Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2010 “Era novembre di mille giorni prima” di Gabriella Dalle Rive

Categoria: Premio Racconti per Corti 2010

Priscilla, la chiamò così sua madre,  dopo aver letto con cura il calendario per nove mesi e qualche giorno…

Forse le augurava di vivere a Roma, o di sposare un senatore…

spero non la volesse vergine per tutta la vita……

-Studio dott. Adua, buongiorno, sono Priscilla, chi parla?

La Signora Maria Vittoria viaggiava molto, un marito impegnativo con una potente impresa da gestire e lei era parte attiva di quel mondo.

Due figli e poi Nicolas, quel bambinetto di quattro anni, adottato con il  cuore, bello, biondo,

brasiliano e autistico.

Nicolas stava lì, dalle suore, in quella struttura di periferia anni settanta  e lei, la Signora, se lo godeva da tempo quel piccino dalla pelle ambrata, la mattina intera del pomeriggio settimanale che passava lento, tra la tristezza infinita e il desiderio di portarselo a casa, per sempre.

Maria Vittoria sapeva che sarebbe stato impossibile.

Quel giorno aveva davvero bisogno del dott. Adua, era tornata da New York dopo aver viaggiato

per le Americhe innumerevoli ore di volo e la sua varice, questa volta la preoccupava davvero.

Un breve controllo, sperava solo quello.

Era una donna elegante, particolarmente felina e anche bella, un essere decisamente estroverso,  indossava capi così metropolitani anche nella piccola provincia, ma lei sentiva di essere

nata per vivere nella grande capitale, nella  foresta d’acciaio con i suoi giardini verticali,

amava il cappello e la grande mela.

Sfiorò quasi con timore il campanello dell’ambulatorio, pensava alle sue belle gambe e l’infastidiva

l’ipotesi di portare forzatamente quelle orribili calze elastiche…fortunatamente la luna segnava la fine dell’autunno…poco male.

Vestita di cappottino nero sciancrato, stivali in cocco e un cappello di taglio moderno in tessuto maculato, avvolta con charme nel suo profumo inconfondibile, Maria Vittoria  sapeva di spezie e di agrumi.

Priscilla le aprì e le sorrise.

Arrivò nello studio  medico all’ora prevista e come per magia non dovette aspettare, era l’ultima paziente.

Il dottore era un suo caro amico, una persona goffa e gentile ma estremamente meteoropatico e quel

giorno pioveva…se ne andò di fretta.

Alleluja, le sue gambe avevano  solo bisogno di riposo e di docce fredde.

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Priscilla le chiese con un filo di voce se si poteva fermare qualche minuto, il tempo per alcuni dati.

Erano sole nello studio ampio e luminoso del medico amico e l’infermiera la osservò attentamente.

La Signora Maria Vittoria sentiva che Priscilla provava stima e spontanea simpatia per lei,

le piacevano sempre le sue scarpe e anche i suoi copricapo che indossava rigorosamente nei mesi invernali.

Quelle due donne così diverse e così speciali si conoscevano ormai da più di quattordici anni

ed era arrivato il momento in cui  anche il tempo doveva risarcire.

 

La Signora Maria Vittoria pensò che ogni mestiere ha i suoi precetti e Priscilla stava scrivendo con

professionalità, denotava buona pratica in quel lavoro di segretaria fac totum,  brava infermiera pensò, potenziale ed eccellente medico…

Priscilla aveva le mani asciutte e belle, le unghie un poco ad uncino e la pelle bianca, troppo bianca,

era in netto contrasto con quei capelli nero-blù ma la sensibilità era straordinaria.

Maria Vittoria   percepì solo allora  che quell’alga aveva saputo catturare la vita.

A volte si verificano degli strani fenomeni che vorremmo assolutamente capire ma quel senso di troppo che è insito in noi ci trattiene e così ci lasciamo trasportare dolcemente…

Erano sedute difronte, la Signora Maria Vittoria e Priscilla, in quel pomeriggio di un giorno qualsiasi della settimana, fuori pioveva e loro si osservavano in silenzio le mani, l’una dell’altra.

