Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2010 “Il mercato dei valori” di Enrico Cimmino

Categoria: Premio Racconti per Corti 2010

Siamo in una SIM (società intermediazione mobiliare).

I lavoratori entrando in ufficio sono impeccabili in giacca e cravatta d’ordinanza, pronti ad una frenetica mattinata di contrattazioni. Solo uno di loro, Antonio, mostra già all’aspetto segni di cedimento nervoso: cravatta allentata, niente giacca, capelli spettinati, barba sfatta.

La capa ufficio fa il rituale briefing ai sottoposti, e con marcata arroganza incalza subito sull’importanza della mattinata. Cattura l’attenzione e il silenzio di tutti, snocciola una lista di adempimenti da portare a termine, si lamenta di risultati attesi, e non conseguiti, “da parte di certe persone in particolare”.

Minaccia provvedimenti nei confronti di chi ha portato alla società risultati deludenti: c’è aria di licenziamento.

Tutti sembrano sapere a chi é indirizzata in particolare quella minaccia: gli sguardi dei lavoratori vergono in direzione di Antonio.

Nessuno sembra dispiacersi davvero per Antonio: si tratta di un ambiente dove la corsa al denaro e al massimo profitto è l’unica legge che vige in ufficio. Chi rallenta viene lasciato indietro e i caduti sono presto dimenticati.

Persone come Filippo, opportunisti senza scrupoli, considerano anzi il licenziamento di un collega come una maggiore opportunità per se stessi.

Grafici lampeggianti, centinaia di numeri e linee, matite nervosamente battute sulle scrivanie o tenute in bocca, maniche rimboccate, sudore dalla fronte, veloce ticchettare di tastiere e spostamenti di mouse, telefonate, occhi fissi davanti ai monitor, alcuni in apprensione, altri soddisfatti.

Tutti lavorano freneticamente: l’atmosfera è tesa ma vibrante di vita.

La canzone “Money” dei Pink Floyd scandisce con il tintinnio delle monete quest’attività dominata dall’arrivismo.

Tra gli impiegati un’indifferenza generale alla situazione di Antonio. Tutto continua come nulla fosse.

Solo Paolo, che lavora vicino ad Antonio ed é un buon amico, incoraggia Antonio cercando di rassicurarlo: “sarebbero dei folli a licenziare, la società ha bisogno di tutti, in un momento di crisi come questo”.

Antonio se ne sta fermo, abbattuto e rabbioso, mani tra i capelli e occhi fissi, lucidi, assenti, muovendo e cliccando ogni tanto sul mouse.

Antonio tiene sulla scrivania due o tre cornici d’argento con fotografie della sua famiglia. Tutto l’ufficio, capa compresa, sa che Antonio è stato lasciato da poche settimane dalla moglie per un altro uomo, che sta combattendo per ottenere l’affidamento delle adorate figlie, e che è schiacciato da bollette e conti da pagare.

La capa ufficio, Amanda, è vestita come la tipica donna manager in carriera con attillato tailleur e tacchi alti, capelli raccolti e occhiali alla moda; incede con fare deciso e con l’aria di una persona che si preoccupa moltissimo di sé e della propria carriera ma a cui nulla importa del resto del mondo.

Amanda si avvicina al tavolo di Antonio, osserva il suo monitor e gli fa capire che dovrà prendere dei provvedimenti nei suoi confronti: questa ennesima giornata “sbagliata” è la prova che lui non è più di nessuna utilità alla società.

Ciò detto se ne va nel suo ufficio a fare una telefonata. Le voci di un possibile ma ingiusto licenziamento di Antonio dilagano tra gli impiegati. Filippo si dichiara apertamente a favore di provvedimenti anche drastici in tempi di crisi.

Antonio fissa una foto della sua famiglia attonito e stanco, pervaso da un evidente senso di fallimento.

Passa qualche minuto. L’attività è come sempre frenetica, ed Antonio è sempre in un mondo tutto suo, tra paure e pensieri.

 

Amanda riceve un foglio dalla segretaria, lo infila sotto lo sguardo di tutti in una grande busta di color marrone, scrive un paio di righe, si alza e va a consegnare direttamente la busta all’impiegato.

Antonio lo intravede e comincia a fremere dall’ansia di quanto potrebbe accadergli.

 

La capa ufficio si avvicina alla scrivania di Antonio con aria per nulla turbata o solidale. Consegna la busta ad Antonio con un sorrisetto di auto-compiacimento, come dire: “se vogliamo che l’albero rimanga sano, questo va potato, ogni tanto”.

 

Antonio non potrebbe sentirsi più mortificato. La capa lo guarda negli occhi con lo sguardo di chi vuole sbatterti in faccia la propria posizione di supremazia, e aggiunge con finta compiacenza: “Le do un consiglio, per il suo prossimo posto di lavoro: non metta mai in discussione le scelte del suo capo”.

Antonio la fissa con uno sguardo omicida. Lo sguardo di chi sente di subire una grande ingiustizia da una persona indegna.

