Premio Racconti nella Rete 2016 “Volevo solo morire e invece sono morto” di DuediRipicca
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Riponi il mezzo caschetto antinfortunistica sull’appendiabiti. La mezza tuta logora, mezza maglia e lo scarpone. Lasci il gabbiotto del cantiere senza salutare. Non è che non ti piacciano i tuoi colleghi, o non ti piaccia parlare, è che loro con la bocca per intero fanno troppo chiasso, e a te pizzica l’orecchio, quindi non hai mai dato confidenza a nessuno da quando il capo, Uno-Capo, carissimo amico d’infanzia di tuo padre, ti ha compassionevolmente assunto, e figuriamoci se da quel giorno Uno-Manovale-tra-i-tanti si sia mai avvicinato per scambiare una chiacchiera con te. Pure Uno-Capo in verità non riesce a parlarci con te, e la paga, mezzo salario ovviamente, te lo fa pervenire sul tuo conto tutti i primi del mese, puntuale alle ore 8:00. Quindi lasci il tuo posto di lavoro ogni sera così, senza nemmeno mezza parola. L’occhio destro puntato a terra, svelto, con la tua sola pedata destra, cammini lungo il bordo del marciapiede diretto a casa. Segui lo scolo delle fognature senza incontrare nessun Uno da cui divincolarti, ciononostante, avverti lo stesso lo sguardo dei passanti starti addosso. Soprattutto quello dei passanti piccini.
– Carini -, bisbigli,- piccoli Uno, loro sono solo un po’ curiosi, tutto qui, mentre i grandi Uno…davvero brutta gente.-
“Tutti si rovinano crescendo!”, diceva sempre tuo padre quando tornavi dalla scuola deciso a non metterci più piede. Prima ti squadrano in malo modo poi un brivido di disgusto li pervade storcendogli le labbra attorno le guance, e allora indispettito e dispettoso, in quei momenti quando proprio non ne puoi più.
– BUH!- esclami ancora oggi con rabbia, a volte mezzo divertito, fissandoli finché non se ne vanno per primi. Sai perfettamente cosa li mette a disagio. Non la tua parte destra praticamente identica alla loro, ma la nebulosa trasparente mancanza di quella sinistra.
Mandi un giro di chiave. Trac. E mezzo. Ac. Sfili la chiave. Marci la suola della scarpa su mezzo zerbino leggendo LCE CASA . Sorpassi l’uscio. Mandi un giro di chiave. Trac. E mezzo. Ac. Finalmente a casa, al sicuro dalla confusione, dal traffico, dal caos della città, e Intero è davvero una città caotica. Ti sei voluto trasferire nella grande metropoli anni fa, ma ora vorresti sparisse inghiottita nel vuoto cosmico che aleggia color vermiglio tra i satelliti Terra e Giove, e con lei i suoi cittadini. Intanto li chiudi tutti fuori. Afferri mezzo telecomando che t’attende tutte le sere sulla mezza mensola mezza affissa sulla mezza parete. Premi il tastino gommoso e lo riponi dove l’avevi preso. Era una parete intera prima di prenderla a picconate per mozzarla, proprio appena traslocato, ed ora è alta fino alla cinta del mezzo pantalone, così puoi vedere cosa c’è nell’altro mezzo vano senza metterci piede. Nonostante sia passato tanto tempo, le briciole di polvere del foratino arancio, di tanto in tanto, precipitano nel nulla sottostante che ti separa proprio dal mezzo vano oltre la mezza parete mozzata al di qua del mezzo ingresso. Al di là filtra la luce della sera attraverso le mezze persiane della mezza finestra, parla mezzo televisore prontamente adagiato su mezzo divano, mezzo tavolino soggiorna con gli angoli morti di sbieco svenuti su mezzo tappeto, con sopra poggiato mezzo vaso, con mezza acqua, e mezzo pesce morto a galla in fase di decomposizione avanzata. Al di qua mezzo corridoio. Due porte. Una mezza chiusa, una mezza aperta. Dalla mezza aperta s’affaccia la ceramica di un water, sporge quella di un mezzo lavandino e quella spigolosa di una porzione di vasca. Da quella mezza chiusa, non vedi niente. E’ mezza chiusa dalla parte sinistra. Ti