Premio Racconti nella Rete 2016 “Un bacio nuovo” di Valdimara Duri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Sono già due giorni che non la vede. al telefono gli ha detto che ha la febbre alta e che non si muove da sotto il piumino. La sua voce era irriconoscibile, così bassa e rauca gli ha ricordato quella di Amelia, la sifilitica descritta da Pavese nella Bella Estate. Gli ha detto che il suo viso è uno straccio, e che i capelli ricadono sul suo pallore sudati ed arruffati. E’ addolorato, farebbe di tutto per poterla consolare, ma la realtà è che non può nemmeno presentarsi a casa sua. Non può suonare quel campanello, dire chi è ed entrare nella sua stanza. Bianca non vuole. Dice che il padre conosce tutti i suoi amici e che, dopo la brutta storia di alcuni mesi prima con un ragazzo, è preoccupato per lei e la controlla sempre. Bianca non si oppone, anche se per questo motivo faticano a vedersi; stanno poche ore insieme e sempre di nascosto con scuse traballanti. Non conosce padri così apprensivi, più facile che siano le madri a dare di matto per queste cose. Bianca dice che è proprio per colpa di quello che hanno passato con sua madre che ora lui si comporta così. Li ha lasciati nel tempo di un mattino, quando lei aveva tre anni, e da allora sta in un Ashram nel Kerala. Torna in Italia in estate, ma per il resto dell’anno non vuole vederli nemmeno su skype. Dice che se avesse la costante percezione di quel che accade nel resto del mondo, e soprattutto a loro, non riuscirebbe a realizzare quel lavoro sul suo spirito di cui sente la necessità. Dice che vuole esplorare i paesaggi dell’anima, che Bianca e il padre le sarebbero di ingombro. Lui una madre così, la odierebbe di sicuro, ma Bianca un po’ l’ha perdonata, lei e il padre hanno capito e si sono adattati a quella vita un poco strampalata capitata loro in sorte.
Nella mattina c’era stata la manifestazione degli studenti medi contro le mafie organizzata da Libera. Pioveva, ma era in ritardo e non voleva perdersi il picchetto davanti al portone del Liceo, perciò era andato a scuola in bici. Mentre la legava ad un palo, dai ricci che gli ricadevano sulla fronte gocciolava acqua che, con grande fastidio, gli entrava negli occhi. Non ci vedeva praticamente nulla e, alzando la testa per togliersi da quel noioso bagnato, aveva incontrato lo sguardo iroso della Dainesi. Se ne stava impalata sul portone cercando di fare entrare i ragazzi delle sue classi, che stavano litigando con quelli del Collettivo. Era rimasto a osservare l’animosità con cui quella mastodontica proff. di greco smanacciava chiunque gli fosse a tiro, pur di riuscire a portare qualche studente alla sua lezione. C’era di che riflettere: la Dainesi era uno degli esseri storicamente più compassati di tutto il Liceo, l’ideale classico di misura e rigore. Quella scena era anomala. Dimostrava che ognuno aveva le sue difficoltà, che i comportamenti incoerenti sbucavano da tutte le parti se ci si lasciava dominare dall’istinto.
Non stava facendo una bella figura quel monolite di tradizione! Si era reso conto di sorridere nel vuoto, quando una voce pacata gli aveva chiesto: “Allora Nannini, vieni su in aula a parlare di Montesquieu o vai a marciare sotto la pioggia?”
“Salve proff, mi sa che seguirò il sacro fuoco del dissenso” era stata la sua risposta. “Montesquieu sarebbe d’accordo con me, credo.”
Il professore di filosofia aveva annuito avviandosi su per le scale, verso le aule. Era il preferito di Bianca e stavano spesso a parlare tra loro. Forse era stato proprio lui a farla diventare più indulgente verso le scelte della madre. In fondo, tutti e tre loro avevano una vera passione per le avventure dello spirito e per quella oscura disciplina che le argomentava. Bianca ci provava a coinvolgerlo in discussioni sui massimi sistemi, ma lui è un tipo più concreto: nella metafisica moderna si perde sempre. Si ferma ai Greci, proprio come la Dainesi.
Mentre ascolta Bianca parlare sembra attento, ma la sua voce gli crea nel cervello un movimento fluido di cose dolci, gli organizza il respiro in piccole scansioni ritmiche che gli fanno rimbombare il cuore e fremere i lombi. Un effetto pazzesco. E’ un intero mese che escono insieme e ancora non passa. E’ un grande amore, pensa ad ogni minuto, sono stracotto e non mi calmerò più.
Verso le nove aveva smesso di piovere. Il corteo era stato lunghissimo, aveva partecipato un sacco di gente e le scuole erano rimaste chiuse, con buona pace di tutte le Dainesi della città.
Camminando tra i compagni, non riusciva a essere spensierato. Mancavano due mesi alla fine dell’anno scolastico e le insufficienze delle ultime verifiche in matematica gli stavano complicando la vita.
Odiava quella materia ed aveva studiato poco. Ora le conseguenze dalla sua stupida scelta lo opprimevano in una situazione di incertezza che doveva risolvere in fretta. Non si sarebbe perdonato un’estate sui libri, il pensiero di Bianca in vacanza con chissà chi a rodergli dentro. Lei era un fenomeno in matematica e di sicuro lo avrebbe aiutato, anche se non sarebbe stato facile concentrarsi su quelle formule stando seduto vicino a lei. Persino il suo odore lo distraeva dal resto del mondo, lo attraeva come un magnete ed era un’impresa evitare di metterle le mani addosso. L’unica era studiare sui tavoloni del corridoio dove il bidello Gianni batteva la fiacca pensando al da farsi e sbirciando attorno con occhi curiosi.
Durante il corteo lei gli aveva telefonato.
