Racconti nella Rete 2016 “Laurea ad honorem” di Donatella Mascia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Arrivo
Il cuore di Sebastiano, Seba per gli amici, batte all’impazzata, se lo sente che urta contro il petto, mentre le pulsazioni gli scuotono le tempie. Eccola la città, a prendere forma e contorni, la sua immagine apparire e sparire ad ogni virata. L’aereo compie la manovra di avvicinamento: si ode il gracchiare del carrello che si abbassa; il mare sotto, a perpendicolo, emana una luce accecante. Genova, Genova la Superba, almeno questo gli era stato insegnato fino dalla prima elementare. Seba sente contro la fronte la superficie fredda dell’oblò mentre cerca di allungare lo sguardo. Il monte di Portofino, Santa Margherita, Camogli, Bogliasco, Nervi, Corso Italia che si snoda lungo la costa! Da quell’altezza non si colgono grandi mutamenti.
-Sono trent’anni sa! Trent’anni che manco dalla mia città. – esclama rivolto al suo compagno di viaggio. Lui gli risponde con un lieve cenno del capo e un sorrisino di circostanza. Inutile insistere! Che glie ne importa a quello lì, mai visto né conosciuto prima, che glie ne può importare se lui manca o non manca?
Ventisette aprile millenovecentoquarantacinque, la sua non fu certo una partenza con la fanfara! Un vero miracolo avere salvato la pellaccia! Merito di Padre Luca, di Padre Luca e di Gemma! Le bande dei partigiani scorrazzavano per tutta la città a dargli la caccia, a lui e agli altri camerati. Li scovavano uno ad uno e li spazzavano via con una raffica, senza tanti complimenti.
No, non avrebbe fatto mica la parte del vigliacco! Lo venissero a prendere, gli avrebbe fatto vedere come muore un fascista, se la sarebbe venduta cara la pelle lui!
Già, ma intanto se ne stava nascosto in quel seminterrato, solo come un cane, senza sapere che pesci pigliare. Poi era arrivata la Gemma; era tutta scarmigliata e la voce le tremava. Aveva ai piedi le scarpe a fiori, quelle con la suola di corda.
– Vieni con me! – aveva detto. Lui l’aveva seguita senza fare domande, tanto che altro poteva fare?
Avevano camminato nell’oscurità, avevano strisciato lungo i muri, le orecchie tese ad ogni rumore, sapevano che ogni suono avrebbe potuto essere l’ultimo. Alla fine si erano infilati dentro la sacrestia, passando dall’ingresso posteriore.
Una volta lì, per un camminamento illuminato da qualche cero, erano entrati dentro la chiesa; il parroco li stava aspettando.
-Finalmente! Siete in ritardo! – aveva detto: -gli altri sono già andati. La nave salpa tra un’ora, un’ora soltanto. Presto, indossa questo!-
Gli aveva messo tra le mani un abito talare, con tutti i bottoncini attaccati l’uno all’altro.
-Ma io mica posso abbandonare i camerati! – aveva risposto Seba con voce indignata.
-Senti ragazzo, quanti anni hai? –
-Ventuno-
-Allora sappi che quelli più vecchi di te a quest’ora sono già sulla nave per l’Argentina. E gli altri, quelli che non sono partiti, a quest’ora saranno tutti morti. Non vorrai mica fare la guerra da solo! Avanti, vestiti, che non c’è un minuto da perdere. Diglielo anche tu Gemma. –
-Avanti Seba, dai retta a Padre Luca! – Il suono della sua voce era quasi meccanico, costretto per non tradire l’emozione. Doveva obbligarlo a partire, ad andare oltreoceano. Solo così forse il suo Seba si sarebbe potuto salvare. Doveva, in una sola notte, in poche ore, in una manciata di minuti, infrangere tutti i suoi sogni e spingere Seba lontano, verso nuovi destini…senza di lei.