svesti della scarpa destra col nebuloso trasparente piede sinistro, abbandoni la calzatura in direzione dell’aldilà osservando la curva liscia fronte mento collo della ceramica del water. Pensi che il tuo profilo ha un qualcosa di familiare a quel gabinetto, e che gli Uno vedano così la tua parte mancante, una verticale sinistra latrina di nebulosa trasparenza. T’incammini verso di lei lasciando una traccia umida a terra e il nulla dell’altra inesistente nebulosa trasparente pedata. Pisci mirando tutto a destra mentre osservi schizzi giallino sparpagliarsi a sinistra, e li vedi sbiadire e divenire nebulosa e poi trasparenti. Un giochetto che facevi già da bambino, quando credevi che spostandoti troppo a sinistra ti saresti perso nella tua stessa nebulosa trasparente mancanza, e chissà dove saresti finito, forse ti saresti perso nel vuoto totale, e tuo padre non avrebbe più saputo trovarti. Col passare del tempo ti sei reso conto che non saresti sparito proprio in nessun luogo spostandoti più o meno a sinistra, perché a te manca proprio la parte sinistra, o meglio, c’è, ma è di nebulosa trasparenza. Raddrizzi la mira e l’unico serio pensiero è:-Meno male che il pisello è dalla parte destra del corpo,- perché pure se fino ad oggi è sempre stato solo maneggiato da te – pensa che iella non averlo proprio .
Lo riponi tutta a destra nelle mezze mutande alla “non si sa mai”, e con un misto di orgoglio e arrendevolezza vai al lavandino, acciuffi spazzolino e dentifricio e spazzoli forte mezza arcata dentale superiore ed inferiore, sputi tutto diluito dalla sola saliva, poi storcendo le labbra ciucci un po’ di liquido celeste da una bottiglietta di plastica, un gargarismo, due gargarismo, tre, – Così ha deciso di morire, senza dolore alcuno, senza la presenza di parenti o amici. Solo.-
Le parole provenienti dal mezzo televisore ti fanno trasalire.
T’asciughi la mezza bocca con la manica del mezzo cappotto che non hai ancora tolto e scivoli fuori dal bagno, senza degnarti di mezzo sguardo dato che lo specchio non c’è. L’hai frantumato. Raccolto i pezzi. E gettati. Non serve. In punta del piede, in bilico sull’uscio tra il bagno e il mezzo corridoio aguzzi l’udito.
– In tutta serenità, già mille Uno hanno deciso di porre fine ai propri giorni. Il “Servizio della Dolce Morte”, come l’hanno chiamata i ricercatori dell’azienda ospedaliera Sant’Uno, ha fatto molto per chi decide di lasciarsi andare in pace offrendo servizio di trasporto assicurato da tutte le grandi metropoli, biglietti a prezzi agevolati, volatreni diretti, unica fermata: il capolinea.-
Le parole si ripetono nella tua mezza mente, sfuggono e tornano deliziose.
– Lasciarsi andare in pace. Possibile? Finalmente si può morire senza sentire dolore?-
Il dolore. Già la parola stessa è terribile, figuriamoci il provarlo. Tutto qui. Non è che si deve avere chissà quale terrificante motivo o segreto indicibile o malattia incurabile per decidere di voler morire, Uno è libero di fare ciò che vuole, figuriamoci Mezzo. Così con mezzo sorriso lasci il mezzo corridoio, mentre dal mezzo televisore continua a trillare la presentatrice a figura intera del TgUno. Passi alla destra della mezza sinistra porta chiusa, ti sdrai sul mezzo letto attaccato alla parete e afferri solo mezze parole, con la testa, tutta, persa lontano.
– Ancora rivendicazioni. Paladini della vita contro la Dolce Morte.-
Continui a sorridere mentre mezza pila di mezzi panni ammucchiati è lì lì per cedere al suo mezzo peso, il problema è che non sopporti gli armadi pieni di sportelli, e allora meglio che i mezzi indumenti stiano a terra, vicino la mezza fila delle scarpe. Destro, il mocassino, destro, lo scarponcino da lavoro, destra , la scarpa da jogging, destra, quella nera elegante mai indossata.
