Premio Racconti nella Rete 2016 “Le casine” di Diana Salvadori
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Concentrata, penso al lavoro, una giornata disarmante. Metto la freccia a sinistra, guardo nello specchietto, una lancia mi supera, poi subito dopo, m’inserisco.
Il carico è lungo, con la scritta “trasporto eccezionale”. Velocità media di carreggiata 130, accelero per superarlo, l’occhio mi cade subito lì, in modo distratto ma colpito da qualcosa.
La faccia rivolta alla strada, riconosco un materiale plastico color crema, due assi sporgenti rosse, due ante verdi. Piccole case prefabbricate, la mia vita che passa accanto a loro, la loro vita tutta in divenire.
Le casine viaggiano da Nord a Sud Italia, lì, accatastate sul carico, eccezionali, per l’uso cui saranno destinate. La fabbrica ha laminato la materia prima, dato la forma, assemblato i pezzi, ora lì, assieme, nel loro primo viaggio, hanno un comune destino.
“Non ci sono stati terremoti recenti, forse qualcosa da sostituire all’Aquila” ho pensato.
Un attimo, non ho resistito: il mio cuore le ha seguite, una pura follia.
Superata l’uscita Arezzo, azzerata la serata, ho proseguito, cercando quale fosse il mio carico di vita, la mia eccezionalità.
Ho spento i cellulari, messo su la musica gitana, le casine davanti a me, rassicuranti, sul camion, il mio futuro da scovare.
Abbiamo proseguito per un bel po’ assieme sino al mare. Il cartello imbarchi, mi sono messa in fila, ho spento la macchina. L’aria fresca della sera mi ha accolta fuori.
Mi sono avvicinata al camion, ormai familiare, dopo ore di viaggio.
L’uomo, basso e riccio, mi ha squadrata con diffidenza. Ho chiesto: “ Buonasera, mi scusi, per dove sono i traghetti?”. Non so in quale lingua, un po’ scocciato, un po’ assonnato, mi ha risposto: “Verso Grecia”.
Mi sono avviata verso la biglietteria, chiedendo: “Un’andata, … sì, solo andata”.
Odore di carburante e ferro, rumori freddi di metallo, urla secche e decise. Ho guardato il tramonto dal ponte più alto, il camionista seduto su una panchina con una birra in mano, il cappello di lana per il vento.
Io vestita troppo leggera, mi sono avvolta nel plaid dell’auto, quello rosso dei miei cani, steso sul sedile posteriore.
Ho dormito sulle poltrone, raggomitolata, il camionista ha russato tutta la notte, mi ha fatto compagnia.
All’alba, la nave ha iniziato a rombare i motori, agitare gli ormeggi: il molo ormai in vista.
Su stradine strette, sterrate, abbiamo proseguito il viaggio, le casine sempre salde sul camion, solo un po’ più impolverate.
Da lontano li ho visti, tutti in fila, ad aspettare, zaini in spalla, tende, bambini per mano, tazze di ferro per bere.
Il camionista è sceso, ha mostrato i fogli a un uomo, iniziato a scaricare le nostre casine, con l’aiuto di altri due.
Io ho domandato allo stesso uomo, lui mi ha fatto cenno di no, ho insistito, mostrato i miei documenti. Mi ha spintonato in una tenda, dicendo a gesti che ero matta.
La donna e l’uomo, in lingua inglese, mi hanno detto: “Welcome, we need you here”. “Thank you”, ho sorriso, in silenzio.
Ho riacceso il cellulare, mandato un sms: “Sto bene, ti chiamo presto, normale giornata di lavoro in trasferta, ricordati la pappa per i cani”.
“Eccomi, finalmente, arrivata a casa”, ho pensato, stringendo il mio plaid rosso, nella tenda assegnata.
Le casine si sono addormentate lì a fianco, sistemate lungo il filo spinato, pronte per essere assegnate al loro nuovo destino.
Che bel racconto! Mi è proprio piacito molto… originale, non scontato, con un finale aperto e ottimistico, perché sembra che la tua protagonista abbia trovato qualcosa, che stia finalmente bene. Brava!
Che bello Diana! La tua creatività delinea in poche battute persone e vicende umane anche dolorose; le ‘casine’ prefabbricate sono una presenza solida tanto quanto la determinazione della protagonista a seguirne la destinazione e, forse, a condividere il futuro di persone più sfortunate. Il loro sonno, accanto al filo spinato è una piccola promessa per un futuro migliore. Scrivi bene, e questo racconto arriva proprio dove, credo, tu volevi che arrivasse: al cuore.
cara Diana, veramente originale! e da fare, seguire una farfalla, una nuvola, una casina, per galleggiare sulle onde della vita, senza affannarsi a nuotare ma lasciandosi trasportare. terapeutico, direi. grazie