Lui era rimasto lì, con la veste nera tra le mani, esitante. Si stava giocando il suo onore!
-Dai, avanti! – aveva ribadito Gemma con tono più accorato.
Seba aveva cominciato ad armeggiare con i bottoni e le asole.
-Ma non così! – era esploso Padre Luca con esasperazione. -Fallo passare dalla testa! –
Poi, come parlando a se stesso, aveva aggiunto: -La nave parte e lui sta lì con i bottoncini! –
Alla fine la porta della sagrestia aveva emesso un cigolio e i tre erano sgusciati fuori.
-No, tu Gemma no! Tornatene a casa! E’ più sicuro.-
Si erano incamminati, Padre Luca davanti, lui in coda. Si era voltato indietro due o tre volte, fino a che non avevano girato l’angolo.
Gemma era un’ombra nera, immobile; solo la mano sembrava avere un piccolo movimento, forse un saluto, forse un’illusione ottica!
Quella era stata l’ultima volta che l’aveva vista.
Una voce artefatta risveglia Seba dai suoi pensieri: Signori e signore, il comandante informa che stiamo atterrando a Genova. Il tempo è buono, la temperatura al suolo è di diciotto gradi. Nel ringraziarvi per avere usato i nostri servizi vi ricordiamo….
E ora? Si chiede Seba. Ora che faccio? Che idea balzana accettare! Laurea ad honorem a me! Quei diavolo di professori! Un giorno si sono svegliati tutti assieme e hanno avuto l’idea: perché non diamo la laurea ad honorem a Sebastiano Ivaldi? Già, perché no? Vero! Che idea! Ma lo sai che anche io avevo pensato la stessa cosa? Nessuno che abbia detto di no.
Perché proprio a me poi! Fra tanti italiani emigrati in Argentina, a bizzeffe ce ne sono! Perché proprio a me?
Ah, avesse detto subito di no! Ah, non ci fosse mai salito su quell’aereo! Ora se ne starebbe seduto comodamente a casa sua, nel suo giardino, spaparanzato sotto la veranda, a guardare le barche passare sul fiume Tigre e a respirare il profumo della jacaranda.
Ma come avrebbe potuto dire di no alla sua Gemma? Per trent’anni se la era portata stretta nel cuore, per trent’anni aveva sperato in suo scritto, per trent’anni era rimasto in trepidante attesa! Gemma, amore mio, come avrei potuto dirti di no?
Benvenuto ingegnere
Seguendo il flusso di persone Seba si ritrova nell’atrio dell’aeroporto: la valigia in una mano e la cartella nell’altra, si guarda attorno disorientato. Che razza di aeroporto è questo? Si chiede mentre osserva le misere strutture prefabbricate che tanto gli ricordano le baracche di cantiere.
Un giovane in jeans sta appoggiato al parapetto divisorio, tiene ben visibile tra le mani un cartello su cui sta scritto a grandi lettere: Ing. Sebastiano Ivaldi. Al suo sopraggiungere il ragazzo alza ancora di più il cartello. Poi gli si fa incontro.
-Ingegner Ivaldi? –
-Ivaldi sono io, ma non sono ingegnere. –
-Mi permetta – dice il giovane tendendogli la mano, – Il mio nome è Iacopo Martini, sono stato incaricato dal Prof. Valente di condurla al suo albergo. Prego, se vuole seguirmi! Dia pure a me il bagaglio. –
Seba si schermisce ma il giovane prende dalla sua mano la valigia con decisione e gli si mette a fianco.
-Ha fatto buon viaggio? – chiede mentre si avviano verso l’uscita.
-Viaggio lungo! Sono partito ventitre ore fa, almeno credo, perché con i fusi orari ci si confonde. Comunque con una doccia sarò come nuovo. – risponde Seba sorridendo.
Salgono sul sedile posteriore di una Fiat centotrenta argentata che riluce come un brillante. L’autista si toglie il cappello per salutare, richiude la portiera e si mette al volante.
