Premio Racconti nella Rete 2016 “Oblò” di Gianni Contarino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Il dottor Scordato riceve il pomeriggio dalle tre alle sette i giorni dispari a Vagli Sopra e i giorni pari a Vagli Sotto. Assiste tutte e mille le anime dei due borghi e, quando manca il veterinario, anche i settecento fra maiali, vacche, tori e galline.
Di anni ne ha cinquantaquattro, come la taglia dei suoi pantaloni, e vive a Vagli Sopra da venti, da quando è nata la figlia Lete.
Non beve, non fuma, non bestemmia e non va a puttane, ma c’è una cosa che fa ogni ultimo sabato del mese.
Si sveglia alle sei del mattino, indossa una calzamaglia rossa, che nasconde sotto una felpa e un paio di jeans, e mette le scarpe da ginnastica. Alle sei e mezza si mette al volante della sua vecchia Fiat Ritmo, percorre i tornanti della comunale che porta a Vagli Sotto, poi imbocca una strada sterrata che attraversa un uliveto. Alle sei e cinquanta parcheggia sempre nello stesso punto, uno slargo dove c’è un piccolo altare con una statua di San Cristoforo. Lì toglie felpa e jeans, si inginocchia e prega per cinque minuti. Poi per altri cinque minuti prosegue a piedi lungo la strada sterrata, dove l’uliveto lascia il posto a un grande prato recintato, su cui pascola un toro. Alle sette in punto salta lo steccato e comincia ad agitare le braccia e a fischiare e, una volta attirata l’attenzione del toro, corre, facendosi inseguire, fra l’erba e le rocce.
Il dottor Scordato corre, con la sua calzamaglia rossa, con l’andatura di un clown in un circo, tutti i mesi da vent’anni, che ci sia il sole o che piova, e, così facendo, per un quarto d’ora dimentica il mutuo, le malattie dei suoi assistiti, le notizie dei tigì e il sorriso da passaporto dei politici. Alle sette e quindici, quando il toro lo ha quasi raggiunto, fa sempre in modo di essere nuovamente nei pressi dello steccato, scavalca, si volta a guardare l’animale e rantolando pronuncia la solita frase: “Ciao, amico mio e grazie ancora. Ci vediamo il mese prossimo”.
La gente della zona sa di questa sua abitudine, ma non gli chiede il perché. E’ troppo indaffarata a lavorare per pagare il mutuo, a guardare la tivù e a maledire i politici.
Il Millennium, unica discoteca della zona, propone il Sabato la “serata anni ottanta”. Si trova all’entrata del borgo di Vagli Sotto, vicino a un piccolo centro commerciale. Il proprietario è un camorrista, latitante in zona da alcuni anni, che i ragazzi del paese sperano non venga mai beccato, perché il Millennium chiude ogni volta che lui finisce dentro.
La grande costruzione bianca, che somiglia a un disco volante, ha il portone d’ingresso a forma di grande oblò, con tutta la scomodità che comporta oltrepassarlo. Il buttafuori, un giovane africano alto due metri, indossa una tuta argentata da astronauta.
La cassa ha la forma di una sfera, che rappresenta la Luna, e la cassiera, con i suoi fianchi larghi, fasciati da vestitini corti di strass, somiglia ogni Sabato di più all’Apollo undici.
La pista ha il pavimento a specchio e le pareti a strisce verticali bianche e argentate, con oblò alternati a fotografie di pianeti e una del proprietario, con baffi e pantaloni a zampa di elefante, abbracciato a due astronauti, evidente fotomontaggio raffigurante una visita, mai fatta, alla NASA negli anni settanta. Di fronte all’ingresso c’è un palco, su cui una volta al mese si esibiscono i Rizzo Brothers, un gruppo dance composto da quattro affiliati al clan. La consolle del dj ha la forma di una grande pistola argentata e il bar quella di un kalashnikov nero.
Sono le tre del mattino dell’ultimo Sabato di Settembre, quando a casa di Scordato, in camera da letto, sul suo comodino, il cellulare comincia a vibrare suonando la cavalcata delle valchirie.
“Amore, quando ti decidi a cambiare quella benedetta suoneria?” borbotta la moglie dopo aver smesso di russare.
Lui la ignora e dice: “Sarà la figlia del Cavalier Pistocchi, quello di novantadue anni, che ogni tanto, di notte, prova a impiccarsi al lampadario, che poi gli cade in testa e gli brucia i capelli. Che rompicoglioni”.
Poi si mette a sedere e afferra il telefonino: ”Pronto, Scordato”.
“Pronto, dottore?”
“Sì?”
“Sì, no, cioè… Sono Clara.”
“Uh? Ah, ciao Clara. Che succede?”
“No, cioè, perché… insomma… Lete…”.
“Lete? Che è successo?”
“No, perché, cioè… può venire qua?”
“Qua dove?”
“Qua, al Millennium”.
“Ma che avete fatto?”
“No, è che Lete, sì, insomma, ha collassato”.
“Cosa? Arrivo”.
Sono le tre e venti quando un capannello di ragazzi davanti all’ingresso del Millennium si disperde spaventato dall’arrivo della Ritmo a tutta velocità. Scordato si ferma davanti all’ingresso e apre la portiera come un poliziotto in un telefilm americano anni settanta, urtando un ragazzo.