“Ciao, ti manco almeno un poco?” gli aveva chiesto con la voce ancora roca.
“Mi sento solo come un cane e non vedo l’ora di vederti” le aveva risposto. “Tu, come stai?”
“Vediamoci alle due ai giardinetti” si era affrettata a rispondere lei.
“Sono guarita e ho un sacco di cose da dirti.”
Tre secondi di felicità e Bianca aveva già chiuso la comunicazione.
Faceva sempre così, pareva in fuga o con il telefono sotto controllo.
Spaesato, aveva rimesso lo smartphone in tasca e ripreso a urlare lo slogan che sentiva attorno a sé ma ormai era preso da un pensiero fisso e faticava a immergersi nel vociare dei compagni.
Cosa mai mi dovrà dire, è stata chiusa in casa due giorni senza vedere nessuno e con la febbre alta. Cosa potrà mai esserle successo in quel letto, rimuginava. Magari ha riflettuto a lungo, come fa lei, e mi ha visto per quello che sono: un insulso diciasettenne coi brufoli e senza barba, una nullità accademica con a carico una famiglia che più normale di così si muore. nulla di stravagante né eroico. Una spiritualità ridicola e nemmeno leader nel collettivo scolastico o nel consiglio di Istituto. Un preparatore di cartelli per manifestazioni, uno stampatore di volantini come ce ne sono tanti. Altro che aiuto a studiare, mi lascerà; soffrirò come un matto e sarò pure rimandato in matematica!
In compagnia di questi pensieri si era avviato verso i giardinetti.
Ancora incertezza, non se ne esce e tocca soffrire, aveva pensato. E’ come dibattersi in uno stagno melmoso, un faticoso e costante tentativo di approdare alla riva, di abbandonare quel subbuglio nemico e infido. Ti affatichi come un pazzo e speri che ti rimanga in tasca ciò che hai ottenuto, ma ad ogni ora ricomincia tutto da capo.
Basta un nulla e tutto cambia.
Ai giardini è arrivato in anticipo.
Le mani infilate nelle tasche dei jeans, se ne sta appoggiato al tronco di un grosso albero e aspetta. Una pioggia sottile è tornata a cadere e annebbia i contorni del parco. Sente un suono improvviso: un’anatra passa veloce davanti ai suoi occhi sbattendo le ali, si getta nello stagno e si allontana. In quel furioso movimento si percepisce tutto il suo spavento animale.
Ha le snakers fradice, non farà in tempo a cambiarsele prima della prova. Domani ci sarà il concerto e oggi il direttore non ammette ritardi.
Dieci minuti e non è passata un’anima. E’ ora di pranzo e, per la fretta di vederla, non ha mangiato nulla. Il suo stomaco brontola per la fame, lui si logora per la nostalgia.
La pioggia è diventata più fitta. Un sottile malessere si fa strada nella sua mente e il pensiero gli cammina in equilibrio sul filo del panico intanto che fissa ostinato il cancello d’ingresso. Per fortuna in un battito di ciglia, lei compare, ansante e arruffata. La vede sul fondo del viottolo, piccola, ancora lontana, ed è già avvinto dai suoi lucenti occhi neri e da quel sorriso. Non c’è altro da guardare, nulla a cui pensare. Lì dentro scorre tutto il suo mondo, il caldo dei suoi sogni e il timore delle sue emozioni. Ha paura di come il cuore gli batta veloce, di come il suo sguardo lo cerchi, di come lo streghi. Gli manca il respiro quando lei si avvicina. Sotto l’albero dalle grandi foglie verdi dove lei lo raggiunge, quegli occhi sembrano ancora più scuri e quella bocca così morbida gli intorpidisce ogni pensiero. L’abbraccia e se la poggia addosso, la stringe forte e accosta il viso al suo, Sente le guance che diventano rosse mentre uno strano tormento gli si insinua per il corpo. Il tenero odore di Bianca gli riempie le narici mentre, mormorando dolcezze altrimenti indicibili, preme le labbra su quel morbido collo.
Entrambi hanno chiuso gli occhi alla concretezza di ciò che li circonda smarriti nel loro incanto. Le labbra si incontrano, le lingue si impegnano nel familiare, ipnotico movimento. Rincorrono un ritmo lento e ossessivo, naturale e sublime. Quell’andamento sempre uguale crea il vuoto di ogni pensiero, vuole dedizione, porta benessere come nessun’altra cosa al mondo. Bianca lo segue in ogni percorso, in ogni nuova richiesta, completamente sua. Lui la stringe forte e sente fluire via tutte le incertezze. Lo lasciano come l’acqua che si ritira dalla riva dopo un’alluvione, come gli incubi ci lasciano ad ogni risveglio.
Il suo animo adesso è forte e vuole sapere, non teme le risposte che Bianca gli potrà dare. Sente le sue morbide mani tra i capelli, apre gli occhi e la guarda, sorridendo. “Allora, quali sono tutte le cose che devi dirmi?”
Bianca è un po’ confusa da quel lungo, bellissimo bacio. E’ felice di quell’emozione che li ha dominati: lui di solito è meno audace, più pratico, forse anche un filo retorico. Infatti ha già ripreso a parlare, quel chiacchierone!
C’è un unico modo per farlo tacere, pensa, mentre vede un lampo di incertezza negli occhi del ragazzo, mentre sente altre domande in quel cervello sempre in moto, mentre appoggia nuovamente le labbra alle sue.
Voglio stare qui in silenzio, incollata a lui per la prossima ora. Sono felice e non mi importa di altro.
Lui la stringe forte e decide che è meglio non domandare più di quali cose volesse parlargli. E’ guarita, sembra contenta, ha smesso di piovere.
Mi piace il tuo sentimento poetico.
Alberto Pesi (“Il Ritorno”)