Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “La signora Lucia” di Sonia Matteodo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

È di nuovo tornato l’inverno nella cittadina di T., a sud dell’Inghilterra, lasciando gli alberi spogli della propria linfa vitale. Tutto appare morto e perduto, mentre il silenzio avvolge il bosco al di là del paese.

La Grande Guerra è finita da poco ma il sapore amaro che ha lasciato dietro di sè impregna ancora l’aria. Ogni vittoria porta con sè una sconfitta. E la mia gente, che ha fatto del lavoro nei campi la propria fatica quotidiana, non è sicura di aver vinto davvero. L’unica certezza è che non riceveranno più quelle lettere dal fronte mentre le mani tremano di paura e gli occhi divorano ogni singola parola, aspettando chissà quale notizia, chissà quale perdita. La radio esalta l’orgoglio di un’intera nazione, loro ci vedono solo dolore.

Tu, Lucia, ci vedi solo dolore.

Mia moglie è uno di quei piccoli, poveri esseri che la guerra ha lasciato indietro, appesantendo la sua vecchiaia e rendendola ancora più cinica e sola di quanto già fosse di per sè. Di mattina ama alzarsi presto e recarsi al cimitero. A quell’ora c’è solo lei, insieme ai suoi ricordi. Nessun altro sulla strada. Nessuno che possa distrarla e riportarla alla realtà. Ricordo che da giovane non le era mai piaciuta quella stagione. Così cupa.

Sei sempre stata una sognatrice, allegra e piena di vita. E per questo ti amavo. L’inverno, il cielo grigio e la natura addormentata ti mettevano tristezza, mentre ora ti aiutano a pensare. Quanto sei cambiata. La vita ti ha cambiata.

Il paese alle sue spalle, con l’antico campanile e le case dai mattoni color ocra, si sta lentamente risvegliando dal torpore notturno e le voci di ragazzotti spensierati s’innalzano in un’eco verso il cielo grigio e nebbioso. Un usignolo canta al cielo la sua storia d’amore, mentre lei cammina adagio lungo la strada sterrata. Ormai sono anni che porta il bastone. È lo stesso che ho usato io per alcuni mesi prima di morire di cancro. Quella brutta bestia mi stava divorando, giorno dopo giorno. Poi una notizia, amara e nello stesso tempo liberatoria, mi risparmiò l’agonia del capezzale, stroncandomi con un colpo al cuore. Arrivò all’improvviso, come tutte le cose durante la guerra. Un giorno è così, il giorno dopo tutto è diverso.

Io e mia moglie non avevamo avuto figli. Quanto hai sofferto per questo? Tu mi amavi, lo sapevo. Lo sentivo con ogni parte del mio essere. Ma a volte questo non basta, vero Lucia? Non eravamo completi, dicevi. Per te, l’amore tra due persone non è fine a se stesso, non può finire qui, in una solitaria, egoistica e benevola compagnia. Deve sbocciare in qualcos’altro per avere un senso. Tu cerchi sempre il senso di tutte le cose. Devi andare a fondo di quello che vedi, che senti, non ti basta accettarlo così com’è. Non ce la fai proprio, sei fatta così.

A nostro nipote volemmo bene come fosse stato nostro, e fu così che Antonio divenne lo scopo della nostra vita. E anche ciò che ci allontanò per sempre. Colpito da un fuoco amico, c’era scritto. E leggendo quelle parole il mio cuore non resse.

Io non sono mai stato forte come te. Tu eri la mia roccia, e a te mi appoggiavo. Anche quando arrivò la notizia della guerra. Tu mi guardasti negli occhi. Dio se mi ricordo ancora quello sguardo. Nulla riusciva a scalfirne la fermezza. Affronteremo anche questo, avevi detto e mi avevi preso le mani, stringendole forte. E io ti credetti. La tua fede, semplice eppure così profonda, era la cosa che più ammiravo in te. Tu credevi in Dio. Eri certa che pur in mezzo alle brutture del mondo, non eravamo soli. E da sola invece ti lasciai io, ad affrontare un futuro ancora più incerto. In quegli anni così cupi, avevi sempre cercato di andare avanti, per te stessa ma soprattutto per me. Tu, che insieme alle altre donne del villaggio combattesti a testa alta la tua guerra quotidiana, fatta di rinunce e sacrifici, di viveri razionati e di paura. Eppure, quel giorno di dolore, anche tu deponesti le armi, sapendo che l’unica battaglia persa in partenza è quella con la morte. E ti sei arresa.