Seba prova improvvisamente una stanchezza mortale, la testa gli gira.
Quando l’auto imbocca la sopraelevata Iacopo si sente in dovere di commentare:
– Questa è la sopraelevata! Bella eh! L’ha progettata il mio professore preferito, il professor Luciano Mascia. –
Seba si guarda intorno incantato: da un lato il fronte del centro storico, tra le alte case lo svettare di cupole, campanili, torri merlate; dall’altro il porto, con le navi affiancate l’una all’altra; di qua il palazzo del Principe, di là la stazione marittima, di qua la Commenda di Pre, di là la vecchia darsena. Tutti luoghi familiari, ma così diversi da come li ricordava! Quella notte, l’ultima notte, quando assieme a Padre Luca aveva percorso gli stretti vicoli fino a Caricamento, tutto pareva irrimediabilmente distrutto; cumuli di macerie e fuochi sparsi, ovunque polvere, polvere che entrava negli occhi, polvere che seccava la gola, polvere che asciugava la pelle fino a farla bruciare.
Ora invece tutto è di nuovo al suo posto, esattamente dove doveva stare, un miracolo! Seba alza lo sguardo verso le colline; quelle le ricordava verdi, coperte dalla macchia mediterranea. Ora una coltre di casermoni le riveste. Peccato!
Quando l’auto lascia la sopraelevata e imbocca Corso Italia un sole rosso come il fuoco tinge di rosa e arancio nuvole trasparenti, leggere come garze.
Corso Italia! Seba si rivede a passeggiare a fianco a Gemma, la sua mano tiene stretta quella di lei, sudata per l’emozione. E’ il dieci giugno millenovecentoquaranta, una giornata di sole. Stanno tornando dalla spiaggia, con l’asciugamani arrotolato sotto il braccio, quando vengono sopraffatti da una moltitudine di gente con bandiere e striscioni. Tutti cantano e inneggia, viva il Duce, viva il Duce! Siamo entrati in guerra, si urlano l’un l’altro come in una grande festa. Sempre tenendosi per mano lui e Gemma si lasciano trasportare dalla folla fino a Piazza della Vittoria. Squilli di trombe echeggiano e rimbombano dagli altoparlanti. Poi gli squilli tacciono e la voce del Duce risuona stentorea: “Combattenti di terra, di mare e dell’aria”; seguono grida di giubilo che percorrono come un’onda la grande piazza gremita e le strade tutto attorno; “l’ora segnata dal destino…” ancora grida di gioia…”l’ora delle decisioni irrevocabili…”.
Seba ricorda ancora le parole, le ricorda in disordine, in modo frammentario, forse certe neppure le aveva capite: Gran Bretagna e Francia democrazie plutocratiche e reazionarie, che significa? si era domandato. Attorno a loro le persone saltavano e gioivano, così anche lui e Gemma si erano messi a saltare, trascinati nell’esaltazione del motto “parola d’ordine una sola: vincere e vinceremo! “
Vedrai, aveva detto a Gemma, vedrai! Il popolo italiano correrà alle armi e dimostrerà la sua tenacia, il suo coraggio, il suo onore. Gemma lo aveva abbracciato forte e baciato sulla bocca.
-Ingegnere, siamo arrivati al Park Hotel! – annuncia Iacopo scuotendo Seba dai suoi pensieri. L’auto attraversa un grande portone e si inoltra in un parco ombreggiato; posto da ricchi, pensa Seba. Chi mai l’avrebbe detto che un giorno avrei passato la notte qui.
-Allora Ingegnere, la cerimonia è fissata per domani mattina alle undici. Penso che si vorrà riposare ora. Io sarò qui alle dieci e trenta, se per lei va bene. –
– Perfetto, grazie e a domani. –
Al bancone del ricevimento un distinto impiegato gli dà il benvenuto e gli porge un foglietto.
