Premio Racconti nella Rete 2016 “Consecutio Temporum” di Alessandro Perrella
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Le porte si chiusero e in un battito di ciglia pensò come avesse fatto a non notare prima quanto il suo sorriso fosse rasserenante.
Si era sempre detto che non erano le persone a farsi notare ma gli occhi di chi le guarda a notarle e a farlo nel momento giusto, quando pronte a percepire.
Forse il momento era arrivato e la capacità percettiva di prima era svanita alla luce di una nuova sensazione.
La vita era assurdamente stressante adesso.
Separazioni, perdite improvvise, il lavoro che non andava come avrebbe voluto.
Tuttavia da tempo e con tenacia manteneva la direzione, solo che improvvisamente si era chiesto quale fosse la meta del viaggio che andava lungo quella direzione.
Le perdite improvvise a volte hanno un effetto dirompente sulla mente, illuminando luoghi dentro e fuori che prima erano invisibili o oscuri.
S’interrogava spesso su queste cose.
Anche quando era preso da mille doveri del suo lavoro, una parte della sua mente lavorava sui pensieri essenziali, quelli che tutti fanno ma che spesso dimenticano spazzati via da una notte di sonno.
Il sonno, da quanto non ne faceva uno decente, uno ristoratore e capace di fornirgli la sua ricarica, senza dover attingere al suo Qi, che ormai si stava consumando..
Le porte si aprono e poi di nuovo si chiudono in una manciata di secondi, il tempo per lasciar entrare o uscire qualcuno dalla scena.
Era singolare la velocità e la frammentarietà di un viaggio e dei protagonisti che si alternano in esso…gli sembrava ora di essere spettatore di quel che accadeva piuttosto che protagonista.
Il telefono vibrò nella sua tasca, incredibile come questo riuscisse ad interrompere sempre nel momento meno opportuno, cercò di ignorarlo.
Tornò a vibrare quasi a voler prepotentemente richiamare l’attenzione del suo possessore.
Con un gesto rapido ma delicato portò all’attenzione degli occhi il suo telefono ed il messaggio che veicolava, per lui ora ricco di superficiali e vuote parole anche se profonde per chi aveva una prospettiva diversa dalla sua.
Altri si affollavano nel viaggio e poi sparivano…
Le porte si aprivano adesso di continuo e si richiudevano allo stesso tempo.
La velocità era la stessa ed erano le persone che entravano o uscivano a doversi adattare a queste, mai il contrario.
Esattamente come doveva essere così andava.
Di nuovo prepotentemente il suo telefono tornò a vibrare.
Pensava che di fatto oggi, chiunque può raggiungerti sempre in qualunque momento del tuo quotidiano.
Ancora una volta prese il telefono con destrezza e ne lesse il messaggio che gli portava.
Stavolta un mittente con una semplice richiesta che lui ed il suo lavoro avrebbero dovuto esaudire appena possibile.
Aveva sempre odiato i rumori per questo usava la vibrazione, più discreta e non sempre percepibile.
O meglio lui credeva che fossero percepibili solo quelle vibrazioni che contavano.
Ovvero, quando chi volesse mettersi in contatto con lui, lo fosse veramente anche a livello empatico.
In verità spesso accadeva così ma altrettanto spesso semplicemente che non sentisse il telefono mentre la vita era in movimento.
Ora era fermo e quindi ogni vibrazione che arrivava era chiaramente percepibile, udibile dal suo corpo.
Il viaggio continuava con la stessa velocità del pensiero che ritornava sulle perdite, i nuovi eventi ed il lavoro, in un intreccio narrativo del più complicato dei romanzi di Murakami, il quale ben rappresentava con la sua parola scritta la stessa complessità del suo antico paese, il Giappone.
Da lì fu subitaneo il salto indietro nel tempo con lo sguardo al futuro.
Da quanto mancava in Giappone?
Solo due anni, ma a lui sembravano un eternità.
I tempi erano cambiati, non c’era più la libertà di poter fare tutto come prima.
Adesso il lavoro e mille altri problemi sembravano non dargli tregua e quindi rendere impossibile la pianificazione di un tale viaggio, in realtà la pianificazione di una qualsiasi cosa.
Pensieri disordinati, un po’ come le parole che scritte velocemente sullo schermo di un computer tramite la tastiera, sembravano dislessiche e sostituendosi erroneamente tra di loro senza avere in apparenza il giusto significato. Tuttavia, in realtà, quasi come in un enigma cifrato degno di Turing avevano senso per chi sapesse leggerle e pertanto essenzialmente non disordinate.
Le porte ancora si aprirono e si richiusero e qualcuno uscendo stavolta venne travolto da queste.
In effetti la vita se non sei veloce nel afferrare quello che ti offre, via d’ingresso o uscita che sia, può travolgerti e sballottarti a destra e manca…
Il suo viaggio era quasi al termine, il pensiero tornò di nuovo all’inizio di questo.
Aveva ancor tanta voglia di vedere quel suo sorriso capace di illuminare tutto.
Le porte di nuovo si aprirono, il telefono vibrò ma stavolta non vi fece caso più di tanto…si stava muovendo, concentrato sul suo momento in modo del tutto naturale, stava uscendo.
L’ascensore aveva terminato il suo viaggio, era al suo piano, non uno specifico, il suo piano ed in lontananza, essendo stato già visto, a sua volta intravedeva.
Era felice del viaggio, delle sue fermate e dei pensieri fatti, ma ancor di più di incrociare quello sguardo e vedere il suo sorriso…l’attesa era valsa.
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Attratta dal titolo,perché lungamente studiata, provo a riordinare le tue parole secondo la mia chiave di lettura. Il viaggio imprevedibile dentro un ascensore, come metafora della vita e la necessità di una “correlazione dei tempi” per riordinare la stessa.
Complimenti!
… avevano senso per chi sapesse leggerle e pertanto essenzialmente non disordinate…
Tra le virgolette del primo commento avevo citato queste parole.
Grazie, felice che il racconto sia riuscito a cogliere nel segno…che come hai giustamente notato è una metafora.
Grazie ancora
Il tuo racconto è molto… cerebrale, bisogna essere un po’ esperti per fare chiarezza… Usi frasi brevi per dire cose importanti, ( esattamente come doveva essere così andava, i tempi erano cambiati, non c’era più la libertà di fare tutto come prima…) filosofeggi un po’ in qua e in là, rendendo la ( mia ) lettura un po’ faticosa, tantoché arrivata in fondo ho dovuto rileggere il brano ( ma questo è un mio limite ), per cercarci una conclusione. Probabilmente, come dice Barbara, io non so leggere queste cose, di conseguenza mi risultano essenzialmente disordinate…
Complimenti per il racconto. Sembra di rivivere le sensazioni del protagonista, di immedesimarsi.