Racconti nella Rete 2009 “Strego Streghino…” di Patrizio Pecchi (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Aveva sempre saputo, fin da ragazzo di poter fare cose che gli altri non potevano fare.
Sentiva i sussurri delle foglie quando si parlavano accarezzate dal vento o quando, timorose per un temporale in arrivo, si salutavano come se fosse l’ultima volta.
Sentiva i frutti del bosco che lo invitavano a raccoglierli perchè, già maturi, sarebbero inesorabilmente marciti e sprecati.
Sapeva tradurre il cinguettio degli uccelli, il canto delle rondini in volo e il richiamo delle poiane, alte nel cielo, che sembravano volerlo salutare. E quando candidamente raccontava agli amichetti quello che gli succedeva, loro si mettevano a ridere e lo canzonavano.
Questa situazione durò per qualche tempo; ogni volta che li incontrava cominciavano a cantare “Strego streghino sei solo uno sciocchino”. Bene decise che non avrebbe più, mai più detto niente ad anima viva. Sarebbe diventato, daquel momento, un suo segreto. E quando gli amici gli chiedevano, ghignando, se faceva ancora le cose, “se sentiva sempre le voci” rispondeva che aveva scherzato e cambiava discorso. E la cosa finì lì.
Ma lui andava sempre meno con loro e sempre più spesso nei boschi, sul monte, a passeggiare, a vedere, ad ascoltare i suoni ed i rumori, muovendosi come aveva visto fare dagli indiani dei film in televisione, senza far rumore,scivolando sui rami caduti per non romperli,passando sui cumuli di foglie secche quasi senza spezzarle e,soprattutto,aveva imparato a non parlare o cantare o fischiare di gioia per quella grandiosa sensazione di felice libertà che si vive solo così. Sua madre gli aveva regalato una tuta tutta macchiata di tanti colori; “mimetica” la chiamava e lui ne andava fiero.
Poteva sedersi sotto un albero e gli animali non lo avrebbero visto. Stava ore fermo nel bosco a guardare gli alberi, le foglie che,appena si alzava un alito di vento, cominciavano a chiaccherare fra loro; e così lui, pian piano, aveva cominciato a capire i loro discorsi. Se camminando, gli capitava di rompere accidentalmente un ramo di un albero, subito gli chiedeva scusa e lo accarezzava, percependo un fremito di risposta come a tranquillizarlo; in fondo non era poi un gran danno.
La pianta avrebbe in fretta suturato la ferita e tutto sarebbe stato dimenticato. Lo studio lo prendeva molto; voleva diventare un botanico, un geologo, qualcuno insomma che potesse dore alla gente ciò che la terra gli diceva. Nei momenti liberi, quando sentiva il bisogno di riprendere fiato, andava a sedersi vicino agli uomini che picchiavano i sassi per squadrarli e ottenerne pietre che poi servivano a costruire case. E aveva imparato a fare gli scalpelli temprandoli nelle fucina: “si dovevano portare al rosso ciliegia e si battevano sull’incudine fino a fargli assumere la forma voluta, poi si raffreddavano velocemente con acqua e olio e diventavano duri”, e il sasso era costretto a subire mutilazioni e lacerazioni. Si rese conto di essere stranamente attratto da tutto questo. Comiciò astare sempre più in mezzo agli scalpellini e sempremeno nei boschi; ogni tanto, sentendo uno strano impulso, un richiamo, si metteva la tuta e partiva alla ricerca dei vecchi rumori e dei suoni dei ricordi.
Passavano gli anni, i giorni erano sempre più corti vincolati dal lavoro e dalla famiglia che ormai si era costruito; aveva cercato di condurre i figli sul suo cammino, ad amare la natura in ogni sua manifestazione, ma iragazzi moderni, tutti con l’auto, non avevano tempo per queste cose; dovevano correre a conoscere, oggi, il loro domani e ancora più in là!