– Ecco perché quel giorno t’ho acquistata, allora io non lo sapevo ancora, ma ora lo so!-
– Minacce di nuovi attentati. Allarmi bomba nelle stazioni e sui volatreni.-
Ignorando la mezza tv, e continuando sempre di più a mezzo sorridere t’alzi in fretta, frughi tra i panni mezza giacca nera, la gamba destra del pantalone di velluto nero, mezza camicia bianca, e prendi lei, la scarpa destra elegante mai messa.
– Ecco, così mi vestirò per quando andrò a morire .
Riponi tutto sul letto e osservi la tua sagoma di stoffa mentre la pila crolla cadendo rovinosamente sulle calzature.
-Perfetto. Domani partirò.-
La mezza tv, continua a sproloquiare, ma ormai non ci fai neanche più mezzo caso.
– Numero d’emergenza…Adesso passiamo alla FormulaUno.-
Ti volti, t’avvicini alla mezza cucina a gas e dalla busta di carta del pane aperto prendi un grissino,vai alla mezza scrivania adagiata prima del mezzo letto alla stessa parete, ti siedi sul mezzo cuscino, ingurgiti il grissino, apri il cassettino destro, prendi carta e penna e. E il mezzo sorriso si chiude in una mezza “o” di disapprovazione, diciamo una “c”.
Si mostra in bianco e nero mezza capigliatura pettinata all’indietro, un occhio, destro, narice, destra, labbro superiore ed inferiore carnoso, destro, un puntino nero su mezzo mento, mezza faccia destra insomma, una fotografia stampata tagliata verticalmente e relegata in mezza cornice. Il regalo di tuo padre per i tuoi diciotto anni, o almeno secondo lui quello era il tuo diciottesimo compleanno. Perché Uno Papà ti ha trovato sulla spiaggia abbandonato. In un primo momento gli eri parso un corallo gettavo sulla riva dalle onde, e siccome Uno Papà ha una collezione infinita di conchiglie e frutti del mare ormai estinti, nell’affrettarsi a reperire quel piccolo tesoro si è accorto di te Mezzo, essere di non si sa quale specie, solo quando già ti aveva preso tra le mani. Così questa la tua prima fotografia dei tuoi probabili diciotto anni e sapendo che lui aveva buone intenzioni, non l’hai mai gettata. Ti era bastato nasconderlo quel dono, in fondo al cassetto, sotto fogli di carta che solitamente non usi. Perché odi scrivere pure se l’ami profondamente, il problema è che sei mancino. Non destrorso, e quindi non ne sei capace, non ne sei mai stato capace di raddrizzare la calligrafia d’illeggibile nebulosa trasparenza, neanche con l’aiuto del tuo Uno Papà che si metteva lì vicino a te e ti faceva scrivere infinite volte, sono destrorso sono destrorso, fino a che tu poi esasperato: -E no!- Gli urlavi.- E no Uno Papà, non lo sono!-
Perciò finite le scuole, se non proprio per un esigente esigenza, hai smesso di scrivere. Ora invece, due parole di saluti e ringraziamenti al tuo Uno Papà vorresti proprio scrivergliele. Ma ti blocchi di nuovo. Osservi quei lineamenti. Appartengono a te. Tu sei Mezzo. Sei il mezzo di ogni cosa. L’altra metà? L’altra metà di ogni cosa? Sei nato senza. Hai imparato a vivere senza, quindi non serve.
Non ti serve?
Ancora te lo domandi.
E ancora non trovando risposte né soluzioni quando c’è di troppo attorno a te, lo tagli via.
Gli altri sono Uno. Quelli che vivono facendo caos nel caos. E tu invece sei solo Mezzo. Mezzo nella terra degli Uno che vive nella caotica città di Intero.
E fa male.
Fa male nella mezza mente, tra le mezze parole che non ti escono, come le lacrime che non piangi, forse perché il cuore non è come il pisello, non lo puoi ripiegare da un lato, lui sta tutto a sinistra, e forse tu neanche ce l’hai un cuore, o forse è solo nebulosa trasparenza.