“Oh, tipo. Hai due palle da ping pong al posto degli occhi? Non mi hai visto?” gli urla quello.
Scordato lo ignora e si precipita al grande oblò, dove il buttafuori in tenuta da astronauta gli porge la drink card e gli augura una buona serata.
-”Cos’è questa?” chiede lui guardando quel cartoncino colorato.
-“E’ la drink card. Deve consumare per uscire”, risponde quello da dentro il casco.
Lui lo guarda irritato: “Asad, fammi passare, sono venuto a prendere mia figlia”.
-”Mi spiace, dottore, ma deve consumare”, risponde l’astronauta.
-”Come?”
-”Ho detto che deve consumare”, urla ancora quello, mentre il casco si appanna.
-”Ragazzo, mia figlia sta male e ricordati che tu lavori qui grazie al mio certificato di sana e robusta costituzione, nonostante il tuo menisco sputtanato”.
Quello riflette un momento, poi, non vedendo più nulla dal casco, se lo toglie e, sudato, si volta verso la cassiera, in attesa di un cenno; ma lei, avvolta nel suo vestitino di strass, è impegnata a flirtare con un ragazzo ubriaco e non lo nota nemmeno. Allora l’astronauta guarda Scordato, guarda l’oblò, come a cercare una risposta, poi guarda per terra, mentre il dottore lo fissa nervoso e gli dice: “Allora?”
Alla fine si guarda intorno, si riprende la drink card, gli fa cenno di passare e si rimette il casco.
Clara, che aspetta ai bordi della pista, mentre le casse pompano “My Sharona”, vede Scordato e gli fa cenno di seguirla.
Attraversano la pista, facendosi largo fra le facce illuminate dalla luce stroboscopica, e giungono al kalashnikov.
Scordato vede la figlia riversa sul bancone, le si avvicina e le solleva la testa. Estrae una torcia dalla tasca e le osserva gli occhi e il colorito. Poi, rivolto a Clara urla: “Cosa ha preso?”
Un quarto d’ora dopo, la Ritmo viaggia fra i cento tornanti della comunale da Vagli Sotto a Vagli Sopra, verso casa. Lete, sdraiata sul divano posteriore con gli occhi socchiusi, vede dal finestrino ai suoi piedi la sommità degli ulivi scorrere sulla strada, illuminati dalla luce della Luna. Sente il rumore dell’auto e tutte le buche; ciascuna di esse è una vertigine, un pensiero dannato, una parolaccia che si ferma sulle labbra per rispetto del genitore.
Sono le quattro, quando arrivano, e lui la prende in braccio e la porta in casa. Si muove lentamente lungo il corridoio, illuminato dalla luce che filtra da una finestra; entra nella sua camera e la adagia sul letto. Poi, uscendo, si volta indietro e intravede nella penombra un sorriso sul volto di lei; allora torna sui suoi passi, le si avvicina, le accarezza una guancia, la bacia sulla fronte e le prende una mano.
Lei si gira sul lato e con l’altra mano sembra cercare l’orsacchiotto con cui non dorme più da anni. Lui lo afferra dalla mensola, che sta a pochi centimetri dal comodino, e glielo porge. Lei lo stringe a sé e lui si chiede da quanto tempo non l’ha più fatta addormentare così, standole vicino, tenendole la mano, invece che salutarla tutte le sere davanti alla tivù, con un “buonanotte”, che chiude una giornata dopo l’altra in un silenzio pieno di cose da dirsi.
Lete apre gli occhi, che in un attimo diventano lucidi, e sussurra: “Mai più una cazzata del genere, Papà”.
Lui sorride e annuisce, senza sapere cosa dire. Poi guarda l’orologio, pensa che è l’ultimo sabato del mese e fra poco saranno le sei. La bacia ancora sulla fronte, si alza e va in camera da letto a cercare di dormire almeno un po’.
La radiosveglia gli dà il buongiorno con il primo notiziario del mattino: tre omicidi, la borsa di New York giù a picco e le reazioni dei politici.
Accende la luce e si mette a sedere sul letto, mentre nei suoi occhi appare l’immagine di Lete, riversa sul bancone del bar.
Mentre le notizie proseguono e la moglie borbotta, lui guarda la calzamaglia sul comò e le scarpe da ginnastica lì vicino, pronte.
Poi sorride e sussurra: “Mai più una cazzata del genere”.
“Come?” chiede la moglie.
La ignora, si sdraia, zittisce la sveglia, spegne la luce e si gira dall’altra parte a dormire.
Questo racconto è bellissimo, Gianni, compresa la scrittura superba! Bravo davvero
Questo racconto mi ha divertito davvero tanto.
Scordato è un personaggio davvero simpatico e originale e la trama è avvincente.
Bello!
Orsola
Che dire Gianni… Hai semplicemente creato un personaggio indimenticabile, improbabile, divertente e tenero. E poi la facilità con cui descrivi questa storia bizzarra, al limite del credibile… Penso che qui ci siano tutti i presupposti per una grande saga, tipo ” Le avventure del dottor Scordato”, che leggerei davvero molto volentieri. Complimenti!