Premio Racconti nella Rete 2016 “Il muro” di Massimo Renaldini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Ho costruito un muro di “chissenefrega”.
A dispetto di qualsiasi previsione, il muro regge perfettamente.
E serve davvero a tenere lontano il dolore (perché è chiaro che è questo il suo scopo, no?).
Il dolore e la paura.
Paura di soffrire.
Ancora.
Solo che poi, a un certo punto, questa barriera non riesce più a contenere tutto quello di cui “non-me-ne-frega-niente”.
Il muro non crolla, eh. È più come un Vajont dei sentimenti: qualcosa traballa e cade, in cima. E tutti quei “chissenefrega” vengono semplicemente scavalcati dalla realtà, che trascina ogni cosa con sé: frustrazione, solitudine, amore, paura, ansia, rancore, desiderio.
Insomma, è la semplice e banale vita che, più o meno all’improvviso, esonda un muro di paure represse e cementate.
E a quel punto i sentimenti non possono che scendere verso valle, dove c’è il cuore, che sente arrivare questo vento impetuoso di tempesta, ma che non può fare nulla per proteggersi o fuggire.
O forse in realtà non vuole.
Ma si può veramente scappare dalla vita?
Mi piacerebbe ostentare una glaciale sicurezza, eppure… nascondere, anzi, appiattire i sentimenti davvero non serve? È così sbagliato cercare di barattare la tristezza con l’apatia, per soffrire meno?
Per il cuore, l’indifferenza è come la televisione: eterna e piatta, serve a non capire, a spegnersi. Non fa male.
Certo non fa neanche bene.
Non fa nulla.
La tristezza invece è un velo pesante e quasi palpabile, omogeneo, terribile: ti scava, ti annichilisce, ti annienta.
Non si può combattere, si può solo subire.
Quindi forse un suo senso – per quanto assurdo – questo vallo ce l’ha: quello di livellare gioia e dolore.
Sì, è vero, li appiattisce verso il basso, in un nulla.
Un magnifico nulla.
Dove non c’è dolore.
Se non giochi, non puoi perdere.
E poi?
Poi si ricomincia da capo: una paura per volta, si rimette tutto a posto, in ordine, dietro a una nuova diga, più alta e più sicura. E che quindi ovviamente straborderà proprio come la precedente, con l’unica differenza che trascinerà con sé ancora più timori.
Tanto il cuore sarà sempre lì, pronto a soffrire come e più di prima.
E se anche non sarà pronto, sanguinerà comunque: è quello il suo ruolo.
Che poi tutte queste paure si riassumono in un’unica, banale considerazione: tu potresti essere perfetta, ai miei occhi. Forse per ora non lo sei – perché ti voglio tenere lontana, dove non posso neppure vederti o pensarti – ma mi rendo conto che potresti esserlo: perfettamente dolce, sensibile, intelligente, bella e fiera.
Io no: ai tuoi occhi non potrò mai esserlo.
Mai.
È questa la terribile e insanabile differenza.
È questa la separazione.
La sentenza.
La paura.
Io posso amarti, incondizionatamente, per sempre. E se non dovessi farlo, sarebbe mia la colpa. Tu invece non puoi amarmi. Non per sempre. Non me.
Ma forse è proprio questa la chiave: perché si ama qualcuno nonostante ciò che è, e non proprio per tutto quello che è? È possibile amare anche i difetti, le insicurezze, la bruttezza, le paure, i sogni (anche quelli irrealizzabili)?
Magari è davvero questo il fondamento della vita: vedere le debolezze – semplici e nude – e amarle per quello che sono, ossia parte di un tutto.
Ying e yang, annuirebbe un esperto di filosofie orientali.
Sì, lo so: non si tratta del rovescio di una medaglia, ma di capire che si tratta della stessa moneta. Non una faccia bella e una brutta, ma un unico viso, dove entrambi i volti coincidono sovrapposti.
Niente di nuovo, eppure questi pensieri di speranza mi fanno sognare, per un breve istante, come un bagliore di crepuscolo tra la notte e la notte: tu sei così speciale da riuscirci?