Passi mezza nottata in bianco, ad arrovellarti su questo quesito, ma quando spunta mezza alba, per carità, basta, e mezzo eccitato infili la chiave. Ne mandi un giro. Trac. E mezzo. Ac. Osservi la tua “LCE CASA” , pensi alle forbici, ai coltelli, alle accette e alle seghe e che grazie al “Servizio della Dolce Morte” non ne avrai più bisogno. Poi mezzo sorridi, di nuovo, perché il pensiero che tutto stia per finire indolore è così leggero e confortante da sognare che la “Dolce Morte” sia una bella ragazza, e sempre sorridendo pensi che con la iella che hai sarà Una-Stronza, ciononostante sei pronto per la partenza. E t’incammini alla stazione del volatreno.
La carrozza è mezza vuota, l’altra metà è occupata da Uni e Une nei loro splendidi abiti interi sfoggiando sorrisi completi di chi ha una vita che è Una. Raggiungi il tuo posto vicino al finestrino. Punti l’occhio fuori. Guardi in alto perché sotto è un precipizio di binari e ti da’ il voltastomaco.
Fuori ha iniziato a piovere. Bella la pioggia. Quando piove provi un gran gusto nel camminarci sotto. Che cada fitta e sottile, grossolana ed impetuosa, è comunque tiepida la pioggia. Ti lasci colpire dalle gocce che si spaccano librandone altre più piccine. Ti piacciono le cose piccine. Un picchiettio che t’accarezza spargendosi dappertutto e dappertutto ti bagna scivola e si mescola alla tua nebulosa trasparenza, e un brivido ti percuote lungo mezzo collo fino a sotto il mezzo mento e ancora più su. E’ come ricevere un mezzo bacio. A volte credi che dare un mezzo bacio possa essere bello come riceverlo della pioggia.
– Ciao.-
Trasali dal dolce pensiero. Infastidito ti volti. Una-Bambina è seduta al posto libero affianco al tuo. Non le rispondi, torni a guardare fuori attendendo che si accorga del tuo essere Mezzo e che se ne vada spaventata o in lacrime o terrorizzata, scegliesse lei.
– Ciao.-
Insiste. Prendi aria dalla narice e pensi ma questa Una-Bambina non ce l’ha una Una-Mamma, o un Uno-Papà? E nel mentre dei tuoi pensieri la senti lasciare il sedile piano piano. Deve averti visto ed è fuggita pensi.
– Ohi, t’ho detto “ciao”, ma che sei sordo?-
Davanti il tuo unico destro occhio Una-Bambina ti guarda con l’arcata sopraccigliare incurvata come un punto interrogativo, il naso arricciato, le labbra in una smorfia buffa e ti tiene la mezza bocca tra la sue piccole dita scuotendoti il mezzo viso.
– Ohi? Ma che sei morto?-
Ti scosti come impaurito, atterrito, no, di più, terrorizzato, e qualcosa prende a scombussolarsi tutto nella mezza nebulosa trasparenza, rimbombando nella mezza mente.
Lei scivola a terra. Si ritira su. Sale di nuovo sulla tua gamba destra, si siede sul tuo ginocchio, ti squadra da capo a piede tutta la mezza sinistra, poi storcendosi tutta osserva la mezza parte destra.
Tu sei immobile spaventatissimo ed incredulo.
Lei fissa con le mani sulle sue ginocchia e la testa curvata a guardarti nell’occhio. S’avvicina, piano piano, e: – Buh!-
Tu sobbalzi.
Lei ride ricadendo indietro ma l’afferri per il braccio giusto in tempo.
– Allora sei vivo!- Esclama.- E perché non mi rispondi? Sei sordo?- Ti strilla nell’orecchio che a momenti non ti ci rende lei, mezzo sordo.
Scuoti la mezza testa ancora sconvolto accennando un velocissimo “no”.
– Ho capito! Allora sei muto?.-
Agiti lo stesso “no”, ma lentissimo questa volta.
