Premio Racconti nella Rete 2016 “L’occasione” di Renzo Semprini Cesari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016La luna piena, sfacciata e invadente, fluttua nel cielo di fine estate solleticata dal vecchio portale della città, e irride i lampioni che le sbavano dietro senza speranze. Non le presta attenzione Mattia, che attraversa il centro storico in groppa alla bicicletta senza produrre scorie o rumori. Nelle orecchie, i sedici minuti di Atom Heart Mother, dei Pink Floyd, suonato dal CD portatile che gonfia la tasca interna del giacchetto di pelle. Il cavo bianco degli auricolari ondeggia tra la cerniera e il mento al ritmo delle pedalate. Superato l’Arco d’Augusto, il trillo del Nokia 8250, comprato dal solito pusher che gli passa gingilli di seconda mano, storpia la tastiera di Rick Wright e costringe Mattia a interrompere la sua estraneazione.
«Mostro, dove sei?»
«Albano?»
«Stavi dormendo? Ho una notiziona, è l’occasione delle occasioni»
«…»
«Ok, stavi dormendo».
«È lunedì tre Settembre, Albano, sono le nove di sera e ho appena chiuso l’officina. Hai litigato con Sonia?»
«No. Cioè si, ma non come al solito. Ho comprato dei biglietti per San Francisco senza dirle niente. Sai, per il nostro anniversario».
«Tu sei fuori, quanto hai speso?»
«Due milioni e cento, volo e pernottamento».
«Senza dire nulla a Sonia? Se lo faccio io con Lucia mi ammazza. Anche Sonia ha ammazzato te.»
«Non m’ha ammazzato, ma non può venire, è incasinata col lavoro».
«Se paghi tu vengo io».
«È quello che volevo chiederti».
«Non fare lo stronzo»
«Dico davvero. Se Lucia ti smolla, vieni con me la settimana prossima? Bologna-Francoforte, Francoforte-San Francisco e in trentatré ore siamo a prenderci una birra sulla Baia».
«Che cazzo di volo hai prenotato? Perché ci mette così tanto?»
«E che ne so, fa scalo lungo in Germania, credo, ma che ti frega? Ci vieni o no?»
«Albano sono, quanto sono? Sono quasi mille Euro, cinquecento a testa! Non me lo posso permettere»
«Non ho idea di quanto siano in Euro, la tipa dell’agenzia me l’aveva anche detto, ma tu parla come mangi: sono due milioni e centomila Lire, un milioncino a cranio, ma t’ho detto che non voglio niente. Non posso cambiare la data, è un pacchetto last minute, prendere o lasciare. Vieni o no? È la nostra occasione brader, ci divertiamo!»
«Se non mi stai prendendo per il culo ci vengo sì. Se invece mi prendi per il culo, domani ti mollo due cartoni e mi paghi da bere».
«Nessuna presa per il culo, andiamo in California!»
«Cazzo sei un grande Albano!»
«Si, ma con Lucia e le bambine come fai? La tua donna non è come Sofia, fratello…»
«Lucia sarà contenta di non avermi tra i piedi per una settimana. E per le bambine, faccio venire a casa mio padre, anche lui sarà contento, con Lucia vanno d’accordo. Farà il nonno maggiordomo per una settimana e staranno come dei papi. Non mi stai prendendo per il culo, vero?»
«California amico! È la vacanza che volevamo fare da una vita!»
Quando la notizia, poco dopo, arriva a Sonia, non sortisce l’effetto che Mattia aveva sperato.
«Non ti ho dato del cretino, ho solo detto che avresti dovuto chiedermelo prima. La settimana prossima, in ufficio mancano sia Alessia che Andrea, non posso prendermi un’ora, figurati otto giorni. »
«Non sono otto giorni, è una settimana, e poi non devi lasciare il lavoro, con le bambine ci starà mio padre».
«Mattia!»
«Da quant’è che io e Albano volevamo fare questo viaggio?»
«Non può spostare i biglietti?»
«Se avesse potuto l’avrebbe fatto e sarebbe andato con Lucia. Non si cambiano. Era un’occasione»
«Accidenti Mattia. E a me quando mi porti in vacanza?»
«Se paga Albano anche per te, vieni con noi».
«…»
«Dai, ti secca davvero? Lascio perdere?».