Ricominciò ad andare con assiduità a vedere boschi, su e giù per torrenti, toccando legni limati dalla corrente, sassi con impronte di rami e carbone. Niente poteva sfuggire al suo sguardo, saltava da un sasso all’altro, apriva i laghetti naturali e costruiva piccoli sbarramenti per farne altri, come faceva da ragazzino. Non era riuscito a diventare il traduttore simultaneo delle natura, ma aveva ricominciato a vivere per cercare le sensazioni e i colori che tanto lo avevano attirato. Sotto la guida del padre aveva cominciato a conoscere i funghi e ne aveva scoperto l’importanza nella natura; li raccoglieva tutti, quelli buoni naturalmente, senza badare alle classificazioni dei libri. Ogni fungo era prelibato se cucinato in un certo modo; non esistevano i più buoni e quelli senza sapore, tutti avevanp un posto privilegiato alla sua tavola.
Raccoglieva le more e gli altri frutti che la terra ci dà in quantità e, pian piano, tornava indietro nel suo tempo; viveva per questi momenti! Non perdeva l’occasione di rifare le stesse cose e risentire le stesse sensazioni di tanti anni passati.
Fu un giorno di agosto, un giorno speciale, limpido con un sole che splendeva senza ritegno, che decise di andare a raccogliere more per la solita marmellata che piaceva a tutti. Passò per lo stradello fin sotto la borgata e arrivò in mezzo al prato dove due enormi massi uscivano dalla terra contornati da rovi carichi di more grosse come noci. Bellissimo! Avrebbe riempito il secchio in poco tempo; cominciò a raccoglierle facendo attenzione a non pungersi con le spine, che sono tremende; un grappolo era particolarmente grosso, velocemente lo ripulì e si voltò per raggiungerne un altro ancora più carico. Ovviamente, tutto preso dalla dimensione di quei frutti che aveva visto, pensò che non valesse la pena di raccogliere gli altri, quelli più piccoli. Continuò così a spostarsi da un grappolo all’altro; solo naturalmente, considerando i più belli. E il secchio si riempiva velocemente. Per la gioia che lo prese, cominciò perfino a cantare, pian piano però per non disturbare il prato che sonnecchiava sotto il sole, la canzoncina del film….”i ciclamini sono some le ciliegie…”, avrebbero potuto scrivere la stessa canzone con le more come protagoniste e non sarebbe cambiato nulla. Mentre ripensava a quelle parole, gli venne in mente che Biancaneve raccoglie tutti i ciclamini enon solo i più belli; e allora ritornò indietro a raccogliere anche i frutti che aveva scartato perchè piccoli. Fu in quel momento che un fremito deciso percorse l’erba del prato. Fu in quel momento che nella sua mente riaffiorò la capacità di udire la voce della natura che gli parlava!
….E improvvisamente i fruscii deirami degli alberi, lo scalpiccio delle foglie secche sotto i piedi, che sentiv aquando andava in giro, ripresero a vivere nella sua mente nella loro reale essenza….erano “le voci”! Ne fu turbato e per qualche istante rimase come inebetito; quando si riprese, si accorse dell’attenzione che aveva riservato anche ai frutti più piccoli e si allontanò. Si era riaperta laporta datanti anni chiusa e ne fu spaventato; gli si erano riaperte le orecchie del cuore e il suo spirito era di nuovo libero.
Cominciava così una nuova esperienza, vecchia ma nuova, perchè mediata dall’eta diversa e dalla consapevolezza che, anche se gli uomini non lo sanno, tutto in natura ha voce.
Ogni volta che andava a cercare i frutti del bosco, stava ben attento a raccoglierli tutti grandi e piccoli ed i fruscii di approvazione continuarono. Furono questi eventi che lo convinsero a ricercare le sensazioni che aveva provato da bambino e,spinto anche da una forza misteriosa, volle ripercorrere la sua infanzia facendo tutto ciò che aveva imparato. E decise di cimentarsi a picchiare sassi, con l’intento però di creare qualcosa di più di una pietra angolare. Era interessato all’arte degli scalpellini d’altri tempi,cosciente che i mezzi che avevano erano decisamente meno tecnologici di ora e quindi dovevano essere dei veri artisti.