– Mmh, strano però, perché non parli allora?- Poi si sistema di nuovo cavalcioni e si riavvicina piano piano al tuo occhio.
– Il tuo occhio è grigio come il tempo fuori, io ho gli occhi castani guarda.-
E si spiaccica le mani sulle palpebre e stira la pelle giù sulle guance e ti fa pure la linguaccia.
– Vedi?-
Accenni un sì col mezzo volto.
– A scuola un compagno, il più antipatico di tutti, e pure il più brutto, mi dice sempre che sono marroni color cacarella, e allora io gli do un pugno sul naso .
E mima la scena e ti tiri indietro non sia mai ti colpisca.
– Io mi chiamo Luce di Luna, come la stella, quella famosa, che è morta quando è morto pure la stella di nome Sole che faceva la luce. Io so tutta la storia. Tu la conosci?-
Lo ammetti, sempre senza proferire mezza parola.
Tre Uni in lunghi cappotti neri entrano trafilati nella carrozza un attimo prima che il
dondolio anticipi la partenza del volatreno. Tossiscono, bisbigliano l’Uno nell’orecchio dell’altro Uno.
La voce stereofonica avvisa di sedersi ed allacciare le cinture. Tu osservi la Una-Bambina di nome Luce di Luna seduta sulla tua gamba. Lei ti strizza l’occhio e sguscia a velocità di biscia sul sedile di fianco che già s’è allacciata le cinture, abbassa il bracciolo che vi separa, afferra la tua cinta, l’allaccia avendo cura di racchiudere al suo interno la tua nebulosa trasparenza che oscilla al dondolio della pre-partenza. Tu non fai mezza mossa. T’accorgi che sulla testa indossa un occhiale con le lenti scure e un po’ arancio, a mo’ di ferma capelli. Luce ti osserva non facendo altro che sorridere che quasi fa fare mezzo sorriso pure a te, se non fossi preoccupato per tutto quell’agitarsi nella nebulosa trasparenza, che lo senti pulsare anche in gola, nelle tempie.
Luce, cala l’occhiale sul naso, prende aria, ci gonfia le guance e stringe i braccioli con forza. Tu le copi le movenze, prendi aria, ci gonfi la mezza guancia e niente, il bracciolo a sinistra non lo puoi stringere, è come il cuore, nel lato sbagliato di un essere mezzo sbagliato. I denti di Luce battono fortissimo e fanno volontariamente confusione. Tu serri la tua mezza bocca e ci tieni i denti chiusi dentro e silenziosi. La discesa ad altissima velocità vi spiaccica i corpi sui sedili. Le guance di Luce sventolano lasciando libere praline di saliva, la nebulosa trasparenza s’allarga scontrandosi con tutto ciò che incontra. Il lancio. Partiti.
– Figooooo.- La voce di Luce irrompe nell’aria e nel tuo voltastomaco che s’agita volendo mezzo scapparti fuori . E ride forte “AHRAHRAHRAHRA” di quella risata di tutte le note allegre e gutturali, e mezzo ridi di cuore anche tu, respingendo in dentro il conato, con le note dell’aria che entra ed esce in un “HSHSHSHSHS”.
E la guardi con l’occhio che t’inizia a luccicare bagnandosi, e non capisci il perché, ci si sarà cacciata un po’ di polvere dentro, ma lei continua a ridere e non ha idea di quanto ti ricorda Brio. Brio, Una-Amichetta del cuore. Brio Una-Compagna di giochi, l’unica che aveva avuto il coraggio di sederti di fianco, allo stesso Uno-Banco vuoto per metà, quella sinistra. Brio che giocava sempre con te, e ti stava sempre appiccicata anche se gli Uno-Genitori non volevano. O almeno, ti era rimasta vicina fino al giorno dell’incidente, fino al giorno in cui volle essere come te, il giorno in cui per la prima volta Uno-Papà ti guardò con lo sguardo inevitabile.