-Ingegner Ivaldi, hanno lasciato un messaggio per lei. –
Seba afferra il foglio con trepidazione. E’ il prof. Valente, si scusa per non averlo potuto ricevere e gli dà appuntamento per l’indomani. Seba, deluso, appallottola il messaggio e si rivolge all’impiegato:
-Avete un elenco telefonico per favore? –
-Prego ingegnere! –
Seba prende il voluminoso tomo, lo apre alla lettera gi. Trent’anni, come si fa a pensare di trovare il numero dopo trent’anni di silenzio? Guglieri… Antonino, Guglieri Cesare, Guglieri Diego….Guglieri Roberto… Infatti! Guglieri Gemma non esiste! Si sarà sposata, avrà cambiato nome! Supido! Come poteva pensare di trovarla sull’elenco telefonico!
Si avvia verso lo scalone sormontato dalle esili colonne, raggiunge la sua stanza, una grande camera con una finestra bifora affacciata sul mare. Si lascia ricadere sul letto soffice. Trent’anni non sono una bazzecola, si ripete!
Cerimonia
L’aula magna è superba con gli affreschi che ne ricoprono interamente le pareti, l’oro degli arabeschi incornicia i dipinti seicenteschi, maestose colonne binate si alternano ai grandi finestroni. In fondo alla sala gremita sono sistemati gli scranni. Un grande vociare rimbomba sull’alta volta, anch’essa ricca di nobili fregi e decori. Un repentino silenzio annuncia l’entrata solenne dei professori che, con incedere grave, si vanno a sistemare ai loro posti; indossano toga e tocco, vesti antiche che riportano indietro nei secoli.
Seguendo le istruzioni ricevute Seba si dirige verso una piccola pedana con leggio; uno scroscio di applausi accompagna i suoi passi.
La cerimonia ha inizio. Seba scruta la folla assiepata, gente seduta, gente in piedi. Dove sarà Gemma? Una dopo l’altra le personalità ringraziano, per venire a loro volta ringraziate. Gemma dove sarà?
Il Magnifico Rettore, le spalle avvolte nella mantella di emellino, dà inizio alla cerimonia; poi è la volta del Presidente del senato accademico, seguito dal Preside della Facoltà e dal direttore del dipartimento… Dove sarà Gemma?
Ora tocca a Seba parlare: che ha fatto lui in tutti questi anni? Lui, figlio di un pollivendolo. Ha cominciato dal niente, un diploma di geometra in tasca e un carretto rimediato per miracolo; non si è risparmiato fatica, giorno dopo giorno, notte dopo notte. La sua impresa di costruzioni è ora tra le più grandi dell’Argentina, porti, strade, gallerie… Ecco la Lectio magistralis…Dove sarà Gemma?
Un grande applauso chiude il suo intervento. Legge la motivazione il prof. Valente:
Sebastiano Ivaldi….per essersi distinto…per avere costruito…per avere realizzato, per …Ma Gemma dove sarà finita?
Suono di campanello
La villa è silenziosa, si ode solo il ritmico ticchettio dell’orologio, e in lontanza lo scoppiettio di qualche battello che risale il delta del Tigre. Un raggio invade la stanza, filtrato dai tendaggi di seta grezza, sfiora la cassettiera in legno naturale, sormontata da uno specchio dorato, si riflette sulla parete color crema.
Seba giace abbandonato sul grande letto di raso, gli occhi chiusi.
Improvvisamente, scosso dal suono ripetuto e insistente del campanello, si mette a sedere di scatto. I ricordi del sogno interrotto evaporano rapidi; Seba li agguanta, li porta indietro e cerca di ficcarseli nuovamente nella memoria. Ma certo! Genova! Stava volando su Genova. E poi? Ah ecco, la cerimonia! La sala piena di gente e lui che parlava, parlava… Che altro?
Il campanello strimpella ancora, con rinnovata energia.
