Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Una pallottola in canna” di Sandra Carresi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Una mattina d’estate, la stagione che preferisco, calda e piena di sole.

Riesco a guidare con quest’ afa perché penso alle ferie vicine, al mare che mi piace tanto, ai tuffi, al profumo, alla sabbia, agli scogli, al cibo.

Una giornata di permesso di lavoro per andare a donare il sangue e invece…, il sangue non posso donarlo: hanno un tale caos in Ospedale che non trovano la mia cartella e devo tornare in altro giorno. Sono indispettita: non funziona nulla, ho un gran lavoro in ufficio, voglio lasciare tutto in ordine prima di andare in ferie…, non sopporto di perdere tempo. Ne approfitto, allora, per fare un controllo dal senologo, visto che sono vicina alla scadenza. Ho fortuna, c’è, nel pomeriggio: allora qualcosa funziona! Lo conosco, è un bravo medico, prendo un appuntamento per il pomeriggio alla due.

 

Mi sento male solo al pensiero di guidare la macchina con questo caldo, ma ormai ho deciso.

 

Tutti gli anni, da quando ho compiuto quarant’anni, faccio questi controlli. E’ da quando avevo diciotto anni che, puntualmente alla scadenza, accompagno mia madre al centro oncologico della mia città, perché è stata operata ben tre volte al seno: a quarantadue anni, poi dopo nove allo stesso seno, e poi ancora, dopo diciassette, ha avuto un intervento per lo stesso male all’altro seno.

 

Ho vissuto tutta la vita con l’angoscia di perderla, ma è sempre viva e combattiva; ho perso, invece  mio padre, ancora giovane, per un carcinoma allo stomaco che in tre mesi l’ha distrutto.

 

C’è una certa familiarità in casa mia verso questo tipo di male  ed io avevo promesso a me stessa, soprattutto dopo i quaranta anni, di imbracciare il fucile ed aspettarlo in strada. Non potendo evitare una sua possibile visita, lo potevo almeno battere sul tempo!

 

Erano proprio le due del pomeriggio del 15 luglio1999, quando completamente tranquilla salutavo il medico e mi sdraiavo sul lettino.

 

Vidi subito i suoi occhi azzurri incupirsi e un’espressione strana apparve sul suo volto. Il più dolcemente possibile, ma rattristato,  mi disse: “ C’è robaccia, va tolta subito”.

 

Non ho provato dolore, rabbia e smarrimento, come per mia madre, ma,  fra il tonto e l’aggressivo ho risposto: “ via… Dottore.., sarà una cisti|.”

 

“No Signora, vorrei sbagliarmi, ma non ho dubbi.”

  

Il volto più sconvolto credo fosse quello dell’infermiera…, poi una puntura dolorosa per il prelievo, una diagnosi veloce: “Carcinoma al seno destro, intervento chirurgico immediato”.

 

Sono una persona impulsiva, più sensitiva che riflessiva, ma improvvisamente il mio cervello si è messo a funzionare con una lucidità ed una organizzazione che non mi aspettavo.

 

Per mia madre ho pianto tanto: la prima volta a diciotto anni, una lama nel cuore al pensiero di perderla, una cappa di responsabilità troppo pesante nei confronti della casa, un fratello piccolo ed un padre ancora sconvolto da questo male per la perdita dei suoi genitori. La seconda, a ventisette anni, già donna con una casa ed una famiglia mia, la consapevolezza di quello che Lei avrebbe dovuto passare e di quanto sarebbe stata necessaria la mia vicinanza fisica e morale che mai sarebbe venuta meno; a quell’epoca c’era ancora mio padre, di conseguenza sia io che mio fratello ci potevamo appoggiare e confrontare con Lui. La terza è stata la più sconvolgente perché dopo diciassette anni non pensavo si ripresentasse…; io ero meno forte , non avevo più mio padre e oltre al dolore mi sono sentita ferita, tradita, priva di argomenti nei suoi confronti per rincuorarla e di nuovo quel peso delle responsabilità ed il terrore del nuovo percorso e delle conseguenze.

 

Forse è proprio per questo che con me stessa sono stata aggressiva ed energica ed ho esorcizzato la malattia armata fino ai denti.

 

In una settimana ho trovato il chirurgo che ben conoscevo, ho fatto le analisi, le radiografie con molta paura ma graffiante come una tigre, e non ho voluto dire niente a mia madre per lasciarla tranquilla, in vacanza .Consideravo la sua età e il fatto che  ha vissuto metà della sua vita con il terrore di metastasi; non avevo proprio il coraggio di dirle che adesso iniziavo io…, che era il mio turno.

 

La sua tranquillità mi stava tanto a cuore che a volte dimenticavo dov’ero. In seguito, con calma e serenità, le avrei raccontato…

 

In Ospedale ho trovato tante donne come me, anche se ero la più giovane, e come dire…ci siamo fatte coraggio a vicenda.