Era triste, arrabbiato, ma tu non lo potevi sapere che Una non diventa mezza, neanche se la seghi per verticale. Uno-Papà di Brio, nonché Uno-avvocato, non si era fatto mezzo scrupolo, e adesso Uno-Papà campava con sola mezza pensione in una mezza pensione. L’incidente. Avrai avuto probabilmente cinque anni, perché quanti anni hai veramente nessuno lo sa, all’epoca iniziasti a tagliare a metà ogni cosa intera, creando non pochi disastri e disagi al povero e buono tuo Uno Papà. E lui che esasperato t’urlava dietro
– Mai una volta che ti venisse in mente di ricostruirle le cose!-
Povero Uno-Papà che si ritrovava per casa mezzo litro di latte, mezzo chinotto, mezza passata di pomodoro su mezza fetta biscottata e sul pavimento della cucina appariva a fine giornata un’opera d’arte astratta. Mezzi libri uguale mezzi voti. Cercavi d’assomigliare alle cose o almeno che loro somigliassero a te. Ma niente. La difficoltà poi aumentava dal tuo incaponirti che l’unico verso giusto era quello verticale. Nessuno ti capiva. Ormai neanche più il tuo Uno-Papà, sempre più stanco e demoralizzato. Ma lei, Brio, sembrava avesse una risposta per tutto. La sapeva lunga lei, figlia di Uno-Avvocato e Una-Chirurgo. Un giorno durante la ricreazione ti si piazzò davanti con la pagina strappata della rivista di medicina a cui era abbonata la sua Una-Mamma. Riportava l’immagine di due Una-Sorelle-Gemelle-Siamesi, in un riquadro erano attaccate, in un altro staccate. Sotto la scritta POST OPERATORIO la descrizione dell’intervento nei minimi particolari più gli strumenti utilizzati. E Brio, che la sapeva proprio proprio lunga, da dietro la schiena ti mostrò la valigetta della Una-Mamma con tutti gli attrezzi chirurgici.
– Ta tannnn!-, esclamò.
Certo è che non c’erano proprio tutti tutti gli strumenti medici, ma almeno i più importanti. Gocce di Dormibenventiquattrore, pinze, ovatta, disinfettante, garze, filo per sutura, ago e grappette ma soprattutto il bisturi. Ricordi perfettamente la convinta risposta alla tua domanda.
– Ma sei sicura?-
– Sì! Voglio essere come te. Mezza.-
Primo.
Le passasti la soluzione disinfettante dalla testa ai piedi con le garze dal liquido rossastro imbevuto. Ovviamente, verticale.
– Ahi mi pizzica l’occhio!-
– E tanto non ti servirà più tra poco. Brio fai ancora in tempo a ripensarci.-
– Ti ho detto che voglio essere Mezza! E non chiamarmi più Brio. Comincia a chiamarmi Io e passami le goccine per favore.-
– Pensi che sentirai tanto dolore?-
– No, non credo. Qui c’è scritto che hanno somministrato gocce tranquillanti pre-operazione.-
– E poi?-
– E poi boh, non lo so. Segue sull’altra pagina, ma io non ho fatto in tempo a strapparla via questa mattina, ma ho letto ieri. Iniziata la conta si sono subito addormentate per un po’ di ore, le hanno tagliate, e quando si sono svegliate erano divise. Quindi tu conta, taglia e sbrighiamoci!-
– Scusa di quante ore di sonno si parla?-
– Non me lo ricordo, uffa quante domande, facciamo che appena hai fatto mi dai due pizzicotti e mi svegli, e ce ne andiamo a casa da te!-
– Va bene. Allora conto: Uno, uno-due, uno- tre, uno-quattro.-
Inspirasti col bisturi stretto tra le dita tremolanti, lo infilzasti al centro della tenera testolina di Brio. Tutto quello che accadde dopo è un avvolgersi di figure sul nastro a righe bianche e rosse del gelataio.
– Luce? Luce dove sei?-
– Sono qui mamma.-
– Lascia stare in pace il signore, mi scusi se le ha creato. –
La Una-Mamma s’interrompe all’istante. T’osserva mentre spalanca bocca e occhi all’unisono e caccia un urlo così forte di terrore che nemmeno stesse per finire il mondo, e Intero, o stesse assistendo all’implosione di Sole e Luna, o allo zampillare di sangue fuori dal cranio di Brio. Forte così forte che a te, Luce e a tutti i presenti vi tocca tapparvi gli orecchi.
