Premio Racconti nella Rete 2016 “La 127 rossa” di Gianpaolo Antolini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016“Il treno si muove lentamente ed esce dalla Stazione, lasciandosi dietro viale Brianza, viale Monza, viale Argonne… Mi piace immaginare cosa si nasconde dietro le finestre di quei palazzi che costeggiano la ferrovia, eleganti o modesti non fa differenza. Ne osservo le facciate, i balconi, il bucato steso. Il treno acquista velocità, supera la stazione di Lambrate e poi quella di Rogoredo. Non ha importanza dove sia diretto. E’ una gioia immensa partire, scappare da Milano… anche solo per un giorno. Mi pervade un forte senso di libertà. Sono stanca di cieli incolori e quotidianità cittadina, senza natura, senza profumi…
Ciao Andrea. Stavolta ho pensato di iniziare in modo diverso, trasmettendoti le mie emozioni, quello che ho provato sabato, partendo per Genova. Spero di non averti annoiato, mi piace fissare sulla carta i miei pensieri e condividerli con te.”
Come ogni sera, Andrea aveva acceso il computer per guardare la posta elettronica e vi aveva trovato l’attesa mail di Paola.
Da quando si erano ritrovati, avevano ripreso a scriversi con incredibile regolarità, come quarant’anni prima, dopo quell’indimenticabile vacanza ad Arenzano.
Almeno un paio di mail la settimana correvano veloci sull’asse Milano – Trentino: esse avevano preso il posto delle lettere di allora, scritte con bella calligrafia su sottili foglietti a fiori, che Paola infilava nella busta gialla e che Andrea apriva, trepidante, nella sua stanzetta del collegio. Lettere che erano arrivate e partite, che si erano puntualmente incrociate per quasi due anni. Poi, di colpo, quel filo sottile si era spezzato. Qualcun altro aveva sostituito Andrea nel cuore di Paola e la lontananza aveva fatto il resto. Lui aveva patito all’inizio quel silenzio, quel distacco, ne aveva sofferto. Poi, a poco a poco, se ne era fatto una ragione.
Le mail di Paola erano divertenti, appassionate e sbarazzine al punto giusto. Andrea le leggeva e rileggeva prima di archiviarle in una cartella che aveva protetto con una password.
Vi era stato un tempo in cui, a differenza di Paola – che amava prendere il treno per fuggire da Milano – lui lo pigliava per arrivarci. Era il tempo dell’Università, delle lezioni al Politecnico, facoltà di Architettura. Almeno una volta alla settimana Andrea partiva la mattina presto da casa con la macchina, arrivava a Brescia, saliva sul primo diretto per Milano, scendeva alla stazione di Lambrate e raggiungeva a piedi Città Studi.
La sera faceva il percorso inverso: riprendeva il treno a Lambrate, scendeva a Brescia e dopo due orette di macchina era di nuovo a casa. A volte però si fermava a Milano dalla zia Maria, quando il giorno successivo c’era un esame o una lezione importante, cui non poteva mancare.
Quella sera, mentre rileggeva la mail di Paola, Andrea ricordò all’improvviso il suo primo viaggio in treno, quando era andato a Milano a trovarla. Era l’autunno del 1973 ed egli aveva ancora negli occhi e nel cuore quella ragazza conosciuta al mare, tre mesi prima.
A Trento Andrea frequentava l’ultimo anno di liceo scientifico. Ai ragazzi di quinta, in collegio, era riservata una stanza singola perché potessero studiare in autonomia e con maggior tranquillità. Andrea scriveva a Paola la sera, dopo cena, una volta la settimana. Non si sbilanciava molto, per la verità. Le raccontava come trascorreva le giornate, come andava a scuola, come passava il tempo libero. Mai un “ti voglio bene” o un “ti amo”. Voleva prima capire se quei pochi ma intensi giorni ad Arenzano erano stati un fuoco di paglia, un capriccio o qualcosa di più.
Anche Paola stava sulle sue, ma era più tenera, più espansiva. A volte stampava sulle lettere le sue labbra piene di rossetto o ci versava due, tre gocce del suo profumo. Andrea non rimaneva indifferente a queste manifestazioni di affetto. Anzi, le apprezzava tantissimo.
E un giorno decise che sarebbe andato a trovarla, senza dire niente ai suoi. Le telefonò una sera, avvisandola del suo arrivo. Ormai non si accontentava più delle lettere nella busta gialla… voleva rivederla, tornare a guardarla negli occhi, toccarla, baciarla.
Organizzò tutto per bene: consultò gli orari dei treni, verificò le possibili coincidenze a Verona, valutò l’ora di arrivo a Milano per chiedere alla zia di venire a prenderlo alla Stazione. Partì un sabato, nel primo pomeriggio: fu strano e inusuale per lui salire sul treno per Milano anziché sulla corriera diretta a casa. Non si sentì a disagio o in colpa: stava facendo la cosa giusta, una cosa che sentiva e desiderava da tanto tempo.
Non c’era tanta gente sul treno. A Verona dovette aspettare un quarto d’ora prima di prendere la coincidenza per Milano. Vi arrivò che era quasi notte.