«Ma cosa vuoi lasciar perdere? Siamo in bolletta persa, chissà quando ti ricapita di poter andare a San Francisco. Però lo dici tu a tuo padre».
«Dici davvero? Non ti secca?»
«Mi secca avere la conferma che Albano è un cretino, e che ha speso due milioni e centomila lire per un viaggio a San Francisco senza dire niente a Lucia, e che tu sei il suo migliore amico. Preferivo quando per farci una sorpresa nascondevate un biglietto dentro il cassetto, ma se non fate danni, e se mi porti un regalo, non mi secca, no. È la vostra occasione, divertitevi senza fare stronzate: Lucia se la caverebbe anche da sola, tu hai una famiglia che ti aspetta».
Otto giorni dopo, alle sedici e dieci squilla il telefono in casa di Mattia. Lui e Albano sono partiti da ventiquattr’ore. Dopo Francoforte, il volo ha fatto un secondo scalo a New York, dove li aspettava una lunga attesa. Mattia e Albano non hanno avuto dubbi e ne hanno approfittato per fare un giro nella città that never sleeps.
A New York sono le dieci e dieci.
La telefonata parte dal grattacielo Nord delle Torri Gemelle.
A rispondere è Thomas, il padre di Mattia.
«Papà, chiama aiuto. Ci sono fumo e fiamme dappertutto. Un aereo si è schiantato nella torre. Adesso sono sul tetto del grattacielo. Un elicottero, ci vuole un elicottero. Siamo più di cento».
Senza capire cosa stia succedendo, il padre di Mattia accende il televisore e su tutti i canali vede le immagini del World Trade Center avvolto in una nuvola di fumo.
Passa una scritta sullo schermo: AMERICA SOTTO ATTACCO.
Il World Trade Center è monco di una torre.
Al telefono c’è Mattia. Dice di essere lì, a New York.
Non è possibile, è andato a San Francisco.
Starà guardando anche lui le immagini attraverso una televisione.
Il mondo comincia a girare in un vortice che simula l’oblio.
«Papà siamo bloccati. Dio mio non so come diavolo è potuto accadere: un’ombra velocissima, un colpo terribile, il grattacielo si è piegato, ha tremato».
Mattia continua a parlare di quella scena come se ci si trovasse davvero dentro. Il padre non è sicuro di capire.
«Mattia, siete già arrivati? Stai vedendo anche tu le immagini di New York? Cos’è successo?». Ma suo figlio non lo ascolta e continua a parlargli con voce disperata.
«E’ terribile, non so dove andare. Ho aiutato decine di persone a scendere per le scale antincendio. Finché è stato possibile. Poi le fiamme sono diventate troppo forti, il fumo non ci lasciava respirare e abbiamo deciso di salire».
Thomas si sente mancare, con una mano appoggia il suo peso alla cassettiera, nell’altra stringe una cornetta che sembra il tramite per l’inferno.
Chiede a suo figlio dove si trova.
È già arrivato a San Francisco?
Cosa è successo alle Torri Gemelle di New York?
Mattia non può essere su quella torre. Il suo volo faceva scalo a Francoforte e poi andava a San Francisco. Ci deve essere… un errore. Il tempo sembra bloccato, eppure le immagini alla televisione scorrono senza tregua e urlano nella sua testa che non c’è più spazio per le domande, non è il momento di pensare.
Thomas guarda la televisione e vede il vuoto lasciato dalla torre crollata.
La seconda torre, sopravvissuta, è squarciata da una voragine nera.
Fumo denso come sangue e catrame defluisce verso l’alto.
Thomas sente i propri polmoni bruciare e contrarsi per quella miscela di morte.
Sono di Mattia quei polmoni.
E’ di Mattia il cuore che gli scoppia nel petto, il senso di nausea che morde lo stomaco.
Sotto i piedi, le vibrazioni della torre che minaccia la fine.
Il fluire delle sue viscere d’acciaio, spezzate e liquefatte.
Thomas non sa perché, non sa come, ma capisce che suo figlio si trova su quella torre e che ancora qualcosa sta per accadere.
Non c’è tempo. Non c’è senso. Eppure ritrova il controllo, non fa più domande e torna al suo ruolo di padre, come quando Mattia era piccolo e lo doveva rassicurare. «Mattia stai tranquillo, i soccorsi stanno arrivando. Vedrai, vi porteranno tutti in salvo con l’elicottero».