Tranne i tre Uno-con-la-giacca-nera. Quelli se ne stano lì in piedi, alla testa del vagone a controllare l’ora sull’orologio. A battere i piedi a terra. Ad asciugarsi la fronte.
– Mamma, cosa urli?- Chiede Luce.
– Allontanati da quel…quel…quel mezzo coso.- Implora Una-Mamma portandosi le mani al volto.
Te lo eri promesso alla maggiore età che te ne saresti andato lontano a crearti la tua giusta mezza vita, proprio per non sentire mai più urla disperate come queste.
Luce ti guarda, guarda tutta la tua mezza figura, e pure l’altra di nebulosa trasparenza, come se ti stesse valutando per la prima volta. E dal sorriso che le riempie il visino, non deve essere una brutta valutazione.
– Ma mamma, non è un “mezzo coso”, è un Uno-Mezzo. –
La madre rimane pietrificata. Luce ti sorride e stringe il tuo braccio sinistro, o quello che dovrebbe esserci sotto la nebulosa trasparenza, e quella cosa che strepitava tanto nel tuo mezzo nulla sinistro, ora ha aumentato il volume. E senti che si stringe, e rimbomba, e qualcosa di caldo scivola via dall’occhio destro, e pure da quello che dovrebbe essere il sinistro.
– Scusa, ma Una-Mamma è un po’ nervosa, stiamo andando a salutare Una-Nonnina. Sai, è molto malata, e vuole andare in un posto dove starà meglio, almeno così dice.-
I tre Uno-in-giacca-nera si lasciano scivolare via le giacche mentre pensi che questa Una-Bambina è proprio simpatica.
Ti asciughi la guancia destra, ma lei non ha finito.
– E tu, vuoi andare anche tu nel posto dove si sta meglio?
Gli altri viaggiatori iniziano ad urlare, ma tu non te ne curi, quella domanda ti è esplosa dentro, e lo spostamento d’aria ti scombussola la mezza mente.
– Sì. Forse. Non lo so.- Sussurri appena, che qualcosa ti blocca la mezza gola, t’inchioda le parole al mezzo palato.
– Allora se non ci vai, dopo ti va di giocare un po’ con me?
Le senti appena quelle parole. La carrozza è tutto un urlo e un battere di mani sul vetro e la sirena del freno d’emergenza che qualche Uno ha tirato.
– Certo.- Ti sorprendi delle tue stesse parole, mentre segui Luce scivolare dal sedile, prendere la madre per mano e sedersi con lei qualche fila più in là.
Proprio a pochi metri dai tre Uno-con-la-giacca-nera che non hanno più la giacca, ma uno strano gilè pieno di fili e lucine.
Le mezzo sorridi mentre il più alto fa un passo in avanti stringendo nelle mani quello che sembra un telecomando, mentre fuori Intero oscilla sotto il vagone del volatreno, mentre quella morsa a sinistra si scioglie irradiandosi in tutto il corpo, visibile e nebulosa trasparenza. E ancora le mezzo sorridi mentre Uno-con-il-telecomando urla: – Viva la vita, a morte la Dolce Morte.
E Mezzo, sorridi, mentre pensi che volevi solo morire e invece…l’esplosione ti strappa dal tuo Mezzo pensiero.
Mi è piaciuto… a metà! 🙂 è una battuta naturalmente.