Priscilla eruppe, non poteva osservare anelli che non c’erano perché la Signora Maria Vittoria non

indossava anelli, appesantivano le mani diceva, ma amava gli orologi, quelli sì, era un’esperta

conoscitrice e collezionista.

-Signora Maria Vittoria,-

le disse con tono fermo Priscilla,

-ha delle belle mani,  posso vederle e toccarle un solo istante?-

Maria Vittoria arrossì, fissò Priscilla con stupore e anche lei per la prima volta la osservò così bene da vicino.

Era graziosa e strana, un cerbiatto  in quel camice immacolato, esageratamente magra ma era perfetto quel tatuaggio delle sopraciglia.

A volte si verificano strani fenomeni…

Priscilla colse il pensiero di quello sguardo indagatore e con una calma disarmante le raccontò del suo incidente d’auto, sotto il sole verticale nel mese del leone, di quel viso in parte rifatto e il destino di quelle sopraciglia tatuate nella pelle plasticata, dei nove lunghi giorni del coma ed ora aveva bisogno di toccare quelle mani belle e curate, segnate leggermente dalla saggezza degli anni.

-Signora Maria Vittoria- le disse,                                                                                          3

-Lei ha una mano esoterica, misteriosa, saggia e diabolica e una mano psichica, è una mano che si

relaziona con la coscienza, con l’anima e le dita rispecchiano una forte sensualità.

E’ successo qualcosa di molto speciale pochissimi giorni fa,oltreoceano,non è vero?

Quella persona le cambierà la vita.

Nell’equinozio di primavera avrà il regalo più bello e desiderato, l’Amore.-

 

“Era novembre di mille giorni prima”.

La Signora Maria Vittoria si osservò le mani senza fiato, l’anima sconvolta , il viso sbiancato.

Priscilla sapeva che il mondo era spinto da una forza invincibile,

non era quello degli amori scontati e apparentemente felici ma di quelli contrastati, dannati e         profondi che non vogliono farsi riconoscere.

“ERA UN GIORNO QUALSIASI DI MILLE GIORNI DOPO”…….

Quel mattino la Signora Maria Vittoria si svegliò con le mani piene di lacrime e si specchiò dentro.

In quell’umida luce  appannata  e deforme si vide ragazza,  i capelli ricci e scompigliati e con la pelle color cannella quasi non si riconosceva,

ma era solo sua la fragranza di spezie e mandarino che imperava in quel cambiamento benefico, solo apparente , di due mesi di mare.

Fece scorrere con dolcezza la vetrata che dava sull’oceano e a piedi nudi assaggiò il tiepido tepore

che il sole dell’alba tentava di lasciare sulle formelle di cotto irregolare,  polveroso di salmastro sotto quel portico ventilato.

Sì, era magico quel luogo pensò, straordinario al mattino quando sul righello blù, piatto ed immobile le prime barche dei pescatori pennellavano le loro scie di schiuma bianca, con magica leggerezza.

Sublime, sotto il sole verticale, verde e turchese si contrastavano per poi fondersi e versare

generosamente nel  resto del mare preziosi smeraldi,  fino in fondo all’orizzonte, più in là, oltre.

Era l’Eden nel pomeriggio, quando il tramonto, ferito dai propri cristalli penetranti, si sedeva sopra il sole per poi spingerlo giù,fin sotto il mare.

La notte era uno spettacolo, un dono di Dio e lei le toccava quelle stelle, tutte le notti.

Ora, quella ragazza dentro una  t-shirt era lì, si guardava attorno il mondo perfetto.

Il giardino armonioso, le palme superbe, l’ibiscus rosa, la bouganville così generosa di bianco,

l’esuberante plumbago turchese orgoglioso già dal mattino in quell’angolo del terrazzo.

Era la sua casa , tutto davvero bello ma lei  svuotata da ogni sentimento.

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Che sinfonia dominava quella vista, le giare snelle di terracotta accostate con cura alla credenza in

cirmolo, barocca e spagnola ammiccava con la specchiera di Java in frassino sbiancato, la lampada vestita di turchese, i divani bianchi, le pareti pervinca e il tappeto kilim color della terra.

Oggetti e ricordi di viaggi lontani abbellivano il suo regno,

ovunque c’erano libri che nobilitavano quel Paradiso oltreoceano.