Fu uno dei primi a scendere dalle carrozze. Fatti pochi passi, tra la marea di persone che si dirigeva verso l’uscita, intravide una figura inconfondibile venirgli incontro, con le braccia alzate.
Zia Maria aveva il solito sorriso stampato in volto e la solita sigaretta in bocca: era vestita in modo semplice ma elegante, un foulard nelle tonalità dell’azzurro le teneva raccolti sulle spalle i lunghi capelli biondi.
“Ciao, come stai? Hai fatto buon viaggio?”
“Sì, grazie, tutto bene!”
“Ti trovo in perfetta forma, zia” le disse, baciandola sulle guance con trasporto.
“Sì, non mi posso lamentare…”
Zia Maria aveva appena compiuto cinquant’anni, ma non li dimostrava assolutamente. Era una donna forte, volitiva, sicura di sé e con un fisico davvero invidiabile.
“Andiamo, dai. Ho piazzato la macchina in seconda fila, non vorrei beccare la multa!”
Scesero quasi di corsa l’ampia scalinata della Stazione Centrale e furono subito fuori. Zia Maria aveva parcheggiato la sua 127 rosso fiammante poco lontano, in una via laterale.
“Ehi… che sorpresa, zia!”
“Ti piace? Me l’hanno consegnata due settimane fa” rispose compiaciuta.
Nell’abitacolo c’era quell’odore di nuovo che hanno tutte le automobili quando escono per la prima volta dalle concessionarie. Zia Maria infilò le chiavi, mise in moto, dette un paio di colpetti sull’acceleratore e partì, impugnando il volante con due mani.
Andrea le aveva telefonato una decina di giorni prima, mettendola al corrente delle sue intenzioni e chiedendole il suo appoggio. Logistico, ma non solo: mamma e papà non dovevano sapere niente del suo viaggio a Milano. C’era una sorta di complicità fra zia e nipote, una bella intesa che era maturata e si era consolidata negli anni precedenti, durante i periodi estivi, quando lei raggiungeva il Trentino per le vacanze.
Quella sera, dopo una cena frugale, si misero in salotto a chiacchierare e a guardare la tv.
“Bella la tua macchina, zia… chissà quando potrò comprarmene una…”
“Prima devi prendere la patente!”
“Già fatto, quattro mesi fa.”
“Ah, non lo sapevo… Bravo!”
Di colpo Andrea pensò come sarebbe stato bello presentarsi l’indomani a casa di Paola al volante della 127 rossa. Avrebbe fatto un figurone. Girò attorno alla questione diverse volte, sperando che la zia abboccasse. Fu lì lì per fare la fatidica richiesta: “Non è che mi presteresti la tua macchina, domani pomeriggio?”, ma alla fine non si fidò. Capì, dai discorsi della zia, che era gelosa della sua automobile nuova di zecca e che non l’avrebbe prestata a nessuno, tantomeno a un ragazzotto di provincia fresco di patente e, per giunta, non abituato al traffico caotico di una grande città. D’altronde, la zia faceva già ampiamente il suo. Lo ospitava, lo avrebbe portato da Paola, l’avrebbe certamente accompagnato alla Stazione a riprendere il treno per tornare a Trento. No, bisognava accontentarsi, non chiedere troppo… era già tutto bello così.
E poi, magari, Paola aveva programmato di andare da qualche parte, a piedi o in tram… o forse potevano addirittura rimanere a casa sua, da soli, ancora più tranquilli. Dovevano dirsi un sacco di cose, questo era certo. E il tempo era quello che era… poco!
Questi pensieri gli frullarono in testa per tutta la sera e anche più tardi, quando andò a letto.
Ci mise un po’ a prender sonno. Si svoltolò parecchio su quel materasso morbido. In collegio era abituato a superfici più rigide, più dure.
La mattina seguente, alle nove in punto, la porta della stanza si aprì e zia Maria sbucò in vestaglia con il vassoio della colazione. Andrea era già sveglio ma non si fidava ad alzarsi per primo. Non era a casa sua e non voleva condizionare in alcun modo le abitudini altrui. Sul vassoio, accanto ad una fumante scodella di caffelatte, c’erano due piattini: uno era ricolmo di biscotti e l’altro conteneva due fette biscottate con la marmellata.
La giornata cominciava nel migliore dei modi, Andrea si augurò che potesse continuare così. Consumata la colazione si alzò, si fece una doccia e si vestì. Aveva portato un cambio d’abito con sé: un paio di jeans, una camicia e un maglione. Pranzarono prima del solito, verso le undici. Andrea voleva essere a casa di Paola in orario. C’era da attraversare quasi tutta la città per arrivare in via Arbe.
“So dov’è!” disse la zia, facendogli l’occhiolino. “E’ una parallela di viale Zara. Ho un’amica da quelle parti che fa la portinaia. Quando mi capita di passare di lì vado sempre a trovarla…”
“Con te sono in una botte di ferro, zia…” rispose Andrea, regalandole un bel sorriso.
