Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Agata 2.0” di Fabio Gallina

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Agata sapeva di aver osato troppo con quella domanda ma non riusciva più a tenersela dentro.

Arricciava goffamente con la mano libera i capelli, gesto che faceva sin da bambina per smorzare l’agitazione, ignara di continuare a girare in tondo nella cucina.

«Non era nelle regole, lo sai» le rispose finalmente una voce maschile dall’altro capo del telefono.

«Hai ragione ma è una regola che ci siamo posti noi e possiamo annullarla quando desideriamo, no?»

Aveva appena finito la frase e si sentiva avvampare di vergogna.

Chissà cosa direbbero i suoi colleghi nel vederla così! Lei, l’astro nascente del marketing delle grandi firme, solitamente a suo agio nella fredda razionalità, dopo quella domanda non riusciva a smettere di arrossire.

«Non ne sono convinto» – si prese del tempo per un sospiro prima di continuare – «Non è che sto dicendo di no, però mi sembra di complicare il tutto. Insomma, non stiamo bene così?» concluse con un tono calmo e riflessivo.

«Ed escludi che potremmo stare meglio?»

Aveva già avuto modo di conoscere quell’atteggiamento di Filippo e sapeva che poteva spingersi oltre. Era quella situazione che descriveva, ridendo imbarazzata alle amiche, come una “breccia nel carattere rigido di un generale” ; la stessa che l’aveva colta alla sprovvista trasformando in curiosità quel divertimento che provava nel chiacchierare con una persona virtuale ritenuta sempre ferrea.

«Dai, diciamocelo: abbiamo già parlato di tutto quello che potevamo, badando bene a non esporci. Ora rilanciamo o lasciamo che vinca il banco» disse sorridendo soddisfatta.

La passione per il poker era l’unica cosa che lui si era lasciato sfuggire in sei mesi di discorsi.

Agata ricordava come fosse divenuta in poco tempo un’esperta di poker da tanto si era documentata, non che quel gioco le fosse mai interessato, si sentiva mossa dal desiderio di comprendere quella passione per arrivare alla sua complessa personalità. Forse fu proprio quell’atteggiamento a farle capire che Filippo non era più solo un concetto asettico e distante.
«E come si farebbe quest’incontro?»

Lei si sedette spostando rumorosamente una delle sedie in cucina; voleva prendersi il giusto tempo per rispondere.

Ci aveva pensato più volte a come organizzare l’incontro ma non voleva che lui lo capisse; l’avrebbe resa troppo vulnerabile permettendo al suo interlocutore di condurre il gioco senza nessun timore.

«Che ne so, potremmo fare come ho visto in un film, aspettarci in una piazza con una rosa rossa in mano. Sì, lo so, è un grande cliché ma sarebbe interessante provarne l’emozione una volta no?»

Lo sentiva ridere dall’altra parte e questo la rincuorava. «Va bene dai, proviamo. Però facciamola bianca questa rosa, come la purezza, il rosso non mi piace. Facciamo alle 19, in galleria Vittorio Emanuele?»

«Va bene, ci vediamo dopo allora»

«Ciao» riagganciò senza attendere risposta.

Agata posò il cellulare sul tavolo della cucina e si rese conto che le era sorto un sorriso beota così spontaneamente da coglierla alla sprovvista.

 

Tutto era cominciato per gioco in un periodo dove la prospettiva della chat le sembrava così allettante rispetto ai soliti rapporti interpersonali.

L’anonimato le pareva splendido, il poter interrompere con un click la conversazione senza che nessuno potesse far nulla le dava pieno controllo sulla situazione.

Poteva essere chiunque, stuzzicando quelle persone virtuali che cercavano di approcciarsi, provando il loro limite di sopportazione ed iniziando a catalogare i loro caratteri in base alle risposte che otteneva.
Il tutto aveva generato in poco tempo un’assuefazione con la quale Agata coltivava il suo ego, consolidando il pensiero che aveva sui comportamenti dell’essere umano. Era sempre più convinta che rispondesse agli stimoli esterni in maniera meccanica e prevedibile, come se ci fosse uno schema prestabilito nelle iterazioni. Non era certo tipa da escludere un concetto come l’individualità, ma la riconosceva solo in comportamenti così piccoli da risultare sfumature lievemente differenti di un risultato già scontato. Come tanti piccoli soldatini felici perché la propria uniforme differiva di poco nella tonalità di verde dell’altro soldatino affianco.
Non riusciva a ricordare precisamente come sbucò fuori Filippo.

Di certo era un elemento singolare, in una chat dove tutti risultavano accomodanti e suadenti nei modi lui era l’unico a rimanere freddo e sfuggevole. Dapprima pensò che fosse solo acido e scontroso, eppure non riusciva a far tacere il dubbio che tutto questo atteggiamento mascherasse qualcosa di più.