Era la fuga dal mondo, qualunque oggetto scelto con cura e amore ma quel sofà di giunco con i cuscini di canapa bianchi che guardava il mare era il suo mobilio preferito.

Stava da sempre sotto il portico ventilato e veniva spostato quasi nel mare in quelle sere di festa, destinate quasi sempre al gran finale di ballo.

Era lì dove lei si saziava gli occhi di colori.

Che generosa  sa essere la vita !  “ le feste più belle sono quelle che finiscono prima” pensava…

Alea iacta est, sì, era arrivato il momento di andare, senza paura…..

Che sinfonia dominava l’orizzonte, ricordava quel giorno, tra onde e schiuma…

”Amore, se solo tu fossi quì con me sarebbe tempesta”…gli aveva scritto….

Ma poi quei quadri che aveva dipinto con la gioia nel cuore solo per lui, erano polvere.

Con un sacro rituale li aveva sentiti crepitare il nove di settembre, nella casa di campagna.

Era sola  in quel tardo pomeriggio innanzi al camino, la porta chiusa e il viso venato di lacrime, perle grigie di dolore e di fumo, lo stomaco ermetico nelle stanza impregnata dell’odore acre delle tempere che si consumavano con parsimonia.

Bruciavano lentamente e quel “ ti amo….” incastrato  tra gli alari del camino gridava al calore del fuoco.

Addio turchese del mare,

Addio ocra della terra

Addio poesia del Petrarca ….

Benedetta sia per sempre quella città,

quel luogo ove incontrai i tuoi occhi,  che legato mi hanno….Addio.

Il fuoco ti ridona la libertà.

Rimangono solo braci odoranti di gioia del passato.

Della loro casa rimane solo qualche bottiglia di vino pregiato e due camice con nobili iniziali.

Ora la Signora Maria Vittoria vuole solo l’oblio rasserenatore dell’acqua, vuole scivolare giù

con gli anelli della promessa,  i capelli sciolti e un sorriso.

Con la calma del vento debole si vestì con il costume, semplice e blù e dentro a quella maglietta della grande mela, scalza, leggera e lenta si avviò verso il mare.

Erano freschi i pensieri della sua anima.

“Dio Pan fa che queste onde e questa schiuma mi sciolgano e mi fondino con l’immenso marino” pensò Maria Vittoria,

quelle onde erano suoni diversi tra le dita

.

Tra le ciglia il pianto.

Pensò ancora  una volta alla sua vita, una rassegna di colori intensi, affastellava oggetti,       5 ricordi,affetti, libri, frasi e  bugie.

L’acqua alle caviglie sottili era gelida, piacevolmente gelida.

Inspirò profondamente sciacquando il viso rigato nel sale, le bruciavano gli occhi.

Che freddo, che gelo sentiva…ed ora giù, decisa, senza respirare.

Entrò lentamente in quello spazio misterioso che separa la veglia dal sonno.

Piano entrò nella notte.

Addio alla vita.

Che sensazione straordinaria il mondo marino, stava penetrando nel regno dove non arriva il dolore e alla percezione della pace è difficile dare una forma.

 

Scendeva velocemente e sentiva che la pressione e la corrente dell’acqua la spingeva con forza           senza direzione precisa mentre le alghe sinuose si dimenavano deliranti e isteriche attorno a lei.

Giù, ancora più giù, dove il sole non arriva ,ormai con poca aria nei polmoni.

Sentiva che stava morendo…stava morendo….NOOO !!!

Nicolas !!!  il suo bambino autistico,l’elettroshock tra pochi giorni,

“ devo essere con lui!”

Che dono grande la vita !

Le rimaneva ancora un po’ di forza per pensare.

Con un colpo di reni secco si girò verso Dio,

lentamente iniziò a risalire la scala che porta in Paradiso,

il Sole le porgeva la mano.

Le entrò la luce nell’anima dagli occhi,

mentre le alghe sinuose gridavano prigioniere sotto di lei cercando di braccarla.

Sì, voleva l’aria, la luce, la vita.

Le bruciavano gli occhi e la gola, era sfinita ma non importava.

Nicolas aveva bisogno di lei.

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