 

Poi è iniziata la chemioterapia, le radiazioni ed i controlli periodici.

 

Mia madre è aggressiva e combattiva come me, ma non ama parlare di questa “cosa”; ha cercato sempre di nasconderla agli altri, quasi fosse una colpa. Quando deve sottoporsi ai controlli, sempre in mia compagnia, è turbata sia per il responso che per doversi spogliare; la sua energia la fa agitare, indispettire, diventa logorroica con il medico che le è davanti, ed io soffro perché in realtà so che si sente turbata e a disagio; a volte finisco per perdere la pazienza, mentre vorrei infonderle sicurezza e dolcezza, ed invece riesco solo ad indispettirla ulteriormente.

 

Per me stessa sono completamente diversa. Ne parlo con chi penso che capisca e lo faccio con la sensazione di affondare una lama nel cuore di questo male. Vado puntualmente ai controlli con preoccupazione ed umiltà, volutamente da sola, perché mi sento più forte e previdente: in ogni caso non mi dovrò preoccupare per il mio accompagnatore. Forse in me c’è anche un po’ di arroganza …, mi dispiace, ma serve, come tutte le altre componenti di cui il mio carattere dispone.

 

Sono trascorsi quasi dieci anni da allora.

  

Il mio carattere si è modificato, forse per il passare degli anni, forse per il mio vissuto. Ho acquistato pacatezza e riflessione, amo anche l’inverno che non sopportavo, apprezzo il vento e qualche volta anche la pioggia; non do niente per scontato, neppure la luce di un nuovo mattino e ne rimango sempre sorpresa e affascinata.

 

Nella mia mente ho sempre una pallottola in canna e mi sento in trincea: non ho intenzione di essere pacifista, non nei confronti di questa belva, che da sempre circola libera tendendo imboscate alla vita altrui.

  

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5 commenti »

  1. Ciao, Sandra,
    questo racconto è proprio quello che dal titolo annuncia di essere: la descrizione di come si arriva a stare continuamente all’erta, vigile, in attesa armata e pronta a respingere l’attacco.
    Riesci a ben renderei sentimenti di una persona normale che passa dalla sua vita di tutti i giorni alla vita di ammalata che combatte contro il nemico subdolo che nasce dentro e vuole portarla via agli affetti e alla persona che è.
    E’ la storia di come nasce la reazione alla sofferenza e alla paura.
    Molte donne si rispecchieranno nelle tue parole e nella tua testimonianza.
    Una scrittura che va dalla descrizione di una qualsiasi giornata d’estate a quella di chi ha ormai vinto il male e dà prova con le sue parole che ogni giorno è un tesoro inestimabile da vivere e da apprezzare.
    Bravissima.
    Anna

  2. Ho le lacrime agli occhi.
    Ho perso mio padre il 26 gennaio 2006.
    Una zia e uno zio nei due anni successivi.
    Mia madre (Dio quanto mi manca) il 22 Luglio di quest’anno.
    Avevano tutti meno di 70 anni.
    Ciao.
    Ah! Due giovedì fa è morto anche un altro zio, 68 anni.

    Ti prego, io so che ci sono sempre, ma quando guardi un giorno nuovo, fallo anche per loro.
    Loro magari vivono giorni migliori dei nostri, ma tu fammi il favore che ti ho chiesto.
    Un abbraccio.

  3. Ciao.
    Non saprei dirti perchè, ma dal titolo e dall’incipit mi aspettavo un argomento diverso.
    Invece, leggendo, mi sono stupita.
    Molto bello il confronto “di guerra” nelle ultime tre righe.
    Azzurra

  4. Ho apprezzato profondamente il penultimo capoverso.
    Gli avvenimenti non scivolano via, come l’acqua sulle penne idrorepellenti dei piccioni, solo se si desidera cercare il significato di tutto, attraverso ogni cosa che ci accade.
    Mentre ci interroghiamo giustamente sul senso che il dolore fisico può avere, si allontana da noi quella tragica domanda, che spesso emerge in coloro che vivono l’esperienza della malattia o del dolore: “Perché proprio a me?”. Non esiste domanda più fuorviante, perché nasconde una pretesa: pensare che noi possiamo scegliere ciò che dobbiamo vivere.
    Ma ognuno di noi fa in ogni momento l’esperienza dell’impotenza. In ogni istante della vita noi dipendiamo. Se non censuriamo questo dato, se non narcotizziamo l’esperienza quotidiana della nostra piccolezza, tutto viene ricompreso, illuminato e non dato per scontato, come se ci fosse dovuto.
    Grazie, per avermelo ricordato.

  5. COMPLIMENTI SANDRA HA SCRITTO UN MAGNIFICO RACCONTO,REALE E COMMOVENTE!!!!!!!!!!
    ANCORA TANTI COMPLIMENTI DI CUORE!!!!!!!!!!!!!!!!!

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