Ogni mattina mi viene a salutare alla stessa ora. Al cimitero accanto al bosco, un appuntamento d’amore con la sua gioventù e la vita che abbiamo trascorso insieme, per poi tornare alla nostra vecchia casa e alla solitudine del presente. L’alba sta per dare il benvenuto al nuovo giorno e attraverso la luce fioca il suo corpo traccia un’ombra lunga e deforme.

Arrivata nei pressi del cimitero, si ferma appoggiandosi al muro di cinta, un unico blocco di pietra slavata che il tempo ha sgretolato, al di là del quale il monumento ai caduti domina maestoso sulle tombe circostanti. Ora non si sentono nemmeno più gli uccelli cantare. Come se tutta quanta la natura si fosse avvolta in un sacrale silenzio, partecipe del dolore di questa povera creatura. Solo una folata di vento rompe il silenzio, facendo cadere dagli alberi le ultime foglie. Lucia non entra nel camposanto. Rimane lì fuori, con gli occhi stanchi fissi sulla terra brulla davanti a sè. Ieri è caduta la prima neve della stagione, segno che presto dovrà abbandonare queste lunghe passeggiate mattutine.

Guardi l’erba e i mucchi di neve che poco per volta si stanno sciogliendo, ma non li vedi, lo so. Curva su te stessa, il peso dei ricordi ti rende ancora più vecchia degli anni che hai in realtà.

Rimane così a pensare, immobile, un albero rinsecchito tra i tanti, senza badare al tempo che passa. La nebbia ora è scomparsa, regalando un cielo fresco e pulito.

Ti sei trascinata a stento fin qui per dirmi addio e adesso non hai la forza di entrare?

Ieri sera si è sentita male e ha dovuto chiamare il medico. È brutto diventare vecchi e non avere più le forze nemmeno per le piccole cose. Negli ultimi anni il suo unico desiderio è stato quello di salutarmi all’inizio del nuovo giorno, come abbiamo sempre fatto durante i quarant’anni del nostro matrimonio.

Questo sarà il tuo ultimo saluto. Il medico te lo ha imposto, dopo che il male ha colpito anche te, togliendoti lentamente le energie. E anche se per settimane hai rifiutato di obbedire, perseverando con forza in questo rito quotidiano, adesso è giunto il momento di accettare che la vita passa anche per te. Ma hai sempre odiato gli addii. Dicevi che il ricordo viene deformato e incupito dalla tristezza del lasciarsi. E tu preferivi conservare nel cuore solo immagini belle.

Ora, appoggiata a quel muretto, osserva il proprio passato e tutto le scorre davanti agli occhi come in un film, in un’alternarsi confuso di gioie e dolori.

Io che ti chiedo di sposarti. Io che ti bacio la fronte prima di addormentarmi. Io che ti prendo per mano e ti cammino accanto.

Nell’ultimo periodo, questi ricordi le hanno trapassato il cuore come una lama tagliente, martoriandola ogni giorno con la nostalgia. Ma ora qualcosa dentro di lei sta cambiando e un sorriso le attraversa il viso, donandole un aspetto più giovane.

Non ti accorgi, amore mio, che sono qui? Apri gli occhi e guarda oltre. Non cercarmi in quella tomba, non sono lì. Quelle sono solo fredde ossa. Io sono accanto a te. Sono rimasto sempre qui, facendo dei tuoi passi i miei. Abbandonati a me, ora sono io la tua roccia. In questo attimo è racchiuso il senso di tutte le cose, e lo vedresti anche tu, se solo ritrovassi la tua fede. Non sei sola. Presto ci abbracceremo di nuovo e questa volta sarà per sempre.

Un sorriso le illumina il volto, sentendosi avvolta da un profondo calore.

Lucia, non è un addio, il tuo, ma piuttosto un arrivederci.

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1 commento »

  1. Il racconto dell’amore è molto dolce. L’immagine di questa anziana donna al tramonto della sua vita, è molto fragile e forte al tempo stesso.
    Mi piace molto l’intervallarsi fra il racconto in terza persona e il dialogo dello spirito con la propria moglie!

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