Aveva trovato e comperato atrezzi moderni: scalpelli grandi e piccoli con punte durissime e cominciò a lavorare. Il percorso durò qualche anno, dai lavori facili a cose sempre più difficili; picchiava e gli rimbombava in testa l’aneddoto che racconta Michelangelo”tirar fuori dal marmo ciò che è già dentro” e così si illudeva di fare.
Un giorno decise di cominciare a fare un’edicola grande, bella, del “700 tanto per essere chiaro! Avrebbe contenuto l’immagine della Madonna col bimbo in braccio. Avvisò a casa dove andava e si avviò; il bosco era pieno di pietre nuove, l’altr’anno non c’erano! Evidentemente durante l’inverno le pioggie avevano scavato la montagna. Passò da una pietra all’altra, mentre tutto il bosco, intuito il suo desiderio, si dava da fare per indicargli questa o quella pietra; lì la montagna aveva scaricato un’arenaria bellissima, grana un pò più grossa ma compatta senza vene ne infiltrazioni di cristallo. Allora abbandonò ogni titubanza e disse al bosco “devo trovare un sasso abbastanza grande che possa contenere la Madre di Dio e suo figlio, ma allo stesso tempo che si possa caricare in spalla e portarlo a casa”; detto questo si mise in silenzio ed ascoltò. Allora sentì come un bisbiglio e una voce sottile ma sicura disse: “io ho dentro tutto questo” si voltò e la vide, bella già quasi squadrata. Così a occhio poteva starci un’edicola grande a sufficienza per contenere l’immagine che aveva visto il giorno prima in quella chiesina di campagna.
Si sedette sulla pietra vicina e cominciò a scolpire con la mente la bella e cominciò a vedere dove colpirla e con quale scalpello; se fosse stato meglio il diamante per sgrossarla; ma no il diamante è troppo tecnologico, toglierebbe amore al risultato. E guardava, la girava, la rigirava e risentì il fremito delle foglie degli alberi che annuivano per approvare, sentì le vibrazioni delle altre pietre che si complimentavano con la loro sorella prescelta per un incarico così importante. E lui continuava ad accarezzarla, la toccava e le parlava; stette così molto tempo senza curarsi dell’apprensione dei familiari che non lo vedevano di ritorno.
Così questi decisero di chiedere adamici di andarlo a cercare. Lo trovarono dopo qualche tempo, ancora seduto lì, con le mani sulla pietra, gli occhi sorridenti persi nel suo passato; sul viso le lacrime, ormai asciugate, avevano riscritto, come in un diario, il ricordo di come, lui fin da ragazzo, poteva ascoltare le voci della natura!
………….”strego streghino, sei proprio uno sciocchino”……
Chissà perchè questo racconto è nella sezione “bambini”… Forse è più semplice pensare il rapporto con la natura come qualcosa legato all’infanzia, poichè è soprattutto un fatto di emozioni, di forti sentimenti e, nello stesso tempo, di sentimenti che definirei “abbandonati”, o “affidati” a qualcosa d’altro. Mi spiego. Una storia di degrado o assassinio o anche di generosa disponibilità verso i deboli suscita emozioni e non per questo si considera “per bambini”. Il tipo di sentimento che viene da un contatto con le cose in genere, con la natura ma anche con la quotidianità, è diverso: io personalmente mi sento come CONDOTTA PER MANO dalla natura, proprio come lo Streghino. Allora, non penso che questo sia un racconto SOLO per bambini. Dovremmo tutti noi aprire gli occhi, le orecchie, la pelle. Ed ecco la mia unica critica: posso farla, vero? Il termine “Streghino” mi sembra molto baby, quasi a sottolineare proprio questa relazione, spesso considerata esclusiva tra infanzia e natura e sentimenti gentili. Mi piace moltissimo, invece, questa idea che ognuno di noi è comunque solo di fronte ai boschi, alle cose, a sè.