Spesso in quel periodo si era detta che tutto questo era “La sfida”: quel successo che avrebbe migliorato enormemente la sua comprensione del carattere umano, affinando quindi anche la sua efficacia sul lavoro.

 

“Ah no, il rosso ha detto che non gli piace. Peccato” pensò Agata guardandosi nello specchio di casa con addosso la sua giacca rossa.
Si rese conto che questa cosa, per quanto stupida, l’aveva messa in crisi.
Complici sicuramente la carnagione scura ed i lineamenti delicati, ma tutte le amiche si erano sempre complimentate per come il rosso valorizzasse la sua linea slanciata ed il suo viso, tanto da rendere quella giacca il suo “cavallo da battaglia per primi appuntamenti”.
Era sempre stata decisa sul suo look ed andava fiera al pensiero di mostrare la sua determinazione e la forte personalità; i suoi abiti la facevano apparire sofisticata e spesso le persone in passato le avevano chiesto se fosse anche lei una delle modelle africane che tanto andavano di moda in questi anni negli Atelier europei, regalandole un sorriso.
Se la levò di fretta, si mise sdraiata sul letto e le prese un’incertezza che non avvertiva più dai tempi dell’adolescenza.

 

Nel giro di qualche mese Filippo era riuscito ad addolcirsi nei modi, lasciando trasparire una dedizione rara nell’ascoltare l’interlocutore. Certo non si poteva dire che fosse aperto nelle opinioni, dato che spesso preferiva limitarsi a criticarle vestendo i panni de “l’avvocato del diavolo”.

Ora però lo sguardo di Agata fissava terrorizzato l’ultima frase apparsa sul suo schermo:

Ehi, mi sa che il mio pc sta proprio tirando gli ultimi. Lo porto in riparazione, se non mi senti più per qualche settimana sai il motivo ok?

Si chiese come avesse fatto ad esser così stupida da non calcolare una situazione del genere.

Improvvisamente temeva che se avesse lasciato scorrere delle settimane tutti gli sforzi sarebbero stati vani ed avrebbe dovuto tornare agli inizi! Quasi senza accorgersene Agata scrisse il suo numero di cellulare nella chat privata e lui scomparve. Non riusciva a capire se era riuscito a vedere il messaggio in tempo; iniziava a sentirsi agitata guardando quella lista dei partecipanti che dava il suo nome così solo, senza di lui.
Stava chiudendo il portatile quando la suoneria del cellulare decise inaspettatamente di rompere quell’alone di silenzio così opprimente.
«Ehi, ciao» le disse una voce maschile dal tono un po’ imbarazzato.

 

Aveva optato per un elegante tailleur panna, il quale stava egregiamente in tinta con la rosa appena presa al fioraio all’angolo. Il passo incideva deciso sul marciapiede cercando di mascherare quell’ansia che aumentava mano a mano che si avvicinava al luogo dell’appuntamento.
“Dai Agata che non è il primo appuntamento al quale vai. Manca poco ormai, è fatta” – si disse cercando di far appello a tutta la sua calma.

Stava controllando l’ora e proprio per caso si rese conto di averlo davanti a sé; la rosa bianca lo rendeva riconoscibile tra tutti anche se era quasi voltato di spalle.
Decise di non chiamarlo; voleva avvicinarsi con la dovuta calma, assaporando il momento e godendosi il fare un po’ agitato di lui mentre si guardava in giro cercandola.
Pochi passi la dividevano da quel cappotto nero a taglio lungo, retto da spalle vigorose che facevano pensare ad una persona abituata agli sforzi fisici.
Le piaceva quel taglio di capelli quasi militaresco, era in linea con quel Filippo che aveva imparato a conoscere e questo la metteva a suo agio smorzando un pochino il senso di morsa allo stomaco che l’aveva accompagnata fino ad ora.
Il suo profilo accennava labbra dolci, immerse in una barba così lieve da non riuscir a nascondere la svastica tatuata sul collo.

La rosa le scivolò inconsapevolmente dalle mani proprio mentre lui si stava voltando.
Splendidi occhi azzurri la guardavano carichi d’odio.

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3 commenti »

  1. La suspense che trova piena giustificazione nel finale è la forza di questo racconto. Mi piace!

  2. Volendo distinguermi dalla massa, che non amo, mi ha attirato quel 2.0. Anch’io vidi un uomo con la svastica tatuata ma con lo sguardo indifferente e vuoto…colpo al cuore e disgusto infinito.Agata 2.0 è forte e ce la farà a superare lo shock..bellissimo il coup de theatre finale.

  3. Mi piace molto lo stile che hai usato, è leggero. Il modo in cui vai a capo spesso, evitando così il classico “muro di parole”. Sfoltisce, smellisce il testo.
    Prima ci si aspetta che lui non si presenti affatto, poi si scoprono le carte e nel finale arriva la “mazzata”.
    Davvero un bel racconto.

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