Premio Racconti nella Rete 2010 “Lo stor” di Luigi Negroni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Sak si svegliò. Sapeva che solo muovendosi avrebbe vinto il freddo. Intorno il buio era fitto e la caverna gli sembrava più grande, come il cielo là fuori.
Sak sapeva anche che la luce sarebbe arrivata presto e forse questa volta avrebbe potuto raggiungere il “posto” e ritornare alla caverna in tempo prima che la luce scomparisse di nuovo.
Toccò la sua faì e si sentì forte, protetto, astuto. Sapeva che l’unico modo per raggiungere il posto passava attraverso essa, sapeva anche che loro, là fuori, non avevano la faì e forse non l’avrebbero mai avuta.
Là fuori il freddo era dappertutto; il ghiaccio e la neve ricoprivano ciò che un tempo si colorava con il calore del sole. Lo avevano detto Scek e Var, i due grandi cacciatori che non erano mai più tornati dal posto o forse da lì erano andati per chissà dove.
Sak conosceva già il posto; oltre il lago ghiacciato, tra le due montagne del lupo grandi zanne, in quella stretta gola del fiume Kra, era lì il posto, era lì che doveva essere lo stor, era lì che voleva tornare e lì sarebbe tornato.
IN CAMMINO VERSO IL LAGO GHIACCIATO
Sak aveva mille occhi e fiutava attento gli odori intorno. Chi avrebbe mangiato oggi, lui o il lupo grandi zanne? Chi sarebbe tornato nella caverna a passare un’altra notte meno fredda, lui o un ozà delle vicine caverne? Sarebbe riuscito a raggiungere il posto per rimanere pescatore invece di diventare pescato? E ogni volta che tornava lì sentiva battergli dentro qualcosa di forte, ogni volta più forte.
Sul ghiaccio meno duro c’era il segno dei passi e Sak adesso camminava lentamente con la sua faì stretta nella mano e pronta alla lotta. C’era stato qualcuno, forse un ozà, forse un pez delle caverne del piccolo fiume. Un vento freddissimo diffondeva strani rumori intorno quando Sak si accorse che qualcosa giaceva immobile sul ghiaccio.
Era un ozà delle caverne vicine alla sua, passato da lì prima di lui e morto prima di lui, dilaniato dalle fauci di un lupo grandi zanne. Sak non si fermò a lungo, ormai il posto era vicino, era vicino a ciò che avrebbe voluto incontrare e catturare.
IL POSTO
Nella sua mente il ricordo era ancora vivo: la grande roccia che divideva il fiume in due stava lì, davanti a lui. Proseguì verso il punto in cui ricordò di aver visto qualcosa giorni prima, avanzò lentamente con la sua faì e si fermò a pochi passi dal posto.
Era un piccolo lago semighiacciato, alimentato dal quel braccio del fiume che partiva dalla grande roccia. Era lì che doveva essere lo stor, il pesce di cui gli avevano parlato i padri, ma che mai aveva incontrato durante le sue battute lungo il fiume.
Sak aspettò a lungo, immobile, con la sua faì là dove lo stor sarebbe potuto passare e dove avrebbe potuto colpirlo con forza. Sfidò il freddo che intanto diventava sempre più intenso, ma del pesce nessuna traccia. Aspettò ancora, aspettò a lungo, ma poi capì che non aveva più tempo, sarebbe tornato in fretta alla caverna oppure il buio lo avrebbe reso vulnerabile al lupo grandi zanne. Per un attimo pensò all’ozà dilaniato dalla belva ed in quell’istante provò una sensazione simile al freddo, ma diversa, nuova, terribile.
LO STOR
Decise allora di tornare alla caverna. Girò le spalle al piccolo lago e riprese il cammino, ma la lunga attesa e il freddo avevano reso le sue gambe molli. Sak fece appena qualche passo poi si fermò. Alzò lo sguardo verso la cresta delle montagne ghiacciate, poggiò a terra la sua faì e si abbandonò per qualche istante.