Io sono così speciale da meritarlo?
O piuttosto: ho qualcosa che merita di essere visto per com’è davvero?
E se – semplicemente – tu fossi magnifica e io no?
Mi sembra di cadere da sempre.
Non riesco a smuovere i macigni della paura, per rimettermi in gioco.
Troppo da rischiare, troppo da perdere.
Di nuovo.
E il mio cuore scuote il capo: “per carità, basta, abbi pietà di te!”
Tu e io, due mondi diversi.
Forse un orizzonte simile, ma con destini differenti.
O comunque separati.
Come il lupo e il falco.
Anzi no: come Quasimodo e Esmeralda.
Un amore a senso unico non può portare a niente di buono.
Peggio ancora: averne la conferma sarebbe straziante.
E quindi?
Facile, si ricomincia pazientemente con i mattoni e la calce, in una moderna, idiota, inespugnabile, ridicola Linea Maginot dei sentimenti.
Che forse cadrà al primo timido assalto, lo so.
Ma intanto io, nel dubbio, poso un altro mattone.
E se anche fosse sbagliato, chi se ne frega.
Scritto molto bene. Io ho la mia personale visione dei racconti, dove ci deve essere una storia, un’idea centrale forte, una trama. È la differenza tra un racconto e un romanzo. In quest’ultimo la storia, l’idea forte centrale possono mancare. In questa ottica qui manca la storia. Ok, l’idea del muro di chissenefrega è già qualcosa, ma non basta a fare di queste righe un racconto. È un viaggio nella psiche di un uomo, nei suoi sentimenti. Un viaggio piacevole e intenso.
Manca l’ intreccio. E’ vero. Mancano le caratterizzazioni dei personaggi. E’ vero. Anzi, i personaggi non ci sono proprio. Ma, in fondo, chissenefrega! Molto bella l’ analogia con il vajont, bello il ritmo che sale e che scende con il susseguirsi delle domande e dei forse come risposta. Un racconto possibilista. A me è piaciuto.
Mi sono sentita partecipe di questo monologo e quindi mi viene spontaneo rispondere alle domande. Gli direi di abbattere qualsiasi muro perché non si può scappare dalla vita, semplicemente perché non si può scappare da sé stessi. Meglio andare a vedere cosa c’è dietro, che stare fermi ad osservarlo.
Riflessivo!
Beh, curiosamente direi che concordo: in effetti credo sia l’unico racconto di questo genere, tra tutti quelli che ho scritto.
E, dato che non l’avevo mai fatto partecipare a nessun concorso, ero curioso di vederne l’effetto. Tutto qua. 😉
(ah, grazie per il commento) 🙂
Un incanto, mille personaggi e nessun personaggio, due persone, zero persone. Mai letta , in tempi moderni, una sintesi fra saggio e racconto. Mi è piaciuto molto.Ah se non fosse stato per quel “qualcuno” a metà strada del testo, avrei giurato che l’amore poteva riferirsi a tutto e non esclusivo verso una persona. Seducente. Bravo!
Non ci sono personaggi ma c’è uno sviluppo emotivo, un salire e scendere di decisioni da prendere fra l’arrendersi e il “chi se ne frega”.
Credo siano paure che abbiamo avuto tutti a periodi nella nostra vita e “I libri servono a capire e a capirsi, e a creare un universo comune anche in persone lontanissime.” mi sono permessa di citare la Tamaro che mi sembra abbia scritto una cosa che si adatta perfettamente a questo racconto.
A me piace molto
Ora però inserisco un pensiero personale che entra ben poco a che fare con lo stile del racconto: non si può vivere senza rischi, quella non è vita, è un sopravvivere, non è un partecipare ma è un osservare, un rimanere fuori e anestetizzati. Per ogni picco, c’è sempre il pericolo di un burrone proporzionale al picco su cui siamo stati appena lanciati, ma credo che ne valga sempre la pena, cos’è una vita senza emozioni?
Orsola