 

Detto ciò la capa si gira di spalle. Antonio tira fuori una piccola pistola che teneva nella giacca.

Pervaso di rabbia, in un attimo Antonio si alza con uno stridio di sedia che raschia sul pavimento, e salta convulso verso Amanda, spingendola contro la parete.

Tenendo l’arma ben puntata verso la capa, comincia il suo rabbioso monologo “ho dedicato tre anni della mia vita a questa società e pensi di chiudere così la partita!? Quando le cose vanno bene siamo tutti amici, una squadra! E ora che la barca affonda mi butti via come un cencio inutile?!”.

Carica l’arma. La punta alla tempia di lei e ad alta voce con tono straziato guardandola fissa negli occhi: “No, sono io che ti ho fatto fare i soldi, io ti ho fatta arrivare dove sei!!”

Amanda ha cambiato totalmente atteggiamento: ora è sconvolta, totalmente priva di sicurezza e arroganza, e sbiancata in volto: “La prego, non mi faccia del male… ho una famiglia anch’io”.

I colleghi sono pietrificati dalla scena.

Antonio punta ora la pistola in direzione di Filippo, il collega che da quando é arrivato in ufficio lo ha sempre deriso e screditato, fremendo e agitando la canna della pistola in quella direzione “E anche tu, stronzo!! Sempre dalla parte del più forte, vero?!”, urla ancora.

 

Con l’aria di chi non sa bene cosa fare, Antonio riporta lentamente la pistola carica in direzione del volto della capa ufficio.

 

In quello stesso istante squilla il telefono. Silenzio.

Antonio fa cenno all’amico Paolo di prendere la linea. Al telefono la figlia di Antonio. Con un filo di voce e uno sguardo carico di significato Paolo lo informa “è tua figlia, Antonio, che chiama da casa per salutarti … per l’amor di Dio, ti prego fai cessare questa follìa!!”

 

Dopo una pausa di silenzio prosegue con tono da amico “se non vuoi farlo per te fallo almeno per Giulia … ti scongiuro… si aggiusterà tutto, vedrai!”. Così dicendo Paolo appoggia delicatamente il ricevitore che aveva in mano, interrompendo la telefonata con la figlia di Antonio.

 

Antonio sembra tornare momentaneamente in sé, rivolge uno sguardo di compassione e disgusto ad Amanda, la capaufficio, e la strattona ancora allontanandola da sé.

Rimane un istante con lo sguardo fisso nel vuoto a riflettere, fa per alzare la mano che rege la pistola, ma poi si ferma.

Con la voce di chi ha preso una decisione, sussurra “… preferisco vivere”. Lascia cadere il braccio aprendo la mano. Cade a terra anche la pistola.

Con movimenti composti, lenti e dignitosi, si dirige lentamente verso la sedia cui è appesa la sua giacca, si riassesta il nodo della cravatta e nel silenzio più assoluto cammina in direzione della porta d’uscita.

Quando è ancora di spalle, sulla soglia della porta, si sente la voce dell’amico Paolo, da dietro, che nel frattempo si è piegato a raccogliere la pistola da terra. La voce esclama con un tono di sorpresa: “E’ una pistola giocattolo! Che figlio di puttana!”.

Antonio si ferma sulla soglia senza voltarsi, fa un sorriso, come gli facesse piacere che questo dettaglio sia stato scoperto, e poi riprende la sua strada. Richiude la porta dietro di sè.

 

Epilogo: In un altro ufficio, due piani più in alto, un alto dirigente prepara in una grande busta marrone una lettera di licenziamento destinata alla capufficio della nostra storia. Commenta in modo inequivocabile “Mi dispiace di doverla licenziare, era un’ottimo dirigente” scrive il nome di Amanda sulla busta e da ordine ad un impiegato: “La consegni al piano di sotto per favore”.

 

 

 

 

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5 commenti »

  1. […] Articolo Originale: Racconti nella Rete® » Premio Racconti per Corti 2010 » Premio … Articolo aggregato il 21 gennaio, 2010 alle 16:27 ed archiviato in Occhiali. Puoi seguire il […]

  2. Bravo! Ben scritto e, ahimè, di estrema attualità

  3. mi piace il finale, perchè non è per nulla scontato.
    complimenti e con l’occasione ti ringrazio per quelli che hai fatto a me

  4. Buon ritmo, tra i più “sceneggiati” che ho letto. Imprecisioni lessicali ed altro qua e là:
    -“gli sguardi dei lavoratori vergono in direzione di Antonio” vergono?
    -“e da ordine ad un impiegato” dà!
    -“capa” bruttino

  5. Sì, è una trama ben strutturata e che permette l’anteprima perfetta di immagini nitide. Non c’è che dire, funziona nonostante una certa lunghezza espositiva. Mi è dispiaciuto trovarci, però, delle “angolazioni” e delle sensazioni già vissute in più di qualche film.
    Buona gara, in bocca al lupo.
    “La scatola di cartone” la puoi aprire qui di seguito se hai qualche minuto prezioso a disposizione:
    http://www.raccontinellarete.it/?p=4010

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