Sentiva chiaramente il lento battere del cuore e per qualche istante ne rimase incuriosito, catturato com’era dal suo incedere ritmico. Si chinò per riprendere la sua faì, ma non fece in tempo.
Il boato, improvviso, lo colse di sorpresa mentre la terra prese a muoversi convulsamente. Sak scivolò, trascinato dalla frana di ghiaia e ghiaccio che il terremoto aveva provocato, e finì nel lago.
Improvvisamente si rese conto che non avrebbe avuto scampo. Il freddo lo avrebbe immobilizzato presto e non sarebbe mai più tornato alla caverna. Stordito dall’acqua gelida fu proprio allora che vide lo stor. Pesce e pescatore, travolti entrambi dalla frana, sembravano quasi cercare riparo l’un l’altro rapiti da un vortice mortale. In pochi attimi a Sak parve di rivivere tutto quello che i padri gli raccontarono dello stor che adesso era lì, davanti a lui:
le sue squame dure, le pinne taglienti a punta di faì, i denti lunghi ed affilati e gli occhi ancora più gelidi del ghiaccio che li avvolgevano, ma furono pochi attimi. Un dolore acuto che presto si trasformò in tremore e paura colse Sak: egli cercò di riguadagnare la sponda del laghetto e vi riuscì, benché stremato e ferito.
RITORNO
L’enorme stor fu facile preda di Sak. Tramortito dalla frana prima ancora che dal pescatore, il pesce non ebbe scampo.
Sak strappò un lembo di pelle dal suo lacero vestimento, lo avvolse intorno alla mano per evitare i denti affilati e afferrò lo stor tra branchia e bocca, poi si rimise in cammino.
Sak sapeva che senza la sua faì, caduta nel lago, se avesse incontrato un lupo grandi zanne, avrebbe avuto poche possibilità di sopravvivere, sapeva che il freddo poteva ucciderlo prima ancora delle ferite provocate dalla caduta, sapeva tutto questo, ma proseguì il cammino.
Il corpo e la mente di Sak cominciavano ad indebolirsi, ma non si fermò. La luce gli dava ancora la possibilità di ritrovare la via del ritorno ed il modo di non essere attaccato di sorpresa.
Lentamente, inesorabilmente, la luce e le forze di Sak si spegnevano. Fu allora che sentì il rumore: cercò un riparo, raccolse le ultime energie ed aspettò l’attacco ormai inevitabile.
I due lupi grandi zanne avevano fiutato la presenza di Sak e dello stor e avevano aspettato che arrivassero le prime ombre per attaccare ed uccidere.
Sak arretrò, inseguito dalle due belve, e cercò di lanciare il pesce verso il lupo grandi zanne che gli era quasi addosso, contemporaneamente balzò sulla roccia che gli copriva le spalle cercando riparo nella risalita.
Il lupo grandi zanne si avventò sullo stor divorandolo in poco tempo. Il secondo lupo cercò di addentare Sak, ma il pescatore riuscì a sottrarsi all’attacco allontanandosi sulla collina rocciosa.
IL SOGNO
Le tenebre non impedirono a Sak di fare ritorno alla caverna. Presto i compagni gli trovarono riparo dal terribile freddo della notte e le cure per le sue ferite.
Sak, stremato, si adagiò in un angolo della caverna e, nei momenti che precedono il sonno, ritornò con la mente sui luoghi che aveva attraversato, le vicende che aveva vissuto, gli attimi di paura, l’attesa della cattura lì al posto, il boato, la frana, la caduta nel lago, i due lupi grandi zanne.
Lentamente, passò dalla veglia al sonno. Poi, la notte, Sak sognò lo stor e immaginò di essere lui stesso un pesce tra migliaia di altri stor che nuotavano nelle profondità del lago.
Tra tutti gli altri, gli sembrò di riconoscere proprio quello che riuscì a catturare, ma questa volta non lo avrebbe fatto.
Fu proprio lì, perso nel sonno più profondo, che Sak capì di averlo ringraziato.