbe voluto avere. Un pomeriggio, verso la fine dell’autunno,  il tempo aveva già mostrato i primi freddi ma si alternavano splendide giornate di sole a quelle ventose e piovose, Orfeo decise all’improvviso di scendere verso la città.  Come un clochard indossò il suo sdrucito largo cappotto  e con un ampio cappello si coprì la  testa quasi a voler celare la sua identità. Solo qualcuno lo notò, ma pochi lo conoscevano, quando sulla Provinciale salì sulla corriera per scendere verso Prato; nessuno gli diede a parlare per tutto il viaggio.  Prato la ricordava così come era negli anni Ottanta;  con Euridice l’aveva vissuta, frequentandone i teatri  ed i circoli: a lei piacevano la musica e la danza ed aveva praticato da ragazza quelle arti,  da protagonista. Ed era in quei luoghi che Orfeo, appassionato soprattutto di musica classica, l’aveva conosciuta.   Inoltratasi nella città,  la corriera aveva attraversato  le strade  i parchi e  i giardini lungo il fiume  del loro giovane amore e delle loro passioni; il cuore di Orfeo riprendeva a battere seguendo i ritmi delle sue emozioni.

Il cuore di Orfeo batteva più forte ed intenso  proprio là dove era  il suo segreto.

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Decise di scendere all’altezza del “Fabbricone”, una vecchia megastruttura industriale adibita sin dalla fine degli anni Sessanta come sede supplementare del più vetusto e glorioso “Metastasio”, e vi si avvicinò:  notò una grande confusione ma comprese immediatamente dal modo in cui era vestita la gente che non si trattava di pubblico del teatro ma di clienti, soprattutto donne, di alcuni supermercati.   Decise di non inoltrarsi nella stradina che portava al Teatro  e,  tornato indietro,  proseguì verso il Centro.

Anche le strade erano più nervosamente ed intensamente trafficate e la gente faceva a gara con il vento che a Prato è intenso ed a volte furioso,  impetuoso:  la gente sia a piedi che in auto sembrava impazzita,  correva correva ed Orfeo non capiva il senso di questa frenetica fretta.   Era innervosito da tutto questo e, procedendo  come in un sogno, non riusciva nemmeno più a comprendere le ragioni di quella sua discesa;  che c’era venuto a fare dopo tanti anni?  O che non stava bene lassù vicino ad alcuni dei suoi ricordi più belli seppur lontano da altri legati alla sua infanzia, alla sua adolescenza, alla sua giovinezza, al suo “amore”?  nessuno avrebbe potuto riportare indietro il suo tempo.   Ora spettava ad altri scoprire la dolcezza dell’amore, sentire il profumo dei capelli e la morbidezza della pelle e così mentre si muoveva quasi furtivo in mezzo alle folle osservava le mani di ragazze e ragazzi che si toccavano, i volti che si annusavano e si avvicinavano, le labbra che si socchiudevano nell’attesa, i corpi che si toccavano. Lui tutto questo lo aveva vissuto ma poi il destino lo aveva voluto segnare con crudeltà.

Superato il Serraglio, percorrendo Via Magnolfi  in Piazza Duomo ci arrivò ma era stracolma di bancarelle dove si vendeva di tutto: questa delusione non gli impedì per un attimo di ricordare quella notte di tanti anni prima,  una notte magica;  era inverno e da qualche ora nevicava in modo intenso;    le strade erano coperte di un candido manto, soffice e profondo, i passi crocchiavano lenti e i rumori erano attenuati e la luce dei lampioni emanava una serenità profonda nel silenzio quasi totale.

Orfeo aveva da pochi giorni conosciuto quella splendida gioiosa ragazza ad un concerto in San Domenico;    là – a pochi passi – c’era una Scuola di Danza dove Euridice da alcuni anni procedeva nella sua specializzazione essendo passata da studentessa modello ad aiutante della Direttrice di quei  corsi. E quella sera, mentre nevicava,    Orfeo andava ad attenderla fuori della Scuola: voleva parlare, voleva condividere quello strano turbamento che le aveva trasmesso solo lo sfiorarsi le mani quando si erano salutati nell’amicizia appena avviata; voleva capire se…anche lei aveva bisogno di capire.       Arrivò davanti al Circolo proprio mentre Euridice stava salutando alcune sue giovani allieve ed i loro genitori.    Le fece un segno;  non avrebbe voluto importunarla ma avvertiva quella necessità, impellente.   Per questo le fece solo un timido cenno di saluto; ma Euridice mostrò immediatamente di essere molto felice di vederlo.   Orfeo, lui non se ne era accorto, aveva il berretto ricolmo di neve e sembrava – essendo molto magro – con la palandrana uno spaventapasseri in un campo innevato.   Euridice gli sorrise e gli si accostò con evidente gioia.

