Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Confine” di Mari Catricalà

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

A volte il confine è molto labile e si passa da una parte all’altra senza accorgersene. Pensavo che avrei dovuto almeno spegnere la luce prima di coricarmi perché, soprattutto nelle ultime settimane, la stanchezza vinceva facilmente su tutto, anche sulla mia insonnia che credevo ormai diventata cronica; invece, in quegli ultimi giorni, appena appoggiata la testa sul cuscino, le palpebre iniziavano a farsi pesanti e subito il buio mi inghiottiva. Non volevo addormentarmi con la luce accesa.

Avevo già pensato troppo, era insolito per quelle giornate e nemmeno i lievi colpi di pioggia sul vetro della finestra riuscivano a cullarmi come avrei sperato: in certe situazioni, pensavo, è proprio vero che si ha paura di pensare. Avevo provato a chiudere gli occhi e a rilassare i muscoli ma senza ottenere nulla, il sonno non voleva farmi visita. Riaperti gli occhi, avevo girato lo sguardo verso la finestra, il buio era totale e solo le gocce di pioggia rigavano il vetro di luce bianca.

Mi ero alzata sui gomiti ma ben presto avevo capito quella essere una posizione alquanto scomoda e mi ero messa a sedere, fissando per qualche minuto la sagoma dei miei piedi che risaltava da sotto le coperte, come fossero due piccole colline irregolari. Tutti mi avevano sempre detto che i miei piedi erano troppo piccoli e io avevo sempre ribattuto che, al contrario, essi si addicevano bene alla mia statura minuta. Mi ero alzata, scalza, indecisa sul da farsi, con la camicia da notte che da un anno a questa parte era diventata un po’ larga per il mio corpo e ora quasi rasentava il suolo. Dopo aver dato un rapido sguardo attorno alla stanza avevo deciso di sedermi sulla poltrona all’angolo, la stessa su cui spesso da piccola mi piaceva accoccolarmi e su cui, fino a qualche anno fa, amavo stare a leggere per ore. Ormai leggevo davvero poco. La pelle che rivestiva la poltrona era fredda e mi aveva percorso il corpo con un piccolo brivido: per nulla spiacevole, avevo pensato tra me e me. Da quella posizione era facile raggiungere l’interruttore della luce anche solo allungando il braccio e così avevo fatto.

Ora anche la mia stanza era piombata nell’oscurità, proprio come fuori, e il vetro rigato dalla pioggia ora appariva come una parete divisoria di luce fievole tra buio e buio. Qualcosa di quel bianco si rifletteva sul pavimento della stanza, ed io ora guardavo i piccoli ruscelli evanescenti creati dalle gocce che cadevano trasversali sulla lastra di vetro formarsi e, un attimo dopo, scomparire. Avevo intuito che quello era il momento giusto per oltrepassare il confine, il momento di serenità che tanto avevo cercato in questi mesi così travagliati. Avevo disteso le gambe e adagiato le braccia lungo i fianchi della poltrona. Un altro piccolo brivido e, finalmente, l’attesa.

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8 commenti »

  1. A primo impatto ti avrei chiesto perchè una brevità così intensa, ma nella fine tu citi l’attesa e quindi posso percepire una fine così immediata da trasmettere anche nel lettore quel senso di tempo sospeso in attesa di qualcosa di diverso, che arriva dentro sé.
    Non so se fosse questo il senso che volessi dare e quindi oltrepassare quel confine di cui tu parli, ma a me è arrivato così.
    L’unico appunto che ti posso fare è che non spieghi, o almeno io non riesco a capire, quale sia il passo prima di quel confine e cosa quindi caratterizza la tua paura, angoscia e incertezza. C’è tanta pioggia ma il perchè piovesse anche dentro di te non l’ho ancora capito fino infondo, ad ogni modo l’importante è che quel confine sia superato. Brava, complimenti!

  2. Bello ed intenso. In poche righe sei riuscita a dire molto, anche più di quello che credo di aver capito. Ha molti spunti riflessivi. Ben scritto .

