Premio Racconti per Corti 2016 “L’erede” di Sara Vallefuoco
Categoria: Premio Racconti per Corti 2016Tempo addietro avevo letto di persone che passavano la notte frugando nella spazzatura dei vip alla ricerca di reperti della loro vita. La mattina dopo si arricchivano rivendendo vuoti di scatolette di cibo per gatti su Ebay. La notizia bastò a farmi venire un’idea.
Se qualcuno fosse passato dalle mie parti a notte fonda avrebbe potuto trovarmi inginocchiato davanti a un piccolo bidone giallo, o verde, o blu. Quel qualcuno aveva avvisato mio padre, che si era convinto di avere un figlio che frugava nei cassonetti. Il mio era solo un modo come un altro per passare la notte e per sapere la verità sulle persone.
Ogni domenica mio padre mi raccontava degli operai che aveva dovuto licenziare. Mi descriveva le loro famiglie, le mogli, i figli ogni volta più piccoli, qualche anziano a carico ogni volta più anziano e più malato. Al culmine del suo sfogo, mi insultava per il lavoro svogliato per cui mi pagava alla fine di ogni mese. Se la prendeva come se ogni giorno avesse dovuto scegliere tra me e uno dei suoi uomini. Quando seppe che frugavo nei bidoni dell’immondizia, mi disse che lo avevo sprofondato in un pozzo di umiliazione. Tutto quello che riuscii a fare fu alzarmi e tornarmene a casa mia.
Abitavo in una villetta a schiera costruita con i soldi di mio padre dei tempi d’oro. Nell’appartamento contiguo al mio, da due settimane c’era Cristina. Quella notte decisi di scoprire qualche verità su di lei.
Per prima cosa svuotai il bidone della carta mettendo per terra ogni oggetto, e poi fotografai il tutto con il cellulare. Era il mio modus operandi. Appena rientrato a casa caricai le foto sul mio blog e diedi il via ai commenti.
Il bidone di Cristina era deludente. Una settimana enigmistica. Gusci di cibi surgelati monoporzione. Due volantini con foto di un gatto siamese smarrito. Una scatola di un cucù. Un oggetto di design, di quelli con cui mia madre amava riempirsi la casa. Quel cucù ne dissotterrò un altro sepolto nei miei ricordi.
Avevo una copia delle chiavi di tutti gli appartamenti della schiera. Dicono che le tre sia l’orario del sonno più profondo, per la gente che dorme la notte.
La casa di Cristina era simmetrica alla mia. Le nostre cucine vivevano guancia a guancia. Cristina non chiudeva le imposte. Non temeva i ladri, e infatti io non ero un ladro. Se fosse scesa dalla sua camera da letto mi avrebbe trovato innocuo, seduto per terra, con una torcia in mano a fissare il cucù. Quello della scatola. Mi avrebbe chiesto Cosa ci fai qua. E io tranquillamente le avrei spiegato: – Sto guardando il cucù.
Non sapevo più se i cucù escono di notte. Mia nonna aveva un cucù negli anni in cui ero bambino. Era una casetta tirolese con un uccellino giallo inchiodata sopra il frigorifero. L’uccellino non cantava mai. Il cucù risaliva ai tempi della guerra, così mi aveva raccontato la nonna. Di quando suonava la sirena e tutti scendevano nei rifugi. Mia nonna non dimenticava mai di portarsi dietro il cucù, per distrarre mio padre, mia zia e gli altri bambini, e per proteggerli dalla loro stessa paura.
Aspettai lo scoccare delle tre seduto per terra, gli occhi puntati sull’orologio al centro di una parete immacolata. Il cucù uscì silenziosamente dalla sua casetta rossa e bianca. I suoi occhi erano due biglie gialle incrinate da tratti neri. Come in un fumetto macabro, tutto dava l’impressione che il cucù si strangolasse ogni volta che tentava di volare via. Staccai il cucù dal muro e lo portai dalla mia parte. Diciamo che lo presi in prestito. Di fatto, lo rubai.
Buttato sul divano con il cucù in grembo, orecchiavo le edizioni sempre uguali di un notiziario su un canale all-news. Probabile rimpasto di governo. Disoccupazione in rialzo. Manifestazione prevista per domenica. Un altro imprenditore suicida nel nord-est. Champions League. Prove di Formula uno in diretta a partire da domani.
Nel frammento di silenzio alla fine di una pubblicità esplose il suono del mio cellulare. Il numero era quello di casa dei miei. Forse il solito qualcuno aveva già avvertito mio padre del furto? Aspettai qualche squillo, poi risposi. Ho ascoltato per un istante la voce di mia sorella.
– Il papà, mi disse.
D’istinto portai con me il cucù, come mia nonna nel rifugio. Spinsi i miei piedi fino all’auto, e dall’auto fino alla villa dei miei, e dal cancello fino al capanno degli attrezzi. Mi illuminavano le girandole di luci intermittenti di un’ambulanza e della polizia. Sotto la piccola trave di legno, abbracciai mia madre.
Veramente molto bello. Non ho tante parole perché lo trovo praticamente perfetto. Complimenti.
Mi viene da pensare che il protagonista scopre troppo tardi che il suo interessamento alla vita degli altri doveva e poteva essere rivolto ai suoi familiari. Non so se questo era il tuo sentimento mentre scrivevi ma, sai come succede, il lettore usa i racconti a suo piacimento. Mi è piaciuto molto.
Grazie, gentilissimi a leggere e a scrivere.
Bello ed originale complimenti!
Un protagonista molto originale e una trama coinvolgente, talmente coinvolgente da aver voglia di sapere cosa farà Cristina quando si accorgerà che il cucù non c’è più e come questa esperienza cambierà il protagonista.
E’ il finale aperto qui una delle tante cose intriganti di questo racconto.
Bello davvero!
Grazie Noemi, grazie Orsola per aver letto e scritto. In effetti non sono riuscita ad abbandonare il protagonista e Cristina per sempre. Nel racconto Domus, in concorso nella sezione racconti, ci sono ancora loro, qualche tempo dopo. In effetti, erano destinati ad incontrarsi!