“Che fai? Sei stato ad un altro concerto?”     “No, sapevo che saresti uscita più o meno a quest’ora e son passato…avevo bisogno di parlarti” “Mi accompagni, allora? Vado verso casa, in Piazza Ciardi”. Orfeo non chiedeva di più e per sostenere la ragazza la prese sottobraccio, dapprima, e poi le avvolse il braccio sinistro sulle spalle come per proteggerla dalla neve che continuava a venir giù ed evitarle qualche possibile ruzzolone.

Orfeo ricordava passo dopo passo quel percorso, parola dopo parola quelle frasi, le emozioni, la passione e la vita che veniva segnata da quei minuti; Orfeo ricordava quel bacio, il primo, più degli altri che quella sera stessa poi fioccarono insieme alla neve  sotto il porticato del Pulpito di Donatello in Piazza Duomo…

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Andò oltre, non volle soffermarsi in quel caos così lontano dalle magie di tanti anni prima e si infilò in una  via Mazzoni ancor più  caotica resa più stretta dalla presenza di tavolini e sedie per i clienti di un pub.  Arrivò in Piazza del Comune, un crocevia di diverse abitudini ed interessi,  e stancamente osservò la statua del Datini costretta imperterrita a mostrare i prodotti del suo lavoro ai pratesi più  ignoranti e ne ebbe un’infinita pena.    Ma gli voltò le spalle e si avviò verso San Francesco;    faticò a riconoscere quella piazza, caotica come era, ricolma di auto.

Non riusciva a rendersi conto di come il tempo trascorso lontano dalla sua città fosse stato tanto e tale da condizionare le reciproche trasformazioni in modo irreparabile. Eppure in quella piazza la storia d’amore si era arricchita di tantissimi altri momenti che non avrebbe mai potuto dimenticare ma che il “tempo” ormai aveva lasciato solo nella sfera dei suoi, solo dei suoi, ricordi. Si sedette su una panchina e si toccava l’esterno del vecchio cappotto proprio a sinistra all’altezza del cuore e lo accarezzava; era ormai un vecchio, di sicuro più vecchio di quelli che avevano la sua stessa età perché così si sentiva ma poi in effetti per davvero che lo era!   E continuava a chiedersi dentro di sé perché mai quel giorno lui avesse deciso di ripercorrere quasi come una serie di stazioni penitenziarie alcune delle tappe fondamentali della storia sua e di Euridice.

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Rimase sulla panchina assorto nei suoi pensieri mentre la gioventù gioiva nell’attesa del Natale; e vi rimase fin quando le luci della città e quelle della “festa” imminente si accesero in corrispondenza del buio della vicina  notte.   Il traffico di persone e di mezzi  era diventato in modo ossessivo soffocante ma Orfeo non se ne avvedeva punto.   Non ricordava quel caos ma non se ne sentiva particolarmente infastidito, il suo pensiero era rivolto altrove:   nella sua memoria vi era un tempo ormai lontano ed assai diverso.

Si sollevò e decise di andare verso Piazza del  Castello, vi si diresse ma dopo pochi passi scelse di avviarsi attraverso Piazza Sant’Antonino verso Piazza Santa Maria in Castello. Era stato attratto da una luce della quale però non riusciva ad intravedere l’origine.  Era calata la sera e con essa un vento freddo che proveniva dalle gole dell’Appennino aveva fatto scendere la temperatura;   le strade si erano progressivamente liberate da quel caos: era anche l’ora in cui ci si ferma a cenare ed i negozi si chiudono.  Orfeo entrò in quella piazza ed alzò i suoi occhi sollevando la tesa del suo ampio cappello per dirigere la sua vista verso la luce e si fermò.   Principiava a far freddo ma lui non ne soffriva, era abituato a quelle più rigide temperature lassù sulle montagne dove per tantissimi anni era rimasto isolato.   Sollevò gli occhi e vide la luce che lo aveva invitato a muoversi verso di lei: era un volto di donna, sorridente, un ovale perfetto, chiusi gli occhi dalle belle lunghe ciglia.