Urla, il vecchio, come se la distanza che li separa possa essere colmata con la forza della voce, come se il delirio che sta cercando di affrontare possa in qualche modo essere fatto sparire, mentre quella di suo figlio, la voce, è sempre più debole, e schiacciata dalla rassegnazione.
La Torre Sud è implosa da pochi minuti sotto i suoi occhi lasciando posto a una nuvola di detriti, polvere e fumo. Prima che crollasse, Mattia ha visto gente lanciarsi nel vuoto dal quarantesimo piano.
«Papà passami Lucia, devo parlarle. Subito».
Il padre di Mattia non ha esitazioni e consegna quel testimone infuocato alla giovane nuora, che in un istante è bruciata dai lampi della fine, lo sguardo perso dentro la televisione. Lucia si aggrappa al telefono, gli occhi secchi di lacrime che invadono il cervello e non riescono a uscire.
«Le bambine sono andate a scuola?»
La voce di Thomas deflagra l’assurdo. Lucia piange, a sentire la sua voce piace, ma non riesce a sputare neanche una parola.
«Lucia, ti amo, lo sai che ti amo. E anche le bambine. Siete tutta la mia vita».
Poi la linea crolla, e nello stesso istante, attraverso lo schermo del televisore, si vede crollare anche la seconda delle due Torri Gemelle.
Una seconda parte inaspettata, dove le emozioni trasmesse sono molte. Un bel racconto, anche se, inevitabilmente, lascia uno retrogusto di tristezza e amarezza.
Bravissimo Renzo!!! Hai fatto partire piano piano il tuo racconto ( addirittura con una descrizione intensa della luna ) e poi parti sempre più serrato, prima con il dialogo ( forse un po’ troppo lungo ) e poi con il finale a sorpresa ( però, quando si dice la sfortuna… ). La parte finale è poderosa e scarna, diretta molto destabilizzante… Sono ancora qui con il cuore che batte a mille. Ancora bravo, il finale col botto ( qui in tutti i sensi ), quelli che più mi piacciono! Complimenti!
Bravo Renzo,. Un racconto che parte piano piano, intriga subito dalle prime righe e poi accelera e corre teso fino ad un finale inaspettato.
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Le parole finali di Mattia sono un virgolettato in un articolo dell’epoca, uscito su Repubblica. Quel pezzo resterà sempre nel mio cuore. Un uomo ha davvero fatto quella telefonata.
Sia che si tratti di un articolo di giornale, di un video, di un dossier o come nel tuo caso, di un racconto, la sensazione che provo è sempre e comunque di sgomento e non potrebbe essere diversamente. Bravissimo Renzo, credo possa rappresentare un ossequio per le famiglie delle vittime di quel giorno e purtroppo anche di oggi.
Caio Renzo, non so ancora usare bene questo sito, non sono pratico di forum e social network, quindi per risponderti ti ho rintracciato qui. Il tuo commento è costruttivo, e grazie di cuore. Il mio intento era però quello di creare una situazione quotidiana per i due personaggi, il viaggio in treno e la curva sul lago, senza dover presentare niente al lettore proprio per far percepire che quello era uno dei loro soliti spostamenti quotidiani. La curva, il lago, il treno, sono per loro “noia” quotidiana, il narratore non ci si sofferma. Il protagonista è il prete, che viene faccia a faccia coi suoi principi: quel ragazzo gay fa la sua stessa tratta ogni giorno, ma il prete non nutre un vero interesse per gli altri, non li cerca spontaneamente. Lo vede solo quando gli si si siede di fronte. Di contro, il ragazzo gay ci capita di fronte solo perché distratto dalla telefonata, altrimenti anche lui avrebbe evitato. T prego di rileggerlo in quest’ottica e se trovi che proprio non funziona dimmelo senza fronzoli. Grazie.
Il tuo racconto mi è piaciuto, si respira una buona tensione. Provo un leggero fastidio per le parolacce, del tutto giustificate dal linguaggio quotidiano e giovanile, ma che io tendo a evitare. Ho molti limiti purtroppo.
Un racconto che sembrava leggero e si tramuta in un dramma. Sorprendente. Agghiacciante.
Alessio hai pienamente ragione sull’uso delle parolacce. Cerco di non usarne anche io, ma qui mi sono lasciato andare, ahimè sbagliando, ne terrò conto per la futura vita del testo.