Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2010 “Il violinista in città” di Annamaria Trevale

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

L’uomo depose con amore il violino appena accordato nella vecchia custodia scura e sciupata, che richiuse accuratamente e andò a posare sulla sedia accanto alla porta d’ingresso, quindi tornò sui suoi passi per terminare di vestirsi.

La casa era immersa nel silenzio. Abitando in un edificio costruito in un cortile interno, la tranquillità era assicurata, tanto da poter dimenticare il flusso costante di traffico che si snodava sulla strada, situata a pochi metri di distanza dalle sue finestre, ma al di là di un fabbricato uguale a quello del suo alloggio.

Quando fu pronto, diede un ultimo sguardo alla propria immagine riflessa nello specchio: il cappotto grigio senza tempo, i pantaloni ben stirati, le scarpe appena un po’ logore ma accuratamente spazzolate e lucidate, il viso sbarbato e i capelli ravviati gli trasmettevano una sensazione di ordine e pulizia, molto dignitosa e confortante, la stessa che si percepiva nell’ambiente modesto, ma per nulla trascurato che lo circondava.

Rassicurato, l’uomo prese in mano la custodia del violino e aprì la porta d’ingresso per uscire, richiuse accuratamente la doppia serratura e scese con precauzione i due piani di scale, evitando alcuni gradini ammaccati in eterna attesa di una riparazione.

L’aria del mattino era frizzante, ma non sgradevole, pensò mentre attraversava il vasto cortile interno del gruppo di case popolari, sorridendo al solito gruppo di donnette ferme a chiacchierare accanto all’ingresso, coi sacchetti della spesa appoggiati per terra accanto ai piedi e alle caviglie perennemente gonfie, che lo salutarono come sempre con deferenza: “Buongiorno, professore!”

Buongiorno!”

Non era per nulla spiacevole apparire importante ai loro occhi, ed era anche per quello che ogni mattina usciva di buon passo con la sua custodia in mano per dirigersi verso le fermate dei mezzi pubblici, scegliendone una a caso secondo l’umore del momento, perché non avrebbe avuto importanza se il primo ad arrivare fosse stato l’autobus o il tram più vicino, oppure se per un giorno avesse voluto utilizzare la metropolitana seguendo tutto il percorso della linea verde fino al capolinea, o cambiando alla prima intersezione per passare sulla rossa o sulla gialla: ciò che contava era semplicemente l’allontanarsi di alcuni chilometri dalla sua abitazione per raggiungere un quartiere diverso, e soprattutto parecchio distante, dove avere la certezza di non incrociare nessun viso familiare.

Con passo misurato ed elastico, indifferente al frastuono del traffico, l’uomo camminò per due isolati fino a raggiungere la fermata di un tram, che nel suo lungo tragitto avrebbe attraversato buona parte della città, e quando il convoglio semivuoto si arrestò docilmente davanti a lui salì in fondo alla vettura, sistemandosi in un sedile accanto al finestrino.

Oltre il vetro poco pulito, case e strade sfilavano davanti ai suoi occhi attenti e incuriositi, che osservavano i continui mutamenti della metropoli: per quanto ci abitasse fin dalla nascita, non era così semplice riuscire a cogliere tutte le trasformazioni che si verificavano tanto rapidamente nell’aspetto urbano, fra vecchi edifici che scomparivano all’improvviso e nuove costruzioni che ne prendevano il posto, strade che venivano allargate, ristrette o alterate da deviazioni e rotatorie, per non parlare delle attività commerciali che sembravano in mutazione perpetua, tra negozi che venivano aperti o chiusi ad una velocità sorprendente e insegne sostituite nello spazio di una notte da altre più luminose, più colorate o dai nomi più stravaganti….

A volte tutto questo era di difficile comprensione per una persona della sua età, cresciuta in un ristretto reticolo di vie dove i bottegai avevano costituito una sorta di casta immutabile, sempre presenti dietro ai loro banconi dal mattino alla sera ogni giorno della settimana per tutta la vita, ed era assai raro assistere alla scomparsa del macellaio o dell’ortolano se non quando decidevano di ritirarsi dall’attività per vecchiaia.

Altri tempi, addirittura degli anni di guerra e dell’immediato dopoguerra…. Oggi era più saggio non pensarci, per non correre il rischio di sentirsi una sorta di brontosauro sopravvissuto in modo inspiegabile all’estinzione.

I passeggeri salivano e scendevano dal tram rimescolandosi continuamente, tanto che, quando la vettura ebbe oltrepassato il centro cittadino, il professore poté osservare che a bordo non era rimasta nessuna delle persone che avevano iniziato il viaggio con lui, proprio come si augurava che accadesse: d’ora in poi poteva scegliere con comodo a quale fermata scendere.

Gli piacque una grande piazza che ospitava delle aiuole alberate, una rotonda con alcuni giochi per i bambini e un supermercato sullo sfondo, garanzia di una certa animazione, perciò scese dal tram e mosse qualche passo sul marciapiede per sgranchirsi le gambe, perché la circolazione sanguigna ogni tanto iniziava a dargli qualche fastidio.