[…] “Sei abbastanza uomoper camminare in linea retta,falcate, mesi, anni,senza andare mai fuori rotta? Piano piano sparisciin mille codemille scusemille guerreche non ti appartengono, troppi oneri per nessun onore. Una vita non bastaper soddisfare l’appetito di dolci illusioni e delusioni amare, un lungo baccanale di sorrisi, schiaffi, graffi e carezze. Una vita sola non basta piùa trovarci un senso e vivere per quello, conviene che glielo dia io, un senso. Sul filo della lama tra genio e pazzia, equilibrio precario in perfetta apnea. Nulla mi rende più solo della folla, della follia. Parole vuote mi rendono muto, la testa persa non sa dove andare. Non sa se ridere o piangere. Albe amare, colazioni di catastrofi. Vite spezzate dall’inutilità, spazzate dalla routine alienate dalla nostra condizione umana. E non volli più guardare per paura di vedere quello che avevo visto ancora, ancora, ancora. Forme del mio passato ancora troppo odiato una sincera amarezza portata dalla brezza. L’acqua è irreale l’irreale diventa cielo. L’anima della mattina la rispecchia fragile. Lavora, consuma, crepa. Nasci con una taglia sulla testa. Cresci, studiando guerre, crisi e sconfitte. Esulti per un golnei nuovi Colosseo e la tua vita si perde in vecchie catene. E’ tutto qui? Questo sei tu? Un lavoro uno stipendio l’affitto la spesa e il telefono nuovo? La mia vita sincopata lascia stare che un senso ce l’ha. I voli e le cadute, le corse e le sbandate, campione del fuori pista. Le tregue e le battaglie, la calma e la tempesta prima e dopo. E i passi e le lacrime e i colpi e il sangue. Chiodi nella testa e spilli nel cuore. Cane randagio o pecora nera, solo tra poesia e fantasia. Cosa me ne faccio del libero arbitrio se non so scegliere? Testa o croce? La mia testa sulla croce o la croce sulla mia testa? Ero uno scrittore, un poeta, il più onesto dei bari con la coscienza in una bara. Non ho proprio voglia di alzarmi, oggi e sentire le news di ieri non ce la faccio a scrivere scopare e a starvi a sentire su cosa silenzi il volume del soffrire. Come zattera alla deriva persa la rotta sono naufragato in ogni porto ho imparato a lottare il cielo non mente qui dove sono nato e cresciuto qui dove non si sa se ne ammazza di più il lavoro la droga o la noia. Qui dove il tempo non passa mai e quando passa lo segniamo sul muro della cella. Ogni giorno digrigno i denti Ogni notte impavido affondo in fiumi, mari oceani etilici colo a picco nelle mie pecche per timore di volare. Ogni ora riempio i miei vuoti a perdere con nulla di buono. Ogni minuto svuoto i miei pieni a rendere con tutto il male del mondo. Ogni secondo mi rinchiudo nell’illusione di libertà, belle parole effimere scuse perse nel vento. Il coraggio che urlo al mondo è la mia paura silenziosa, il vanto dei miei vizi è la vergogna delle virtù, gli eccessi della mia rabbia le brutte parole da bravo ragazzo, tutto il mio odio universale è solo bisogno di un po’ d’amore solo paura d’amare rifiutarsi sempre di vivere per non morire mai. Il nulla che ho è tutto ciò che manca eppure siamo qua giocattoli rotti con le pile scariche abbandonati in un angolo buio da chi, troppo viziato, non si divertiva più. Inaspettato un sospiro, uno sguardo, e ci facciamo luce dopo aver vissuto bestemmiando sorriderai quando la smorfia avrà stremato il tuo volto avrai sete per aver mangiato sale e polvere e terra sarai sempre fuori moda fuori budget fuori tempo te ne dispererai e ne ringrazierai poi e potrai morire solamente dopo aver vissuto realmente e non morirai mai,un Lupo non muore avanza, su, in cima, sulla roccia più alta, rizza il pelo controvento e ulula alla Luna, sua pallida sposa, vestita di stelle. Troverai quando smetterai di cercare Ho una mappa del tesoro nascosta da qualche parte…” Gianluca Pavia Ecco di seguito i racconti. Buona lettura e buon divertimento! Premio Racconti nella Rete 2016 “Volevo solo morire e invece sono morto” di DuediRipicca […]
…zie!
L’ altra metà è piaciuta a me! 😉
A “metà” tra fantascienza e poesia, ma del tutto originale. Si può dire senza “mezze” misure: stupendo.
“Stupende” parole, grazie Demian!
[…] Premio Racconti nella Rete 2016 “Volevo solo morire e invece sono morto” di DuediRipicca […]
Strano, triste, misterioso, poetico. Può bastare? Comunque complimenti
A fine lettura mi viene da dire: In medio stat virtus!
A presto!