  3. Anzitutto vorrei ringraziare entrambi per aver dedicato del tempo a leggere il mio breve racconto. Non ho mai fatto leggere nulla di mio a nessuno (escludendo qualche amico stretto) e sentire commenti da voci sconosciute mi ha fatta emozionare. Grazie davvero! Premetto che non ho capito come funzioni la sezione dei commenti, mi sarebbe piaciuto rispondere a ciascuno separatamente ma non mi è stato possibile.
    Per Marta: il “tempo sospeso” di cui parli è esattamente lo stesso a cui pensavo io mentre scrivevo, quell’attesa e confine, appunto, tra un momento della vita e un altro. La protagonista, come hai notato anche tu, è vissuta fino a quel momento in un periodo di angoscia e, perché no?, di paura; quale sia il motivo di questa angoscia, sono sincera, non lo so nemmeno io. Ho pensato che spesso una persona, in varie fasi della propria vita, percepisca una sorta di inquietudine che non per forza è effetto di una causa reale e concreta. Avevo in mente questo mentre scrivevo. E per quanto riguarda la pioggia ho voluto semplicemente associare l’angoscia ad un momento di isolamento della protagonista: secondo me la pioggia e i suoi rumori esprimono solitudine ed isolamento (non per forza con accezione negativa, anzi!), quelle condizioni necessarie alla protagonista per oltrepassare il confine interiore. Confine che sì, è stato superato con successo!
    Per Alessandro: effettivamente non è un racconto molto chiaro, non lo è nemmeno per me che l’ho scritto, ho vari punti su cui sono in dubbio per l’interpretazione ma fondamentalmente credo che non sia un racconto che abbia un’interpretazione univoca. Raramente i racconti ne hanno una e credo siano belli proprio per questo!
    Vi ringrazio di nuovo, se mai leggerete questo commento-risposta!

  4. Dunque, sono abbastanza d’accordo con quanto scritto da Marta, forse avresti dovuto spiegare le ragioni dello stato in cui si trova la protagonista del tuo racconto, certo qualche parola di più al riguardo non avrebbe guastato, anche se si trattava semplicemente di raccontare un certo mal di vivere, momentaneo e passeggero, di quelli che capitano un po’ a tutti prima o poi. Avrebbe contribuito a rendere il quadro complessivo più chiaro. L’atmosfera di attesa è molto ben resa, c’è un senso di inquietudine diffuso e un modo molto intimo e delicato di raccontare che devo dire mi piace molto. Brava. Se ti va passa pure da me (sempre se ti interessa il genere, il mio è un racconto per bambini: Eghus)

  5. L’inquietudine, quasi sempre non è chiara. Spesso è fugace, quindi breve come il tuo racconto.
    E quando finalmente puoi guardarla da lontano, arriva il bello! Brava!

  6. Grazie, Luigi, per aver letto il mio racconto, ricambierò sicuramente! Le ragioni dello stato di angoscia, purtroppo, non le conosco nemmeno io. Ho volutamente tralasciato di specificare qualsiasi causa, proprio perché non sapevo nemmeno io a cosa attribuire quel sentimento. Effettivamente potrebbe essere una mia mancanza, ma d’altra parte mi piace pensare all’indefinitezza dell’angoscia perché (come hai scritto anche tu) è un modo per renderla più “universale”. Ti ringrazio anche per aver apprezzato la forma del racconto, per me significa molto!

  7. Grazie, Barbara! Anche io, scrivendo, ho pensato proprio alla fugacità dell’inquietudine. E’ bello leggere i commenti e vedere che a qualcuno è arrivato il mio racconto e che quel qualcuno ha colto qualcosa del pensiero che ci ho racchiuso. Grazie di nuovo di cuore!

  8. Una notte agitata, un tormento persistente e profondo come un rumore cupo. Poi, è bastato un piccolo gesto, è bastato creare il buio nella stanza omologandolo a quello esterno che, d’improvviso, il buio di dentro si è rischiarato. Hai descritto molto bene l’inquietudine e l’ansia, stati d’animo a volte immotivati ma sempre dolorosi. Complimenti

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