Che ore sono? Si chiede Seba, Si alza, infila le infradito, si dirige con passo strascicato verso la porta e la apre, la mente ancora annebbiata.
– Signor Ivaldi, una lettera per lei. – Gli porge una busta leggera, bordata di rosso e di blu.
Seba prende la lettera, la soppesa, esamina i caratteri minuti dell’indirizzo. Poi osserva il timbro postale. Italia! Chi potrà mai essere? No, non il cugino Vittorio, quella non è la sua scrittura e poi Vittorio che scrive una lettera? Al massimo, ma proprio al massimo, i saluti su una cartolina. Una folata di Pampero porta con sé la frescura mattutina e gli strappa la busta dalle mani. Seba la insegue, la sta per afferrare, ma quella, dopo una finta e uno svolazzo, riprende a librarsi nell’aria, finché le foglie rossastre di un croton non la fanno prigioniera. Seba agguanta la lettera, deciso a non rischiare ancora, e si dirige deciso verso il portico. Si siede sul divanetto di vimini e guarda la busta, esitante. Deve solo girarla e vedere il mittente. No, non è ancora il momento; ha bisogno di riflettere. Davanti a lui il grande prato all’inglese declina dolcemente verso il fiume, luccicante dopo lo scrosciare della pioggia notturna. Tanta ne è venuta che l’odore è ancora nell’aria. Seba guarda lontano, ancora turbato dai sogni recenti: il volo, l’arrivo a Genova, la cerimonia…Tutto così vero, tutto così finto! Che stupido sogno! Stupido come tutti i sogni.
Alla fine rompe un lembo della busta ed estrae un foglio leggero, scritto fitto su di una sola facciata. L’occhio corre all’ultima riga, Gemma! La firma è di Gemma, perdio!
Caro Seba, caro Seba! Sono trascorsi molti anni, eh già, trenta e più, una vita, la nostra vita, le nostre vite, gli echi delle tue imprese hanno trasvolato l’oceano e ci hanno raggiunto, ci? Ci a chi? Poi, di quali imprese parli?Tu sei un uomo affermato, una celebrità, un esempio per tutti noi. Gemma, che dici? Padre Luca, ti ricordi di lui vero? Tu Gemma mi domandi se ricordo Padre Luca? Giorno dopo giorno, notte dopo notte ho rivissuto quella notte, quella stramaledetta notte mille volte e mille volte ancora. Qualche giorno fa Padre Luca mi ha contattata. Mi ha detto che ti vogliono dare un’onorificenza! A me un’onorificenza? Chi mi vorrebbe dare un’onorificenza? Una questione importante, una laurea ad honorem in ingegneria! Hanno deciso così perché sei un italiano che ha reso onore al paese. Paese? Una volta la si chiamava patria. Comunque io non ho reso niente a nessuno, ho soltanto lavorato, lavorato e basta, lavorato per dimenticare, lavorato per dominare la nostalgia, lavorato per impedire ai ricordi di riaffiorare, lavorato per non soffrire troppo. Mi hanno incaricato di portarti questa missiva, chiedono se saresti disposto a venire a Genova per ricevere l’onorificenza. Naturalmente ti riserverebbero la dovuta accoglienza! Genova, adorata mia città, Gemma, adorata mia Gemma! Quale sarà la tua accoglienza? Ma che dico? Forse sto ancora sognando! Torna Seba, ti prego torna! Come si fa a dirti di no Gemma, Gemma, Gemma…gemma, amore mio!
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Manovra di avvicinamento
Il cuore di Sebastiano, Seba per gli amici, batte all’impazzata, se lo sente che urta contro il petto, mentre le pulsazioni gli scuotono le tempie. Eccola la città, a prendere forma e contorni, la sua immagine apparire e sparire ad ogni virata. L’aereo compie la manovra di avvicinamento: si ode il gracchiare del carrello che si abbassa, il mare sotto, a perpendicolo, emana una luce accecante……………