Poco dopo mezzogiorno scesero in strada. La 127 rossa era parcheggiata davanti al portone d’ingresso, vi salirono e partirono di gran carriera. Zia Maria sfrecciava come un motorino per le vie della città, suonando il clacson a ogni minima avvisaglia di pericolo, non lesinando sonori “deficiente!” o “imbecille!” agli automobilisti che ai semafori, per guadagnare qualche posizione, osavano invadere la sua corsia. Arrivarono a destinazione poco prima delle una.
“Vengo a prenderti alle sei e mezzo, ok? Poi ti porto direttamente alla Stazione. Il treno per Trento parte alle sette e qualcosa.”
“Sì, va bene, ti aspetto qui.”
Prima di scendere dalla macchina Andrea abbracciò la zia e le stampò un bacio in fronte.
“Grazie ancora, di tutto…”
“Vai, vai. Me la presenterai un giorno, ’sta ragazza!”
“Non lo so, zia. Io ci spero, vediamo come si mette. Per certe cose, tu lo sai meglio di me, bisogna essere in due…”
“Ah, questo senz’altro. Beh… ci vediamo dopo, ciao.”
La 127 ripartì sgommando. Andrea percorse qualche metro e cominciò a guardarsi attorno. Si mise subito a leggere i numeri civici sui portoni: 27, 29, 31, 33… “Ci siamo, a occhio dovrebbe essere quella casa lì…”
Si diresse verso il portone d’ingresso per verificare se sul citofono vi fosse il cognome di lei. Mentre si avvicinava, alzò gli occhi e vide le tendine di una finestra al primo piano aprirsi di colpo. Dietro i vetri spuntò il viso sorridente di una ragazza, che agitava freneticamente una mano in segno di saluto.
In garage conservo il volante di una “127 verde” del mio papà. Leggendo il tuo racconto ho fatto un tuffo nei miei ricordi.
Grazie del commento, Barbara.
Pensa che io, in garage, conservo ancora la vecchia Lambretta 150 con cui mio papà andava a lavorare… è lì ferma da quasi 40 anni… Quanti ricordi…
Gianpaolo, un testo di cui mi è piaciuto molto il titolo e il modo semplice e ‘leggero’ (quasi soffice) di raccontarlo. A dire la verità il titolo mi ha attirata. Una storia giovane, forse legata a dei tuoi ricordi.Mi è piaciuto il ruolo della zia complice, avrei fatto la stessa cosa anche io! Alla fine ho sorriso pensando al soggetto del tuo racconto, al pensiero di un amore di quando si era giovani e che ha lasciato la sua essenza nel tempo…e bene o male tutti ci siamo passati..
Racconto piacevolissimo anche se ci hai lasciato con la suspance del proseguimento! Ma Paola sei poi riuscito a vederla?
Grazie Elena. Sì, ci siamo passati tutti, credo…
La storia è vera, è legata ai miei ricordi, ai tempi del liceo… ad un amore incontrato al mare e mai dimenticato.
La zia, purtroppo, non c’è più. Il titolo? Beh, la sua 127 rossa, in quegli anni, rappresentava per me – ragazzo di provincia squattrinato, catapultato poi in una grande città a fare l’Università – un obiettivo da raggiungere, il desiderio di indipendenza, di autonomia… e perché no, di evasione, di libertà.
Che bel racconto Gianpaolo!
mentre lo stavo leggendo stavo pensando “questa potrebbe proprio essere una testimonianza di vita vera”, poi dai commenti ho capito che era proprio così.
si percepisce il rispetto e la delicatezza che hai provato nei confronti di questa ragazza. l’hai descritta benissimo!
ma poi?? com’è andata?
Grazie Granit.
E’ andata che ci siamo scritti per un paio d’anni… poi “la lontananza sai, è come il vento…” ecc. ecc.
Ma un posticino nel mio cuore, per lei, è comunque rimasto… anche dopo tutti questi anni…
Ho avuto la curiosità di leggere il tuo racconto. L’ho trovato fresco con uno stile semplice e per questo di immediato recepimento nella mente e nel cuore. Ammantato di quello sguardo poetico velato di una sottile nostalgia con il quale noi -enni ripensiamo al nostro passato. Mi è piaciuto molto, immagino che altrettanto gradevole sia il romanzo dal quale lo hai tratto (e se ancora non c’è, datti da fare).
Grazie mille Bruno del tuo gradito commento.
Mi fa molto piacere che tu sia andato a ripescare “La 127 rossa”, racconto con cui ho partecipato senza successo all’Edizione 2016 di Racconti nella rete.
No, non è tratto da un romanzo. Da qualche lustro mi piace scrivere racconti brevi, che ogni tanto invio a concorsi letterari provinciali e nazionali.
Però l’anno scorso ho preso coraggio e ho pubblicato il mio primo romanzo lungo, scritto sette anni fa: si intitola “La linea rossa”… Se per caso volessi dare un’occhiata: https://www.edizionidelfaro.it/libro/la-linea-rossa
Grazie ancora, davvero. E auguri per il tuo bellissimo racconto.