Ma era proprio la donna che aveva amato, conosciuto ed amato; la donna che lo aveva amato, conosciuto ed amato trenta e più anni prima; la donna il cui volto aveva disegnato sul letto di morte anche per poterla ricordare così come era,   ancora giovane e bella della bellezza dei giovani non ancora corrotta dai segni del tempo.

Si toccò il cuore accarezzando ciò che conteneva quel pastrano sdrucito ma sempre caldo di quel calore che in maniera più forte e straordinaria emanava quel vecchio cartoncino che là dentro aveva custodito. Non ebbe ragioni per confrontarne le somiglianze: era proprio Euridice, era proprio lei che dal grande muro regnava su tutta la piazza; e gli occhi erano chiusi così come lo erano stati quelli della sua amata quell’ultimo giorno in cui la vide. Le ultime persone attraversarono la piazza mentre lui senza mai togliere gli occhi da quel volto si accostò in un angolino e si accovacciò;    avrebbe voluto che quella donna aprisse i suoi occhi e lo guardasse, gli sorridesse ed immaginò dentro di sé di poterla nuovamente incontrare come in un sogno, in un bel sogno, ma non riuscì a sognare se non ad occhi aperti.   Scese la notte ed il freddo portò su tutta la pianura leggeri petali di neve; ben presto anche  la piazza fu ricoperta di un manto bianco e morbido ed Orfeo ricordò quel primo bacio e quelli che vennero poi quella sera di tanti anni prima… e lui rimaneva là con quel suo sogno segreto…    Nessuno  nei giorni seguenti fece caso a quel vecchio signore che in un angolo della Piazza attendeva la sera perché il miracolo avvenisse;   con la luce del giorno il volto spariva.

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La gente aveva sempre più fretta ed in quella piazza non c’erano abitazioni né negozi.    Arrivò  la notte di Natale,   la gente era nelle case a festeggiare;    nevicava e suonarono a festa  le campane del Duomo e quelle più vicine di Santa Maria delle Carceri,  ma Orfeo non le sentì.  Euridice aveva aperto gli occhi, era venuta giù ed aveva preso per mano Orfeo ed insieme erano andati a ritroso nel tempo ripercorrendolo. Orfeo era felice e sorrideva, Euridice lo rassicurava; poi tutto si dissolse. Il mattino seguente un netturbino che spazzava la neve si accorse della presenza di un vecchio signore rannicchiato in uno degli angoli della piazza e poiché non rispondeva agli stimoli chiamò il 118. Al calar della sera  la “grande sognatrice”  in Piazza Santa Maria in Castello nel centro di Prato si illuminò nuovamente ma non aprì mai le sue palpebre.

 

 

 

Motivazioni collegate alla genesi di questo racconto
L’INSTALLAZIONE DI LUCE E OMBRA “GRANDE SOGNATRICE” DI FABRIZIO CORNELI
OPERA PERMANENTE DELLA CITTÀ DI PRATO

Nell’ambito di “PRATO CONTEMPORANEA”, iniziativa promossa e organizzata dal Comune di Prato in stretta collaborazione con il Centro Pecci, il 12 aprile 2014 è stata inaugurata l’installazione ambiente di luce e ombra la Grande Sognatrice dell’artista FABRIZIO CORNELI (Firenze 1958), che illumina Piazza Santa Maria in Castello.

La scoperta di questa installazione è stata per me illuminante; ho immediatamente pensato a questi due personaggi della mitologia classica; ho pensato ad un amore “eterno” struggente; ho pensato alla dolcezza della “morte”.

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2 commenti »

  1. Il tuo racconto è molto delicato, tocca un tema tanto difficile da risultare quasi inverosimile, ma letterariamente funziona bene.

  2. Comincio…mi tocca particolarmente ,..subito ho pensato (il mio solito vizio) a una terribile angosciante, ma molto melanconica e famosa ‘favola’ di Hans C.Andersen..cioè ‘La piccola fiammiferaia ‘..quanto ho pianto da piccola! La tua è la stessa dolcissima favola d’amore, (anche il tema della povertà è accennato nel cappotto liso del protagonista)..favola dolce e commovente..il mito però è leggermente diverso..unico appunto..perché spiegare.. preferisco che le emozioni avvolgano senza tanti perché …altrimenti l’aura misteriosa svanisce e diventa cruda realtà .(se avrai la bontà di leggere e magari commentare il mio primo racconto, non solo mi farà piacere, ma capirai perché il tuo mi è piaciuto molto).ciao!

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