Premio Racconti nella Rete 2016 “Kentaci-frain-cicen” di Raffaele Lezzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016«Kentaci-frain-cicen.»
«Dillo ancora, Agnuz»
«Kentaci-frain-cicen.». I fratelli si sbellicano dalle risate nel sedile posteriore della macchina che percorre un’assolata strada alla periferia di Atene, circondata da centri commerciali e fast-food. Anche i genitori sorridono nello specchietto retrovisore. Agnese non capisce, ma prova a sorridere anche lei.
«KENTUCKY FRIED CHICKEN» – sbraita il fratello – «ma come cazzo parli, Agnuz?».
Agnese guarda smarrita il foglio che ha davanti. Ogni tanto si toglie gli occhiali viola, mordicchia l’estremità della stanghetta e si massaggia gli occhi. Con la mano si riavvia i capelli dietro l’orecchio, poi si guarda intorno nella classe: tutte le teste sono chine sui tavoli, nessuno parla, le penne scivolavano sui fogli. Fa caldo, dalle finestre aperte entra la luce primaverile e il profumo dei gelsomini.
Agnese si rimette gli occhiali e abbassa di nuovo lo sguardo sul foglio. E’ inutile, le parole continuano a ballarle davanti agli occhi, non vogliono farsi afferrare. Le lettere si accavallano tra loro, a volte sembrano essere scritte in caratteri diversi; quella che sembrava una sillaba, improvvisamente diventa un’altra; una parola che credeva di aver compreso ora ha tutt’un altro significato. Ma perché gi inglesi non scrivono le parole come si pronunciano? Non sarebbe più semplice?
Prova a sbirciare sul foglio di Marta, la sua compagna di banco: ha già finito tutti gli esercizi con le risposte multiple e ora continua a scrivere, senza fermarsi un istante, rispondendo di getto alle domande a risposta libera …
Agnese si chiede come faccia, davvero. Prova ad attirare la sua attenzione, ma Marta è troppo concentrata sul compito per darle retta.
Eppure ha studiato. Ieri pomeriggio è stata per ore china sul libro di inglese a ripetere quelle parole che si pronunciano in maniera diversa da come si scrivono. Mentre suo fratello guardava la TV sdraiato sul divano mangiando cereali e la sorella in un’ora aveva finito tutti i compiti e chattava tranquilla al telefono. Le sembrava anche di sapere tutto abbastanza bene: «Tranquilla Agnuz, domani nessun problema!», le ha sorriso il padre prima che si addormentasse, dopo che gli aveva ripetuto un’altra volta un’interminabile lista di verbi irregolari.
Però lei tanto tranquilla non era: ha dormito male, agitata, ed ora – ecco! – come al solito non si ricorda più nulla. Allunga ancora la testa verso il compito di Marta.
«Agnese, che fai: copi?», le chiede all’improvviso la professoressa «Fai quello che riesci a fare, non ti preoccupare».
Non la sopporta quando la tratta come una stupida. Agnese è stanca. Se continua così, rischia di prendere un brutto voto. Cerca di concentrarsi di nuovo sulle risposte multiple e mette qualche crocetta a caso.
Per una volta vorrebbe essere la più brava della classe. Alzare la mano e rispondere sempre esatto, prendere 9 in matematica e 10 in inglese, starsene seduta orgogliosa mentre i suoi temi vengono letti a tutta alla classe. Sentirsi dire «Brava!» con convinzione, perché davvero ha fatto il lavoro migliore, e non come viene a detto lei, che – l’ha capito, ormai – significa “brava-per-essere-Agnese”.
Comincia a disegnare su un angolo del foglio un astronauta che galleggia nello spazio, con la visiera del casco che gli nasconde il viso ed un lungo tubo a collegarlo all’astronave. Agnese vorrebbe fare l’astronauta. Adesso. Il mese scorso le sarebbe piaciuto essere un medico, e prima ancora un architetto che progetta le case. Ma prima vorrebbe imparare bene l’inglese ed andare a studiare a New York. Peccato non riesca neanche a rispondere a queste stupide domande e di nuovo si è scordata la lista dei verbi irregolari.
«Dovete studiare, studiare, studiare – ripete sempre la professoressa – perché il mondo è cambiato e solo i più meritevoli si faranno strada nella vita!»
Agnuz studia, e tanto pure. I genitori lo sanno, e infatti non si arrabbiano se qualche volta non prende un bel voto, e il padre la tranquillizza quando le sembra di non capire una cosa e magari gliela fa ripetere ancora e ancora fino a quando in qualche modo le resta appiccicata in testa come un post-it su un muro rugoso. Ma, immancabilmente, il giorno dopo a scuola il post-it si è staccato e c’è qualcuno che risponde meglio di lei. Ormai Agnuz lo ha capito: non sarà mai brava come Marta. Come farà, allora, a diventare un’astronauta?
Guarda un’altra volta di soppiatto verso la compagna di banco. Finalmente ha finito; soddisfatta mette il cappuccio alla penna e si appoggia allo schienale della sedia. Marta la guarda sorridendo: sono amiche, non lo fa per schernirla. Ha lo sguardo limpido di chi ha tutto chiaro come l’acqua; quello di Agnuz, invece, è come offuscato quando si posa sul foglio davanti a lei, pieno di correzioni ed ancora incompleto. Con un movimento rapido afferra il foglio di Marta, lo accartoccia e lo lancia lontano. Marta resta interdetta, la guarda esterefatta, senza capire cosa sia successo.
«Agnese, si può sapere cosa hai fatto?», le grida la professoressa.
Agnuz guarda ancora il suo foglio. L’astronauta che ha disegnato sembra galleggiare nello spazio; con un tratto di penna interrompe il tubo che lo tiene legato all’astronave, che vada pure alla deriva tra le stelle. Le si riempiono gli occhi di lacrime – per l’astronauta? per lei? – una cade proprio sul casco che lentamente scolorisce.
«Allora, Agnese?»
«Niente, prof … Kentaci-frain-cicen »
Credo di aver capito il significato tra le righe. Sono sicuro di non essere un fulmine di guerra e quindi molti l’avranno di sicuro capito prima e meglio di me, ma per per correttezza non dico ciò che penso di aver compreso. È molto delicato, dolce e commovente.
Molto vivido, scorrevole e delicato. Il titolo nonché espressione storpiata è veramente una bella pensata.
Delicato e doloroso. Scritto molto bene. Complimenti
Prendere coscienza dei propri limiti è sempre doloroso, ma è necessario per ricominciare. Io spero che diventi un’astronauta! Bravo Raffaele, scrivi bene.
intimista, delicato, impressionista. Un acquerello drammatico