Era una bella giornata di fine inverno, soleggiata e non troppo fredda, più che indicata per trattenersi all’aperto per un po’ di tempo senza conseguenze negative per la salute.

Il professore percorse i vialetti che solcavano l’aiuola centrale della piazza, quindi si avvicinò alla zona prospiciente il supermercato e si fermò accanto ad una panchina vuota, dove posò con cura la custodia scura, che aprì e lasciò aperta sul piano della seduta, quindi prese in mano il violino e l’archetto che vi erano contenuti, li posizionò con tocco esperto e iniziò a suonare una musica allegra, trascinante, che si diffuse all’improvviso rompendo la quiete del giardino.

Sguardi sorpresi e incuriositi si alzarono dai clienti che uscivano dal supermercato, dai nonni e dalle mamme che sorvegliavano alcuni piccolini nella rotonda adibita a campo giochi, da qualche solitario che passeggiava col cane al guinzaglio: di suonatori ambulanti ormai era piena la città, tanto che nessuno prestava nemmeno più molta attenzione agli zingari che percorrevano i vagoni della metropolitana armati di strumenti di ogni genere, ma c’era qualcosa d’incongruente nella visione di quell’uomo anziano e vestito con sobrietà che suonava con evidente passione in mezzo al giardino.

La prima ragazza depose una moneta nella custodia del violino con un gesto esitante, come poco convinta di ciò che stesse facendo, ma il professore la ringraziò a voce alta, con un ampio sorriso ed un lieve inchino, senza smettere di suonare, così che altre persone presto la imitarono.

Qualche bambino abbandonò gli scivoli e le altalene per venire ad osservare il musicista da vicino, gli occhi spalancati a fissare i movimenti esperti delle mani che facevano volteggiare l’archetto e vibrare le corde del violino.

Una signora anziana, immobilizzata dagli anni e dalle malattie su di una sedia a rotelle, ordinò alla badante che l’accompagnava nella sua breve uscita mattutina di lasciarla a lungo ad ascoltare la musica, dopodiché lasciò nella custodia una banconota, sorda alle timide rimostranze della sua accompagnatrice.

Tu stai zitta e riportami a casa, erano anni che non ascoltavo un musicista vero, io che da giovane andavo sempre ai concerti!”

Il professore le dedicò un inchino profondo e un valzer viennese mentre la guardava allontanarsi, felice di averle procurato un momento di piacere, perché era sempre emozionante rendersi conto di come la sua musica potesse comunicare ancora qualcosa di positivo agli altri, come la vecchia signora gli aveva appena dimostrato.

Verso mezzogiorno ripose il violino e l’archetto nella custodia e risalì sul tram alla fermata in direzione contraria per tornare a casa: aveva suonato per poco più di un’ora, messo in tasca una manciata di monete che avrebbero costituito una piccola integrazione alla sua magra pensione, e in definitiva si era divertito.

Era poco dignitoso chiedere l’elemosina? Anche se si preoccupava di farlo ben lontano dal suo quartiere per non essere visto dai conoscenti abituali, il professore non si riteneva un mendicante, poiché suonava soprattutto per il piacere che provava ancora a farlo, per non dimenticare di aver insegnato musica tutta la vita e perché trovava più gradevole esibirsi così per qualche ora all’aria aperta piuttosto che guadagnare all’incirca la stessa cifra dando ripetizioni a studenti ignoranti e zucconi, come gli era stato talvolta suggerito.

Sì, forse poteva anche passare per matto, ma era un uomo rimasto solo al mondo, aveva ben poche esigenze e aveva smesso da molto tempo di preoccuparsi dei giudizi del prossimo, per godersi la libertà di vivere in pace i suoi ultimi anni di vita. Era bello pensare ai sorrisi e i ringraziamenti delle persone che si fermavano per strada ad ascoltarlo, e credere, forse con un pizzico di presunzione, di poter ancora regalare, con la musica che era sempre stata la sua ragione di vita, qualche attimo di piacere anche agli sconosciuti concittadini che il caso portava a transitare sulle sue stesse strade.

 

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6 commenti »

  1. Annamaria, ti ho letto con piacere. Spero che sarà un passaggio di testimone. Ci vuole un undiciparoliere anche nel gruppetto vincente del 2010! In bocca al lupo!
    abonvi

  2. si legge con gusto, piacere e un sorriso sul viso.
    complimenti.

  3. mi piace. E’ un scrittura leggera, che scorre bene, senza elementi ridondanti ma con una scelta attenta delle parole……..contuna così

  4. Delicato e con immagini belle,un pò favola un pò sogno.La passione per l’arte in genere che sia musica che sia scrittura o altro,ripaga sempre nella vita.Brava e auguri!Se vorrai leggermi mi farà piacere.”Le nozze in volo” e Come una gazza”.

  5. Bello, mi è piaciuto molto. Gli occhi del violinista erano i miei. Grazie!
    Se hai voglia di leggermi mi farà molto piacere. “L’uomo della vostra vita”.

  6. tenera e malinconica l’immagine di quest’uomo silenzioso che parla attraverso al musica. in bocca al lupo!
    Giovanna

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